BLUFF, AMICIZIE E MEDIAZIONE DI AL THANI
COSÌ SI È ARRIVATI ALL’INTESA
E se fosse stata un’operazione coordinata fin dal principio, per dare a tutti i protagonisti la possibilità di salvare la faccia, se non addirittura di cantare vittoria?
È una domanda che in queste ore si stanno ponendo un po’ tutti, dai diplomatici ai professionisti della sicurezza, passando per i militari, e la risposta positiva è quasi unanime.
Non manca chi sospetta che il presidente americano Trump e il premier israeliano Netanyahu si fossero accordati sulla strategia adottata nella “Guerra dei 12 giorni” già a gennaio, con l’inizio della nuova amministrazione. Tutte le fonti coinvolte nelle mediazioni sono però certe che almeno negli ultimi giorni ci sia stato un coordinamento, se non una messinscena, allo scopo di trovare una soluzione che evitasse la guerra regionale, o addirittura mondiale.
Il primo passo lo hanno compiuto gli americani, lavorando su due tavoli. Con Israele l’inviato speciale Steve Witkoff ha tenuto contatti costanti, fino a quando è intervenuto direttamente
Trump, inclusa la brusca telefonata con cui ieri ha intimato a Netanyahu di non fare scherzi e fermare gli aerei in volo.
Dopo il bombardamento di domenica mattina dei tre siti nucleari di Fordow, Natanz e Isfahan, Trump si è trovato nella condizione di spingere per la de-escalation, soprattutto nei confronti di Netanyahu, accontentato proprio con l’attacco alle centrali. A quel punto però bisognava convincere l’Iran a stare al gioco
A quel punto è entrato in gioco l’emiro del Qatar Al Thani, che si trovava in una condizione unica perché da mesi triangola con Iran, Usa e Israele per fermare la guerra a Gaza, o quanto meno facilitare scambi di ostaggi e detenuti. Doha aveva una posizione di vantaggio, grazie a questi rapporti, ma anche un enorme rischio, perché affidandosi al trasporto marittimo nello stretto di Hormuz per esportare il suo gas sarebbe stata devastata sul piano economico da una guerra regionale. Al Thani allora ha preso l’iniziativa.
Secondo il New York Times, lunedì mattina il Consiglio supremo per la sicurezza nazionale iraniana si è riunito per discutere come rispondere ai raid americani, dopo che Khamenei aveva dato ordine di farlo. Già in quella occasione è emersa la linea di colpire gli Usa, ma senza fare danni che potessero coinvolgerli in un conflitto diretto
La mira è stata presa sulla base di al Udeid perché è il quartier generale del Central Command nella regione, e quindi aveva gestito i bombardamenti sui siti nucleari. Ma si trova proprio in Qatar, il Paese della regione con cui la Repubblica islamica ha il rapporto migliore, e quindi pensava di poter gestire un attacco
meglio che contro Arabia, Bahrein o Emirati.
Al Thani lo ha capito e ha accettato. Teheran ha avvertito con grande anticipo lui e Trump dei missili in arrivo, per garantire che fossero intercettati e dimostrare la volontà di de-escalation. L’emiro si è lamentato in pubblico, convocando l’ambasciatore iraniano, ma non ha reagito sul piano militare.
Anzi, lunedì sera ha contattato la leadership iraniana per consigliare di accettare il cessate il fuoco Usa, perché era una grande opportunità per la via d’uscita. Messaggi simili sono arrivati alla Repubblica islamica anche dall’Italia.
Il risultato è stata la tregua, che consente a Netanyahu di dire che ha indebolito l’Iran, a Trump che ha distrutto il programma nucleare, e a Khamenei che ha resistito ai nemici.
In verità il regime così sopravvive, conserva parte dell’uranio arricchito e la capacità di riprendere la corsa verso l’atomica. A meno che non accetti di condurre un negoziato vero, magari proprio con l’aiuto del Qatar, per una soluzione definitiva.
(da Repubblica)
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