Destra di Popolo.net

LO CHEF LOCATELLI CHE OGGI RIAPRE A LONDRA: “A DIFFERENZA DELL’ITALIA QUA ABBIAMO DAVVERO CHIUSO PER TRE MESI”

Aprile 12th, 2021 Riccardo Fucile

“LA CASSA INTEGRAZIONE HA FUNZIONATO E ABBIAMO AVUTO PRESTITI GARANTITI DAL GOVERNO CHE ORA GRADUALMENTE RESTITUIREMO”… “IN ITALIA I RISTORATORI SONO POCO FLESSIBILI”

“L’incertezza ha generato la rabbia dei ristoratori italiani, ma non è scusabile la violenza”. Giorgio Locatelli, primo italiano all’estero ad essere premiato con una stella Michelin con la Locanda Locatelli, commenta così a HuffPost le proteste dei ristoratori contro le misure restrittive del governo italiano. Lo chef, dopo il successo della decima stagione di MasterChef – lo show di Sky prodotto da Endemol Shine Italy -, è pronto a tornare alla guida del programma. Ma prima c’è il suo ristorante da riaprire – questa volta senza nuove chiusure all’orizzonte – per la prima volta dopo l’ultimo lockdown inglese.
Chef Locatelli, oggi riapre il suo ristorante a Londra.
“Finalmente riapriamo per la cena, siamo completamente sold out. Il telefono non smette mai di suonare. La gente vuole tornare a vivere la convivialità, che è un piacere di cui non ci si può dimenticare. Vedo che le persone sono contente di poter tornare a vivere certi piaceri”.
Che emozioni prova a poche ore dalla riapertura?
“Mi sento sollevato. Quando il ristorante è chiuso, senza nessuna entrata, è un problema. Ora possiamo ricominciare con una visione abbastanza ottimista. Non ci chiuderanno nuovamente tra due o tre mesi, questa è l’ultima volta che riapriamo. Ciò è molto importante perché possiamo pensare al futuro, possiamo fare dei piani, decidere un budget per progettare i prossimi sei mesi. Tapperemo i buchi che si sono creati. Per essere ancora qui si sono creati dei debiti che adesso possiamo ripagare”.
Ha detto qualcosa in particolare ai suoi dipendenti?
“Non ancora. Alle cinque riapriamo ma mezz’ora prima ceneremo insieme a tutto lo staff. Viviamo come una famiglia, non facciamo i briefing ma mangiamo insieme. Mi sono preparato un discorso, spero di riuscire a farlo per caricare tanto il mio staff. Ma i miei dipendenti sono già carichi, erano stufi e volevano tornare a lavorare. Tutto il nostro comparto vuole lavorare e non restare chiuso. Il nostro è un lavoro che non riesci a fare bene se sei obbligato. Abbiamo avuto problemi con dipendenti che, non avendo più contatti con i clienti, sono andati in depressione. Si rende conto?”
É stata una situazione difficile a livello umano oltre che economico.
“Il nostro non è un lavoro di produzione ma di contatto con il cliente. Tante volte il cliente riesce a darci tanto. Noi non siamo solo servitori, ma esiste uno scambio con i clienti che da ritmo alla nostra vita. Senza questo contatto ci manca un aspetto essenziale di quello che siamo davvero, di quello che valiamo e del nostro posto nel mondo”.
Qual è il clima a Londra, che ha appena raggiunto l’immunità di gregge?
“L’attenzione resta alta. Lo smartworking è ancora attivo in alcuni casi per non congestionare la città. Fino a oggi non c’erano tante persone per strada, ora staremo a vedere con le riaperture. La gente deve imparare nei prossimi mesi a comportarsi in un certo modo. Nonostante le tantissime persone vaccinate non si possono correre rischi. Dobbiamo rispettare le distanze e l’uso delle mascherine. Sono cose importantissime e di base. Vedo le persone per strada che ora, nonostante la mascherina sul volto, sorridono. Prima vedevo solo gente con la testa bassa. C’è un sentimento di rinascita”.
La situazione in Italia è diversa. I ristoratori sono scesi in piazza per protestare contro il governo.
“Io personalmente manco dall’Italia da tanto tempo ma non posso non avere un’idea della situazione. Mi sono accorto di una cosa: la cassa integrazione italiana non ha funzionato e ha resto impossibile la vita a molte persone. Molti lavoratori del mondo della ristorazione si sono ritrovati senza entrate e con una famiglia, dei figli e un affitto da pagare. Come fai? Lo lasci sulla strada? Chi deve pagarlo?”.
In Inghilterra il sistema della cassa integrazione ha funzionato diversamente?
“In Inghilterra il sistema ha funzionato benissimo. Qui i dipendenti erano più tranquilli, avevano i soldi necessari per vivere e ora sono tutti pronti per ricominciare. In Italia non è stato così. Le persone sono arrabbiate per questo ma io non condono mai la violenza. È brutto vedere le persone che lavorano nel mondo dell’hospitality usano la violenza per dimostrare le proprie intenzioni. Ho sentito una persona dire che noi ristoratori ‘siamo tutti nella stessa barca’. Ma non è vero. Siamo tutti nello stesso mare ma su barche diverse. Un ristorante con 50 dipendenti è diverso da quello che ne ha tre. Le chiusure, le riaperture, la suddivisione delle regioni per colori, hanno creato indecisione e quindi anche rabbia. In Inghilterra hanno deciso di chiudere tutto. Se avessero fatto così anche in Italia forse la situazione sarebbe diversa. Ma è stata dura anche per noi”.
Mi spieghi.
“Siamo stati chiusi per tre mesi. Abbiamo fatto dei prestiti, garantiti dal governo, per non chiudere. Ma dovremo restituire i soldi, abbiamo preso dei rischi. In Italia non c’è una rappresentazione ministeriale della ristorazione e questo è un problema. In Inghilterra sono stati nominati degli assistenti del Ministro del Turismo che si sono occupati delle singole categorie come ristoranti, hotel, pub. Avere persone che rappresentano singole categorie è più efficace. I politici devono capire esattamente quali sono i problemi delle singole categorie. La gente è disperata e io non sarei così positivo se il sistema inglese non si fosse preso cura adeguatamente del personale del mio ristorante. Ho vissuto meno ansia sapendo che il mio staff aveva abbastanza soldi per vivere”.
Qual è la lezione che il mondo della ristorazione deve imparare dalla pandemia?
“La lezione importantissima è che dobbiamo avere flessibilità nel mondo della ristorazione. Bisogna essere capaci di cambiare e dobbiamo ricordarci che il nostro business è dedicato a persone che consumano in modo differente. Il mondo è cambaito rispetto a 50 anni fa e il ristorante è lo specchio dei cambiamenti. Anche un ristorante aperto da 30 anni, se non si adegua ai nuovi clienti, è un locale nullo. Dobbiamo essere capaci di cambiare e trasformarci. In Italia ci sono ristoranti gestiti dalla stessa famiglia da tantissimi anni che non cambiano mai. Il business di chi non è capace di cambiare non vale niente”.
(da Huffingtonpost)

