ACCATTONAGGIO MOLESTO: CON IL DECRETO SICUREZZA DI MAIO DOVREBBE RICEVERE IL FOGLIO DI VIA
“DOVETE RICONOSCERE CONTE COME PREMIER, SU MANOVRA E PROGRAMMA DECIDIAMO NOI”: DI MAIO FA FALLIRE L’ACCORDO CON IL PD… BRAVO, VAI CON I TUOI COMPAGNI DI MERENDE RAZZISTI E VEDIAMO SE TORNI AL GOVERNO O A POGGIOREALE
Più che un incontro sembrava un capestro. Il giogo cui sottomettere il Pd. Questo è stato l’incontro di ieri tra Conte, Di Maio, Zingaretti e Orlando. Un atto di guerra più che di pace.
Le condizioni dettate dal capo politico grillino hanno infatti lasciato senza parole il segretario e il vicesegretario dem. Il primo paletto li ha subito messi sulla difensiva. Una richiesta che non si aspettavano.
“Dovete riconoscere con una dichiarazione pubblica e ufficiale che Conte è anche il vostro premier”. Più che una rivendicazione è stata la prima stazione di una via crucis. Il no di Zingaretti è stato netto ma l’incontro si è subito messo sulla strada della tentata “grillizzazione” del Pd.
Poi si è passati alla squadra di governo. Non solo Conte e Di Maio hanno rivendicato lo schema del doppio vicepremier ma hanno sbarrato la strada a qualsiasi ipotesi di dare un segnale di cambiamento radicale.
Tra i ministeri più importanti solo Economia e Esteri sarebbero stati riservati al Pd. Tutti gli altri, compreso l’Interno, all’M5S. L’atmosfera nella sala di Palazzo Chigi è diventata plumbea.
La sorpresa si trasformava velocemente in sbigottimento. Lo schema di confronto totalmente stravolto. Più che la ricerca di una alleanza, la definizione di una resa. Orlando tentava di rasserenare il clima con la via del confronto politico. Ma gli altri erano attestati su quella dello scontro. I pentastellati però non si sono fermati qui. Quando la discussione si è trasferita sui temi programmatici, gli attuali premier e vicepremier sono andati persino oltre.
Non hanno voluto parlare di come preparare la prossima legge di Bilancio spiegando che “di fatto” è già pronta. Cioè quella predisposta dall’esecutivo uscente con le direttrici dell’esecutivo uscente.
E il resto? “Ci sono i nostri dieci punti, bastano quelli”. A quel punto la risposta di Zingaretti che aveva mantenuto la calma fino alla fine della riunione è stata secca: “non farò umiliare il mio partito”.
La strada per il nuovo governo ad oggi è diventata ripidissima. Ma incredibilmente un partito uscito pesantemente bastonato dalle ultime elezioni europee, sull’orlo della estinzione, tramortito dalla crisi di governo, riesce a dettare le sue condizioni.
(da agenzie)
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