CANONE RAI, SALVINI E TAJANI SI CONTENDONO L’ORACOLO DI SILVIO
A UN ANNO E MEZZO DALLA SCOMPARSA, BERLUSCONI CONTINUA A ESSERE TIRATO IN BALLO COME FOSSE VIVO
Sul taglio o meno del canone televisivo è suonato più inutile che sconveniente consultare l’oracolo di Arcore. Salvini dice che in extremis Berlusconi era favorevole, Tajani dice che no, c’era pure Letta. Aleatoria resta dunque la testimonianza dall’oltretomba, controverso il verdetto medianico invocato dai vicepremier a sostegno delle reciproche convinzioni e convenienze.
Ora, cosa pensasse davvero Berlusconi del canone è perfino trascurabile. Forse ne avrà pensato tutto e forse niente, alla fine della sua incommensurabile vita, immerso nel doloroso andirivieni con l’ospedale San Raffaele, era stanco, magari disilluso, provato dallo sforzo di doversi dimostrare attivo e vivace nonostante il torpore discontinuo dei farmaci e il pensiero della malattia e del suo destino.
Non di rado, oltretutto, ai tempi antichi il responso degli oracoli giungeva oscuro, ambiguo, contraddittorio. E più spesso di quanto oggi si tenda a ricordare il Cavaliere diceva una cosa e poi il suo esatto contrario. Si converrà quest’ultima sia una costante della politica, abbastanza intensificatasi nella post-politica; essendone lui il fondatore e il più attivo protagonista, Berlusconi era incredibilmente bravo e svelto e persuasivo a praticarla con il massimo profitto, per cui nulla vieta di pensare che a Salvini abbia detto sì, ad altri ni e ad altri ancora no: eloquente, semmai, risulta a riguardo il silenzio di Fedele Confalonieri e dei berlusconidi che su questo genere di faccende non da ieri hanno qualche vocina in capitolo.
Ma di nuovo poco: importa l’emendamento sul canone tv. Significativa è piuttosto la pretesa che a un anno e mezzo dalla sua scomparsa Silvione seguiti a essere tirato in ballo come se fosse vivo e al tempo stesso come una sorta di divinità onnisciente, infallibile e ultimativa: l’ha detto lui, quindi è la verità, Ipse dixit, zitti e mosca, eccetera.
Vero che stavolta l’invocazione ha fatto cilecca, ma il fatto stesso che i vicepremier ci abbiano inopinatamente provato dà la misura del potere che da sempre i morti esercitano sui vivi. E un po’ anche della fifa e/o della coda di paglia che per forza di cosa questa seconda generazione di seguaci e alleati si porta appresso nei confronti di Berlusconi, la cui irata invidia, secondo schemi dell’antropologia culturale, cercano di placare con offerte votive in forma di turbamenti da comizio e mani sul cuore, precipitose intitolazioni (Malpensa), francobolli buttati lì e citazioni alla cieca, se non a vanvera.
Ritornando con i piedi per terra: al di là dell’inevitabile retorica, l’esperienza storica berlusconiana appare lunga e problematica, fulgida ma anche catastrofica, in ogni caso controversa, caotica e contraddittoria. Tajani sa benissimo, per dire, quale triste sorte toccava ai tanti pretesi eredi ed effimeri “coordinatori” di cui il Cavaliere regolarmente si stancava; così come Salvini e l’attuale premier, ospiti estivi a villa Certosa (lui venne con Francesca, lei con La Russa e visitarono pure la serra delle farfalle), ricorderanno quanto gli stava a cuore diventare, sia pure per poco, presidente della Repubblica. Promisero, ma al dunque non si diedero granché da fare – poi con la “signora Meloni” fu anche peggio. Così è la vita e anche, se consentito, la storia. Da domani si ricomincia con l’emendamento sul tetto pubblicitario.
(da repubblica.it)
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