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A GIUGNO ARRIVA CUREVAC, IL TERZO VACCINO MRNA

Aprile 11th, 2021 Riccardo Fucile

“PRODURREMO 300 MILIONI DI DOSI NEL 2021”

A Tubinga sperano che il mese buono sia quello di giugno: circa sei mesi dopo il via libera a Pfizer/Biontech, dalla città universitaria tedesca potrebbe arrivare il terzo vaccino a Rna messaggero contro il Covid, quello sviluppato dall’azienda di biotecnologie CureVac.
Il processo di approvazione da parte dell’Ema è già cominciato a febbraio: “Il candidato vaccino di CureVac, CVnCoV, è in una fase avanzata della sperimentazione clinica a seguito di ampi studi sulla sicurezza e sulla tollerabilità. Ci aspettiamo nuovi dati nel corso del secondo trimestre e li utilizzeremo come base per far avanzare il processo di approvazione del nostro vaccino che è già iniziato“, spiega a ilfattoquotidiano.it Franz-Werner Haas, amministratore delegato di CureVac.
Per l’Unione europea e l’Italia l’autorizzazione sarebbe una boccata d’ossigeno nella campagna di vaccinazione: il candidato vaccino tedesco utilizza la tecnologia dell’Rna messaggero come quelli Pfizer o Moderna, che finora hanno avuto altissime performance in termini di efficacia e creato meno grattacapi dal punto di vista della sicurezza.
Inoltre, come confermato dall’azienda, il vaccino di CureVac non utilizza mRna modificato chimicamente: i vantaggi sono l’impiego di un dosaggio inferiore e la possibilità di una conservazione a una temperatura di 5 gradi per almeno tre mesi. Un fattore che facilita notevolmente la gestione delle fasi di trasporto e stoccaggio.
DOSI, TEMPI E ACCORDI
“Prevediamo una produzione fino a 300 milioni di dosi nel 2021 e un miliardo di dosi il prossimo anno”, afferma Haas. L’accordo con la Commissione europea è già stato firmato, in Italia dovrebbero arrivare in totale quasi 30 milioni di dosi.
Il piano stilato a inizio marzo dal commissario all’emergenza Francesco Paolo Figliuolo ne prevede 7,3 già entro giugno: un obiettivo difficile da raggiungere, ma entro settembre è previsto l’arrivo complessivo di 14 milioni di dosi. Le altre 16 saranno a disposizioni, salvo intoppi, tra fine anno e il primo trimestre 2022.
Il fattore tempo, come sappiamo, è determinante: il piano vaccinale italiano all’origine prevedeva l’arrivo di 2 milioni di dosi del vaccino di CureVac già entro marzo.
Ora la speranza è riuscire a scongiurare ulteriori ritardi, dopo che già le altre aziende farmaceutiche hanno avuto seri problemi nell’approvvigionamento delle materie prime, nella produzione e infine nella consegna delle dosi.
“La fornitura delle materie prime è davvero una sfida perché le catene di approvvigionamento globali sono interrotte dalla pandemia”, ammette l’amministratore delegato dell’azienda di Tubinga. “Ad esempio – spiega Haas – a volte non è possibile ottenere l’attrezzatura o i materiali necessari per la produzione di vaccini, in quanto soggetti a divieti di esportazione. Il governo tedesco e la Commissione europea ne sono a conoscenza e si stanno impegnando per aiutarci“.
L’azienda tedesca ha già siglato accordi di collaborazione per la produzione del vaccino con Bayer e GlaxoSmithKline, ma anche con Fareva, Rentschler e Wacker: l’obiettivo è istituire una rete europea per la produzione delle dosi.
