BOSSI CHI MOLLA E’ IL GRIDO DI BATTAGLIA
LA CENA SEGRETA DEL SENATUR CON I FEDELISSIMI: “NESSUN PASSO INDIETRO, MARONI SE NE ACCORGERA'”
“Una Lega bis sarebbe solo uno specchietto per le allodole”. Umberto Bossi ne è sempre stato convinto.
Lo disse al congresso straordinario del 1994, quando decise di far cadere il primo governo Berlusconi, lo ha ripetuto domenica a quanti lo invitavano a dar vita a una scissione.
I fedelissimi di sempre. Giuseppe Leoni, Roberto Castelli, Leonardo Carioni, Marco Desiderati.
Due congressi, quello del 1994 e quello di domenica, celebrati a parti invertite.
Nel primo fu Maroni a rischiare l’esilio. “A Roberto ho scaldato il latte tutte le mattine, ma è il nostro braccio debole e va amputato”, annunciò il Senatùr.
E all’allora ministro dell’Interno e vicepresidente del consiglio dei ministri (per appena otto mesi) non rimase che lasciare il Palatrussardi tra i fischi e gli insulti dei militanti, prendere un aereo e volare alle Maldive.
Altra sorte è toccata domenica a Bossi. Celebrato comunque come padre fondatore, con ancora molti militanti dalla sua parte, il Capo ha tentato di modificare il nuovo statuto del partito così da vedersi garantito un maggior potere, ma non c’è stato nulla da fare.
Non del tutto estromesso ma sicuramente arginato, commissariato, reso inoffensivo perchè privo di qualsiasi autonomia decisionale.
Ma nessuno però lo ha fischiato e nessuno può cacciarlo anche se in molti sperano che Maroni riesca ad arginarlo tanto da spingerlo al definitivo pensionamento.
Ma chi conosce davvero Bossi sa che l’idea è utopica.
Maroni lo sa bene. E infatti teme ciò che è facile prevedere: il Capo continuerà a fare il Capo. Rilascerà dichiarazioni e interviste su qualsiasi argomento, frequenterà con assiduità via Bellerio, lo studio che da venti anni utilizza e l’appartamento ricavato per lui nel quartier generale, dopo la malattia che lo ha colpito nel 2004.
Insomma Bossi sarà un pungolo insistente, una spina ingombrante nel fianco dell’ex titolare del Viminale. Una scheggia impazzita per la Lega di Maroni.
Perchè il Senatùr ha la certezza, alimentata dai seguaci di stretta osservanza bossiana, che il popolo leghista non è “quello lì di Internet, di facebook”.
Lo ha detto lui a cena domenica sera.
A tavola con pochi intimi, appena sei, tra cui Castelli e Carioni. Gli amici di sempre. A mezzanotte aveva già dimenticato le lacrime versate ad Assago e ritrovato la forza. Da madre naturale di quel bambino che è la Lega affidata usando la parabola di Re Salomone a Maroni. “Ma solo temporaneamente, se ne accorgerà ”.
Ieri Bossi ha trascorso la giornata a Gemonio, dove in serata l’hanno raggiunto gli amici fidatissimi. Tra cui il solito Carioni.
Lo ha chiamato verso le sette. “Vieni qui”. E come sempre l’ex presidente della provincia di Como, uno dei recordman di voti del Carroccio (eletto nel 2002 con il 60% delle preferenze), è salito in macchina ed è corso a casa del Capo.
Perchè è certo che Bossi non molla.
Neanche nel giorno per lui più difficile, domenica, ha ceduto di un passo.
Dal palco ha ricordato a Maroni che la Lega è la sua creatura e che l’affidamento è solo temporaneo.
Le truppe del Carroccio che vedono solo in Bossi il leader sono ancora numerose.
“Se fosse stato concesso il voto segreto, come avevo chiesto, la mia non sarebbe rimasta una posizione isolata” ha detto ieri la parlamentare padovana Paola Goisis che da delegata al congresso ha votato contro Maroni segretario.
Flavio Tremolada, assessore-sceriffo del Carroccio a Lesmo lo ha fatto mettere a verbale il suo voto contrario. “Ora vediamo come lavora, poi valuteremo”.
Tremolada è il braccio destro di Marco Desiderati, bossiano eletto al congresso nella segreteria lombarda con 24 preferenze dopo Paolo Grimoldi (31) e Andrea Mascetti (26).
Venerdì ci sarà la prima riunione del consiglio federale e Bossi parteciperà .
Già giovedì sarà nel suo ufficio di via Bellerio. Non prima perchè oggi e domani, salvo imprevisti, sarà a Roma.
“Adesso dobbiamo pensare all’unità del partito”, garantisce Giuseppe Leoni, cofondatore col Senatùr della Lega nonchè sua spalla fedele.
Che al “nemico” Maroni invia un suggerimento “quasi paterno”, dice.
“Se io fossi al suo posto userei Bossi, Umberto è un genio e conosce benissimo il partito e la realtà politica, quindi io se lo avessi a portata di mano come l’avrà Maroni, lo coinvolgerei in tutto. Mi farei aiutare, suggerire; sceglierei con lui la strada migliore da percorrere e poi la presenterei, in accordo con Bossi, come mia”.
Ma per adesso, garantisce, “non c’è alcuna ipotesi di scissione nè di fare un altro partito, figuriamoci: la Lega è Bossi e Bossi è la Lega”.
I vecchi slogan saranno difficili da dimenticare.
E così il consiglio che Leoni invia al neosegretario appare più una minaccia. Soprattutto quel “se lo avessi a portata di mano come l’avrà Maroni”.
Questo è il timore più grande di Bobo.
Il più facilmente prevedibile, del resto.
Davide Vecchi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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