AL COLLE NON È PIACIUTA LA POCA CHIAREZZA DELLA MELONI SUI RAPPORTI CON L’UNIONE EUROPEA
IL VERO TIMORE DEL COLLE È LEGATO COMUNQUE ALLA TENUTA DELL’ESECUTIVO, PER VIA DELLA “INSTABILITA'” DI SALVINI E BERLUSCONI. UNO PENSA DI ESSERE UN GRANDE LEADER. L’ALTRO E’ ORMAI POCO PRESENTE A SE STESSO
Come ha reagito il Quirinale al discorso di Giorgia Meloni? Al Colle non è piaciuta la poca chiarezza sui rapporti con l’Unione Europea. Mattarella (ma anche Giuliano Amato) confidava in una più precisa apertura della Presidente al dialogo e alla collaborazione con i vertici comunitari e i paesi membri Ue.
Quel che non convince i due ottuagenari “guardiani” del Verbo costituzionale riguarda anche il lessico utilizzato da Meloni.
Le parole sono importanti, lo sappiamo, e quelle scelte da “Donna Giorgia” possono confondere. Mentre lei, quando parla di Nazione, si riferisce esclusivamente all’Italia, loro intendono la più ampia Nazione europea, intesa come comunità omogenea di Stati, frutto del processo di integrazione, avviato ormai da decenni.
Ma più delle parole, contano i fatti. La Meloni ha di fronte un tour de force internazionale, in cui potrà dimostrare la sua totale aderenza alle storiche alleanze euro-atlantiche dell’Italia.
Il vero timore del Quirinale è legato alla tenuta del suo esecutivo, soprattutto per via dell'”instabilità” dei due caballeros Salvini e Berlusconi.
Il primo, in cerca di riscatto e di una ritrovata centralità, viene insufflata dalla fidanzatina Francesca Verdini, che ne magnifica le doti da leader e condottiero, lasciandogli immaginare una sua futura riscossa.
Il secondo, ormai, è poco presente a se stesso, sballottolato e confuso dalla rivalità interna al suo partito. Senza contare il ruolo della molto sottovalutata Marta Fascina. La finta moglie del Cav ha sempre più influenza tra gli azzurri.
Arrivata alla corte di Arcore grazie ai buoni uffici di Licia Ronzulli, di cui è stata assistente ai tempi del Parlamento europeo, la bionda campana allunga i suoi tentacoli e, d’accordo con l’ex infermiera, pianifica le mosse all’interno del partito.
Ronzulli, con la distribuzione delle poltrone di sottogoverno, vuole allargare la base del proprio consenso all’interno del partito, sistemando i trombati e portandoli tutti dalla sua parte.
Ad esempio, la zarina di Arcore gradirebbe la nomina di Sestino Giacomoni al Mise, ma il ministro Urso traccheggia. “Kiss me Licia” vorrebbe anche il filo-russo Valentino Valentini agli Esteri, ma pesano i no di Meloni e Tajani. Il ministro degli Esteri mugugna ma non sgrugna: a causa del coraggio da semolino, non se la sente di entrare in rotta di collisione con Berlusconi e di sfidare a viso aperto la nemica Ronzulli.
(da Dagoreport)
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