L’Unione europea dovrebbe anche essere la principale area di distribuzione del vaccino: “Oltre al fatto che la Germania è partner di CureVac – sottolinea Haas – abbiamo ricevuto fondi per lo sviluppo e la produzione del nostro vaccino, con un finanziamento di 252 milioni di euro dal governo tedesco. Abbiamo anche firmato un contratto con la Commissione europea per la fornitura di dosi di vaccino, che ci ha a sua volta fornito un sostegno finanziario per lo sviluppo del vaccino”.
“Senza questo finanziamento, non saremmo stati in grado di gestire gli investimenti associati allo sviluppo del vaccino”, ammette l’amministrato delegato di CureVac, che in passato aveva indicato proprio nella carenza di fondi la causa del “ritardo” rispetto a Pfizer/Biontech.
Inoltre, l’azienda sta sviluppando insieme a Tesla una “mini-fabbrica mobile e flessibile di m-Rna”, chiamata The RNA Printer®. Questa tecnologia consentirà alle stesse strutture sanitarie di produrre dosi di vaccino: “L’obiettivo è utilizzare The RNA Printer® in tutto il mondo, ad esempio direttamente sul luogo di un focolaio locale, per riuscire a riportarlo rapidamente sotto controllo. Allo stesso tempo, The RNA Printer® può anche implementare rapidamente le modifiche necessarie al vaccino a causa di eventuali varianti”, spiega Haas.
CHE TIPO DI VACCINO È? COME FUNZIONA?
CVnCoV, il candidato vaccino di CureVac, è come detto un vaccino a Rna messaggero: una tecnologia innovativa che consiste nell’utilizzare la sequenza del materiale genetico del coronavirus, ossia l’acido ribonucleico (Rna), che rappresenta il messaggero molecolare che contiene “le istruzioni” per costruire la proteina Spike del virus, contro la quale si vuole scatenare la reazione del sistema immunitario.
“La tecnologia Rna consente lo sviluppo di vaccini sicuri ed efficaci“, assicura Haas. La “rolling review” dell’Ema, come detto, è cominciata a febbraio, ma sull’efficacia del vaccino di CureVac ancora non esistono dati: “La sperimentazione clinica è ‘in doppio cieco‘ (sia i soggetti esaminati che gli sperimentatori ignorano le informazioni fondamentali, ndr) e quindi non sappiamo chi dei soggetti testati ha ricevuto un placebo o il nostro vaccino”. Per questo, spiega l’amministratore delegato, “non siamo ancora in grado di rilasciare alcuna dichiarazione sull’efficacia del vaccino”.
La grande differenza ad esempio con il vaccino Pfizer e Moderna sta invece nell’approccio tecnologico: “A differenza di altri, non utilizziamo alcun mRNA modificato chimicamente”, chiarisce Haas.
“Attraverso una ottimizzazione della sequenza la produzione di proteine ​​può essere migliorata, così possiamo lavorare ad esempio con basse dosi di mRNA e generare comunque una risposta immunitaria equilibrata”.
In pratica, il vaccino contiene un dosaggio di Rna molto inferiore. Infine, il Ceo di CureVac assicura che l’azienda è già al lavoro anche sul contrasto alle varianti del Covid: “Stiamo conducendo studi in vitro mirati sulle varianti critiche per confermare l’efficacia del nostro attuale candidato vaccino. Recentemente siamo stati in grado di dimostrare nei test preclinici che è efficace contro la variante sudafricana“, afferma Haas. Che poi evidenzia un altro vantaggio della tecnologia a mRna: “Offre la flessibilità di adattare i futuri candidati vaccini alle varianti“.
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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GENERALE IN CONFUSIONE: RIAPRONO LE SCUOLE E FERMANO I VACCINI AGLI INSEGNANTI

