CASO ABLYAZOV, EMERGONO NUOVE INCONGRUENZE NELLA RICOSTRUZIONE “UFFICIALE”
ROGATORIA VERSO LA REPUBBLICA DEL CENTROAFRICA PER VERIFICARE VALIDITA’ DEL PASSAPORTO…IL DOCUMENTO DEL KAZAKISTAN ALLA QUESTURA SI PERDE PER STRADA E NON ARRIVA IN TRIBUNALE
La procedura di espulsione della signora Alma Salabayeva, restituita con la figlioletta di 6 anni al Kazakhstan nonostante fosse la moglie del principale oppositore politico, e nonostante lei abbia implorato asilo politico, è stata possibile grazie ad alcuni documenti che ora sono all’esame degli avvocati difensori della signora e che sono anche al centro degli accertamenti ordinati da palazzo Chigi.
Atti che potrebbero essere altrettanti problemi per il ministero dell’Interno.
Il primo è un documento della polizia di frontiera che ipotizza il passaggio della signora Alma Ayan nel 2004 dal valico del Brennero.
Ora, il nome Alma Ayan è quello che compare sul passaporto diplomatico emesso dalla Repubblica del Centroafrica, con il cognome da nubile della signora.
Secondo la polizia si trattava di un passaporto taroccato.
Il tribunale del Riesame ha deciso l’opposto.
Potrebbe non finire qui: la procura di Roma sta pensando a una rogatoria internazionale verso il Centroafrica per venire a capo definitivamente del problema.
Ma qui interessa poco.
Il punto è che nel 2004 questo passaporto non esisteva, essendo stato emesso nel 2010, e che la signora Alma Shalabayeva viveva ancora in Kazakhstan con il suo vero nome.
Al prefetto di Roma, per convincerlo a firmare un ordine di trattenimento e di espulsione, comunque è stata consegnata quella nota risalente al 2004 che implicitamente dimostrava che la signora è un’inveterata immigrata clandestina.
Il secondo atto risale al 30 maggio scorso.
La signora Alma è trattenuta al Cie di Ponte Galeria da 24 ore.
La questura di Roma ottiene dall’ambasciata del Kazakhstan l’indispensabile «riconoscimento» che la sedicente Alma Ayan è in realtà Alma Shalabayeva, con cittadinanza kazaka, e che quindi si può procedere all’espulsione forzata verso quel Paese.
Ebbene, il giorno dopo, il 31 maggio, questo documento cruciale non sembra comparire all’udienza di convalida per il trattenimento davanti al giudice di pace.
Mancando il riconoscimento ufficiale di chi fosse in realtà la signora, il giudice di pace ha potuto legittimamente procedere contro una sedicente Alma Ayan, di cui sapeva soltanto che era stata trovata in possesso di un passaporto taroccato della Repubblica del Centroafrica e che era transitata nel lontano 2004 dal valico del Brennero.
Non è un caso, infatti, che l’intero fascicolo del giudice di pace sia intestato alla sedicente Alma Ayan.
E quando gli avvocati, nel corso dell’udienza, hanno fatto presente che la signora era disposta a lasciare volontariamente l’Italia, che il passaporto era valido e che godeva di status diplomatico, il giudice di pace ha ovviamente obiettato che ciò sarebbe stato impossibile dato che non aveva documenti in regola.
«Si osservi – sostiene l’avvocato Riccardo Olivo – che la legge prevede in prima istanza l’allontanamento volontario e solo in subordine l’espulsione forzata». Tornando al giudice di pace, «se il documento ufficiale dell’ambasciata del 30 maggio fosse finito sul suo tavolo – dice ancora il legale – la storia avrebbe necessariamente preso un’altra piega.
A quel punto non sarebbe stato più necessario e forse nemmeno più legittimo il trattenimento nel Cie, figurarsi l’espulsione forzata».
Lo stesso giorno, alle ore 19, la polizia di frontiera di Ciampino certifica che la signora Alma Ayan e sua figlia Alua Ayan, di 6 anni, lasciano l’Italia in esecuzione di un ordine di espulsione a bordo di un jet privato dopo essere stata affidata al console del Kazakhstan.
«Al pilota del jet, invece, la questura di Roma a quel punto consegna correttamente la certificazione che trattasi della signora Alma Shalabayeva».
Francesco Grignetti
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