BERLUSCONI: “MI METTERANNO IN GALERA UN MINUTO DOPO LA DECADENZAâ€
VA A VUOTO L’ENNESIMO TENTATIVO DI MEDIAZIONE TRA ALFANO E FITTO: PDL SULL’ORLO DELL CRISI DI NERVI
Se l’aspettava. «Pagina già scritta» dice. «Come tutte quelle che arrivano dalle procure». L’umore è quello dei giorni più oscuri. La previsione per il futuro catastrofica. La sindrome è quella dell’accerchiamento.
«Vedrete che proveranno ad arrestarmi un minuto dopo la decadenza». Per questo, l’ordine di Berlusconi ai suoi, appreso del rinvio a giudizio da Napoli per la compravendita dei senatori, è di ostacolare in ogni modo possibile proprio il voto del Senato.
«Dovete fermare questo obbrobrio» dice ai suoi avvocati. Ma proprio a Palazzo Madama il governo ha rischiato di crollare, a sorpresa, in mattinata, sul ddl di riforma costituzionale voluto dal governo che i falchi Pdl hanno tentato di affossare con un blitz, poi fallito per soli quattro voti.
I cecchini sono appostati, l’esecutivo Letta è avvertito.
Berlusconi invece ce l’ha con le procure – «Sono partite tutte all’attacco ora che mi considerano più debole» – e ce l’ha, ovviamente, anche con chi si fa la guerra nel Pdl perchè «non fanno altro che litigare e i ministri a tenere in piedi a tutti i costi questo governo».
Lo sfogo contro la magistratura è quello di sempre, il timore dell’arresto riguarda Napoli e Milano, anche se gli avvocati cercano subito di smentire perchè la compravendita sarebbe troppo antica per giustificare un arresto, e l’induzione alla falsa testimonianza troppo debole.
Il Cavaliere teme un altro «agguato» in arrivo oggi dalla Cassazione dove le toghe delle Sezioni unite, presiedute dal primo presidente Giorgio Santacroce, metteranno mano al guazzabuglio della legge Severino e della contestata divisione tra concussione e induzione.
Un verdetto che potrebbe avere, per lui imputato nel processo Ruby, effetti negativi.
In queste ore, sarebbe importante poter contare su un partito unito. Invece il Pdl è un covo di serpi.
Berlusconi rientra a Roma a metà pomeriggio, quasi in concomitanza con la notizia del rinvio a giudizio rimbalzata da Napoli.
È la svolta della giornata che lo precipita in quello stato d’animo. La rabbia è lacerante, ce l’ha con il premier Enrico Letta che appare distante e disinteressato, con il capo dello Stato Napolitano preoccupato solo per le riforme, in fin dei conti non sa contro chi scaricare la tensione. Per di più il partito gli si sfarina tra le mani.
Il gruppo parlamentare al Senato appare ormai senza guida, si procede in ordine sparso.
E una conferma la si ha in tarda mattinata. Quando va ai voti il ddl costituzionale per l’istituzione del comitato per le riforme.
Porta la firma del ministro Gaetano Quagliariello, considerato dai “lealisti” e dai falchi l’ispiratore della lettera dei 24 pro governo di tre giorni fa, uno degli acerrimi avversari interni.
Prendono la parola in dissenso il campano Francesco Nitto Palma e Augosto Minzolini, è il segnale.
Scatta il blitz. Alcuni senatori pur di non votare a favore escono, in undici si astengono (al Senato equivale a un no) e alla fine il provvedimento passa per soli 4 voti di vantaggio.
«Se fosse stato bocciato, sarebbe caduto il governo» dice senza giri di parole un preoccupato Roberto Formigoni. «Oggi Quagliariello deve ringraziare San Gennaro» ironizza coi colleghi amici il berlusconiano doc Nitto Palma, faro dei senatori campani che nel caos pidiellino fanno ormai corrente a sè, la «corrente del golfo» ironizza qualcuno.
Di fatto, i ministri alfaniani considerano quanto avvenuto la dimostrazione che gli avversari interni lavorano per sabotare, far saltare il tavolo, con qualunque pretesto.
È la ragione per la quale da ore è ripartito il pressing sul vicepremier perchè rompa e dia il via all’operazione gruppo autonomo.
Presto, al più entro la prossima settimana. Alfano resiste, non vuole rompere, non ora.
«Bisogna preservare il governo ma evitare di dare pretesti ai falchi, restiamo nel partito» continua a predicare il segretario Pdl.
Subito dopo il blitz al Senato chiama Fitto. I due si vedono dopo settimane di guerra fredda. Un faccia a faccia che Berlusconi stesso aveva sollecitato da una settimana. Avviene sui divani della Corea, lungo corridoio riservato di Montecitorio. Dura due ore piene.
Con il capo dei lealisti che ripropone l’azzeramento dei vertici Pdl e il passaggio immediato a Forza Italia.
Con il vicepremier che dice no, che difende la sua carica di segretario e la sopravvivenza del governo. Le posizioni resteranno distanti. Qualcuno come Ignazio Abrignani a questo punto propone un “lodo”: Alfano vicepresidente al fianco di Berlusconi, con Lupi e Verdini coordinatori.
Ma per il momento viene accantonato.
Berlusconi non avrebbe nemmeno voglia di riprendere in mano la situazione del partito. Ma lo deve fare. Deve tenerlo unito almeno fino al voto sulla sua decadenza dal Senato.
Incontra prima il senatore Guido Viceconte, poi Angelino Alfano, infine cena con Denis Verdini e Gianni Letta. Con Fitto si sente a più riprese.
Nel colloquio con Alfano (che oggi dovrebbe andare a rappresentare il Pdl al vertice Ppe di Bruxelles) la tensione torna a salire. Berlusconi rivendica il diritto di difendersi e di mandare al diavolo il governo se lui decadrà .
Il vicepremier che ribatte: «Ma pensi davvero che Napolitano possa concedere ancora il voto anticipato? Con la legge di stabilità e la riforma elettorale da approvare?»
Invito a rassegnarsi, per il Cavaliere inaccettabile.
«Il fatto è che anche noi siamo per la difesa di Berlusconi – argomentava a fine giornata un Formigoni in «trasferta» nel Transatlantico di Montecitorio – ma senza per questo creare danni al Paese».
Lopapa e Milella
(da “La Repubblica”)
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