BLUFF SUI BALNEARI E CAOS SUI TASSISTI: CON I SOVRANISTI E’ LOBBY CONTINUA
MOLTI SINDACI CONTRO IL DECRETO ASSET CHE PREVEDE LICENZE AGGIUNTIVE PER I TAXI… IL GOVERNO HA SCARICATO LA PATATA BOLLENTE DELLE LICENZE SUI SINDACI SENZA PROCEDERE A UNA VERA LIBERALIZZAZIONE DEL SETTORE
Nello scontro velenoso tra sindaci e governo sui taxi è difficile schierarsi dalla parte del secondo.
La verità è che l’esecutivo nel tentativo di non urtare la sensibilità delle auto bianche – lobby che ha sempre difeso – ha fatto l’ennesimo pasticciaccio normativo riuscendo in un solo colpo a scontentare tutti: sindaci, tassisti che minacciano lo sciopero, e soprattutto gli utenti alle prese con file interminabili ed estenuanti.
Il decreto Asset prevede – senza il riferimento alle Regioni – la possibilità di licenze aggiuntive (pari al 20% in più) per i grandi Comuni e quelli dove c’è un aeroporto (circa una sessantina, è la stima del Mimit).
Una norma contro cui si sono scagliati molti sindaci, da Roberto Gualtieri (Roma) a Beppe Sala (Milano) fino a Dario Nardella (Firenze). Dice Gualtieri: con l’iter standard il denaro derivato dall’acquisto delle licenze va all’80% ai tassisti detentori delle licenze pre-esistenti, a titolo compensatorio, e al 20% al Comune. Con il dl Urso si risparmia sì del tempo ma quei soldi vanno al 100% ai tassisti, “e in una città come Roma parliamo di svariati milioni”.
Sull’aumento delle licenze dei taxi e il decreto che le regola, dice Sala, “vorrei fare una riflessione con gli altri sindaci perché vedo che sul tema c’è molto disappunto rispetto alle regole che sono uscite. Certamente c’è un tentativo, anche dalle dichiarazioni che ho sentito, di scaricare di nuovo il problema sui sindaci”.
Nardella invece sottolinea come il decreto legge “elimina le licenze temporanee che a Firenze abbiamo efficacemente sperimentato”, non aiuta granché sui tempi e paradossalmente “mette un tetto del 20% all’aumento comprimendo l’autonomia dei Comuni che in teoria ne avrebbero potute prevedere anche di più”.
Insomma il governo ha scaricato la patata bollente delle licenze sui sindaci senza procedere a una vera liberalizzazione del settore. Ma nonostante questo i tassisti sono lo stesso scontenti.
Lontani anni luce dal rispetto dei principi base della concorrenza e della liberalizzazione, del resto, hanno dato prova di essere le destre non solo nella difesa dei tassisti, ma anche dei balneari e degli ambulanti.
Come per il salario minimo il governo si è affidato al Cnel per affossare la proposta dei 9 euro l’ora così, sui balneari, ha scaricato a un tavolo di lavoro istituito al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, sotto la regia del ministro Matteo Salvini, la responsabilità di affossare la direttiva comunitaria che impone concorrenza sul mercato nel settore delle concessioni.
Il Consiglio di Stato ha annullato la proroga delle concessioni fino al dicembre 2033 ammettendone la validità solo fino al 31 dicembre 2023, e precisando che qualsiasi proroga automatica oltre quella data sarebbe stata disapplicabile. Eppure il governo ha approvato una proroga di un anno fino al 31 dicembre 2024 o fino a tutto il 2025 in caso di impedimenti oggettivi alle gare.
Obiettivo delle associazioni del settore e del governo che le difende è confutare la teoria della scarsità di risorsa del bene demaniale e dunque appoggiare in sede europea la tesi che le gare si debbano fare solo per le spiagge libere, salvaguardando gli attuali concessionari.
E a tale conclusione, guarda caso, è arrivato il tavolo di cui parlavamo sopra. Il 67% delle coste italiane è libero, solo un terzo è dato in concessione. Questa conclusione conferma che la risorsa naturale disponibile non è scarsa, e quindi non si applica a questo settore la direttiva Bolkestein che impone nuove gare. Da quanto fanno filtrare fonti di centrodestra, quella percentuale è il punto di partenza per avviare l’interlocuzione con la Commissione Ue.
Ma gli imprenditori di lidi e ristoranti in spiaggia, che da anni contestano la normativa europea, chiedono di prorogare i lavori del tavolo, per mappare anche le coste di laghi e fiumi, e di considerare anche le coste rocciose. Intanto quel dato è considerato “certo e incontrovertibile” da chi per Forza Italia segue da tempo il dossier.
“Non vi è scarsità di risorse. Viene quindi meno uno dei presupposti dell’applicabilità della direttiva Bolkestein, e quindi l’obbligo di mettere a gara le concessioni in essere”, hanno affermato gli azzurri Deborah Bergamini e Maurizio Gasparri. “I numeri parlano chiaro: le spiagge in Italia non sono un bene limitato e quindi non possono essere sottoposte alla disciplina della direttiva Bolkestein”, ha detto il leghista Gian Marco Centinaio.
L’Italia è già sotto procedura di infrazione da parte di Bruxelles, che chiede di assegnare con “selezione aperta, pubblica e basata su criteri non discriminatori, trasparenti e oggettivi” le concessioni balneari in quanto considerate beni pubblici e a disponibilità limitata. Non possono, quindi, essere rinnovate automaticamente. E devono essere limitate nel tempo. E a maggio la Commissione Ue ha ribadito come “i continui ritardi” nelle gare “rimangono una fonte di preoccupazione e comportano una significativa perdita di entrate”. Un rischio che le associazioni di settore ora contano di scampare.
(da agenzie)
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