BOSSI : “IL PAPA E LA BOLDRINI VANNO RISPETTATI, SPERO VINCA LA CLINTON”
“ROMA E’ SEMPRE LADRONA”: UN RITORNO ALL’ANTICA PER I REDUCI ANTI-SALVINI
Censurato sui manifesti
Salvini, certo. Poi Caparini, Martinazzoli, Consiglio, Lena, Rolfi, Bordonali, Fanetti, Grimoldi e Galli. Forse manca un nome sul manifesto che presenta la kermesse leghista.
Proviamo a indovinare: Bossi?
Il Gran Ritorno, alla fine, ha un sapore un po’ malinconico, da guerriero indomito ma stanco.
Rieccolo, Umberto Bossi a Ponte di Legno: non succedeva dal 2011. Sono stati cinque anni terribili, in cui è cambiato il mondo e figuriamoci la Lega, anni di scandali familiari e politici, durante i quali «a Ponte» il Bossi non si era più visto.
Addio monti, addio lunghi soggiorni per ricaricare batterie personali e strategie politiche, con l’albergo della Mirella assediato dai giornalisti come una sede di partito rustica ma «pesante» e talvolta perfino pensante.
Stavolta il Senatùr non ci ha nemmeno dormito. È arrivato, ha avuto un lungo e, giurano in casa leghista, «sereno» colloquio con Matteo Salvini, già in paese perchè ci comizierà domani, si è fatto intervistare dall’ex direttore di Telepadania, Max Ferrari, e se n’è tornato a casa.
Sta bene, però, insolitamente elegante, in completo grigio, buona forma e molta voglia di dire la sua. Che di recente non sempre, anzi diciamo pure quasi mai, coincide con quella di Matteo Salvini. Da qui una certa freddezza preventiva leghista.
Oscurato sui manifesti
La tradizionale festa di Ponte di Legno è annunciata da manifesti con il faccione di Salvini e i nomi di tutti i leader che partecipano, anche minori e minimi: quello di Bossi non c’è.
E infatti ad aspettarlo nel megalomane palasport locale non sono in tanti: duecento, duecentocinquanta persone a voler essere ottimisti. Tutti in fila per assaggiare i «gnoc da la cà¼a», specialità locale (sei euro e 50, e come qualità tanti saluti alle feste dell’Unità ) e poi per il liscio. In maggioranza, sembrano leghisti della prima ora, per i quali Roma è ancora ladrona, madame Le Pen una fascista, l’indipendenza della Padania un obiettivo.
Prima di salire sul palco fra gli strumenti degli Outsiders (non è Parisi, è proprio la band che si chiama così) e sotto uno striscione «Mai molà¡ – Tegn dà¼r» che fa molto Lega antica, Bossi parla con i giornalisti.
E si capisce subito che prima ha visto Salvini e non vuole polemizzare, pur non rinunciando a mettere i puntini sulle «i». In comune, almeno, c’è il nemico, l’altro Matteo, quello di Palazzo Chigi.
«Al referendum sulla riforma costituzionale – dice Bossi – bisogna votare no, perchè neppure Mussolini aveva osato tanto. Se vince il sì, per il Paese è finita».
E se vince il no, Renzi se ne deve andare? «Sì. Ma deve farlo per l’economia, perchè da fanfarone era venuto in Parlamento a dirci che l’avrebbe rilanciata. Con tre milioni di disoccupati e tre di lavoratori in nero, il suo bilancio è disastroso».
Mano tesa agli (ex) alleati
Su Parisi, che a Salvini non piace, Bossi è possibilista. «La sua convention del centrodestra? Se mi invita, ci vado. Però è chiaro che il suo compito è quello di sistemare un po’ Forza Italia». Però si è già autocandidato a premier, esattamente come Salvini… «Prima si fanno i programmi e poi si sceglie il candidato».
Ma la Lega nel nuovo centrodestra ci sarà ? «Per forza! Dove vuole che vadano, senza Lega…».
Le idee del Senatùr non cambiano nè sulla Bossi-Fini («faceva un ragionamento serio, entra solo chi ha un lavoro, perchè senza lavoro non c’è integrazione») nè sulla secessione: «Roma toglie al Nord 100 miliardi di euro all’anno. In nessuna parte del mondo succede qualcosa del genere».
Fuori linea anche su #sgonfialaboldrini e relative polemiche: è stata «una caduta di stile». E qui la battuta è molto bossiana: «Il Papa e le donne vanno trattati bene».
La “pax” con il segretario
Nell’intervista, Ferrari è attentissimo a evitare temi passibili di politica interna al partito. E’ tutto un riconoscere al «presidente» la sua preveggenza su immigrazione, Turchia, guerre nei Balcani. Rimembranze, insomma.
Il tono è quello dei ricordi, quasi da storico, un’attualità a misura di archivio. Bossi parla della battaglia di Pavia quasi più di quella del referendum, cita Marco d’Aviano e la Regina Elisabetta (l’attuale, occorre precisare) più di Parisi o Salvini.
Digressioni sulla geopolitica, perfino: «Tutto sommato, spero che vinca la Clinton», dice il Senatùr, e questa è forse l’unica notizia.
Diciamolo: Bossi sembra un «revenant», come Vittorio Emanuele III chiamava i vecchi politici liberali riemersi dalle catacombe dopo vent’anni di fascismo.
In platea, qualcuno torna alle salamelle, gli altri applaudono stancamente, per simpatia, per affetto, per riconoscenza.
O forse in memoria delle proprie illusioni perdute.
Alberto Mattioli
(da “La Stampa”)
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