AUTOSTRADE “ARRUOLA” CINQUE COSTITUZIONALISTI PER SMONTARE LA REVOCA DELLA CONCESSIONE
“LE NORME DEL MILLEPROROGHE CHE CAMBIANO LE CONCESSIONI SONO INCOSTITUZIONALI”… LA BATTAGLIA LEGALE QUANTO COSTERA’ AGLI ITALIANI? CHI PAGHERA’ I 23 MILIARDI DI PENALE?
Quando poco prima delle tre del pomeriggio di giovedì Massimo Schintu, direttore generale di Aiscat – la casa madre delle società che hanno in mano le concessioni autostradali – si presenterà nella sala Mappamondo di Montecitorio per essere ascoltato dai deputati delle commissioni competenti, non sarà solo.
Con lui ci saranno cinque costituzionalisti di primissimo livello. Pronti a tuonare contro le norme sulle concessioni cambiate dal governo con il Milleproroghe. Diranno che sono incostituzionali.
Di più: possono essere contestate davanti al Tar, in tempi brevi.
Passa anche da qui la strategia di Autostrade per smontare il lavoro che il governo sta tirando su per arrivare a una decisione sulla revoca. Un lavoro caotico perchè l’esecutivo è diviso: i 5 stelle sono per lo stop ai Benetton, Renzi tuona contro. Il Pd oscilla tra il sì e il no.
Leggendo in controluce la mossa di Autostrade in Parlamento si capisce come l’obiettivo sia quello di mettere pressione sulla decisione del governo.
Così come approvate in Consiglio dei ministri, le norme sulle concessioni contenute nel Milleproroghe abbassano notevolmente il risarcimento che lo Stato rischierebbe di pagare ai Benetton. Da 23 miliardi a sette.
I costituzionalisti, tutti professori di rango di università prestigiose, porteranno i loro pareri per smontare – dal punto di vista costituzionale, amministrativo e anche del diritto europeo – la fattibilità di questo sconto. In generale chiuderanno la porta a quello strumento che il governo ha messo nero su bianco per predisporre il post Autostrade.
Un altro segnale di Autostrade al governo, seppur indiretto, arriverà poche ore prima. In mattinata si riunirà il consiglio di amministrazione chiamato ad approvare il nuovo piano industriale. Le carte sono state preparate da mesi. Dentro ci sono due elementi che non potranno essere ignorati dall’esecutivo.
Nel piano, secondo quanto riferiscono fonti industriali accreditate, sarà contenuta una forte accelerazione sulle spese di manutenzione. “Alcuni miliardi”, è la quantificazione. E ci sarà anche l’impegno a stravolgere il monitoraggio sull’intera rete autostradale gestita dalla società , affidando il tutto a un sistema messo a punto con Ibm. Se il governo decide per la revoca della concessione, salta tutto. Risiede qui il peso del segnale.
Poi ci sono altre pressioni, come quelle che arrivano dai mercati. I timori legati alla revoca hanno fatto capitolare Atlantia a Piazza Affari. Il titolo ha perso il 2,6%, bruciando 454 milioni di capitalizzazione.
Sono affondate anche i bond della holding e della controllata Autostrade. Il tutto si aggiunge all’eco del giudizio espresso negli scorsi giorni dalle tre principali agenzie di rating – Moody’s, Fitch e S&P Global – che hanno tagliato il rating di Atlantia a spazzatura, sottolineando gli accresciuti rischi di una revoca con un indennizzo fortemente ridotto rispetto alle previsioni della concessione e il fatto che l’indennizzo non verrebbe pagato immediatamente.
La palla è nel campo del governo, ma non è ancora stato deciso se buttarla in rete o in tribuna. La prospettiva cambia, e radicalmente, se si passano in rassegna le diverse anime della maggioranza.
I 5 stelle sono granitici nel sostenere che l’unica strada è la revoca. Anche parziale, se quella sull’intera rete dovesse essere insostenibile per qualsiasi motivo.
Renzi continua a dire no: “Chi vuole fare la revoca deve avere le carte in regola, non deve farlo per prendere un like sui social, altrimenti costringe i nostri figli e nipoti a pagare decine di miliardi ad Autostrade. Ci vuole una base giuridica”.
E poi c’è il Pd. Il dossier è in mano alla ministra dem alle Infrastrutture Paola De Micheli. L’istruttoria è quasi ultimata e al Consiglio dei ministri in programma venerdì mattina terrà un’informativa. Nulla di più però.
Nessun decreto perchè appunto dentro al governo non c’è una posizione unitaria. Non c’è neppure dentro al partito. Alcuni, spiegano fonti di governo, sono per la revoca, altri no. C’è bisogno ancora di tempo per arrivare a una decisione. Non tantissimo, al massimo entro fine mese, assicurano le stesse fonti. Per ora, però, l’intesa è tutta da costruire. Ammesso che si possa arrivare a un’unanimità nella decisione finale.
(da agenzie)
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