Aprile 11th, 2021 Riccardo Fucile

META’ DEI PROF SENZA LA PRIMA DOSE

Per lo staff del Commissario Francesco Figliuolo si tratta di uno stop di poche settimane. Dipende da regione a regione.
Di fatto potrebbe essere la fine del programma di vaccinazione dei docenti. La sera del 9 aprile il generale a capo del piano vaccinale ha firmato un’ordinanza che ridefinisce i criteri di priorità: prima gli anziani e tutti i soggetti fragili, poi tutti gli altri.
Fra chi scende nella classifica delle persone da vaccinare con più urgenza ci sono anche gli insegnanti per cui un fermo di qualche settimana vuol dire rimandare tutto alla fine dell’anno scolastico.
Una notizia che è stata accolta con parecchie critiche dal mondo della scuola, visto che proprio in questi giorni molti studenti stanno tornando a scuola, tanto che ora dovrebbero essere in presenza 8 studenti su 10, quasi un milione in più rispetto alla scorsa settimana, per un totale di 6,5 milioni.
Da lunedì 12 aprile torneranno in classe tutti i bambini degli asili, delle scuole elementare e l’87% delle scuole medie. Per le superiori è previsto il rientro del 38% degli studenti, con l’alternanza del 50 e del 70% nelle regioni in cui è previsto.
I sindacati protestano
Gli effetti dell’ordinanza di Figliuolo si definiranno nel concreto nelle prossime settimane. Domani i sindacati incontreranno il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi per chiarire cosa succederà ai docenti nel piano di vaccinazione. Dalle informazioni diffuse insieme all’ordinanza chi ha già fatto la prima dose dovrebbe poter fare anche la seconda senza problemi. Non è chiaro invece cosa succederà ai docenti che hanno già un appuntamento.
I dati: personale scolastico, insegnati e dosi ricevute
Il personale scolasticolo è composto da 1.493.334 persone. In base agli ultimi dati a disposizone il numero dei docenti è di 729.668. Di questi la maggior parte, oltre 600 mila sono donne. L’età media invece è oltre i 54 anni. Dall’inizio della campagna vaccinale a questa categoria sono arrivate 1.106.170 dosi. Secondo Orizzonte Scuola, ad aver completato il ciclo di vaccinazioni però solo una piccola parte di loro: parliamo di meno di 6 mila. In totale quindi ha ricevuto almeno una dose di vaccino il 56% del personale scolastico ed è stato completamente vaccino solo lo 0,87%.
I ritardi nella campagna vaccinale
A motivare la scelta di Figliuolo sono stati i ritardi nella campagna vaccinale per gli anziani. L’intenzione ben annunciata del Governo Conte II era quella di chiudere la prima fase della campagna vaccinale entro il mese di marzo e proteggere così gli anziani e le categorie più fragili. Non è andata esattamente così: solo il 38,8% degli over 80 ha ricevuto tutte e due e dosi di vaccino, completando così il ciclo di immunizzazione. Percentuale che si annulla se si guarda alla fascia tra i 70 e i 79 anni. Di questi solo il 2,5% è completamente vaccinato. Va meglio per gli ospiti delle Rsa: il 91,2% ha ricevuto almeno uno dose e il 75,5% ha completato il ciclo di immunizzazione. In tutto in Italia sono 12.820.510 le dosi somministrate. Sono state completamente vaccinate 3.882.469 persone.
I sindacati: «Per tornare a scuola in sicurezza servono le vaccinazioni»
«Se vogliamo riaprire la scuola in sicurezza è indispensabile che tutto il personale scolastico possa vaccinarsi», spiega Maddalena Gissi, segretario nazionale della Cisl scuola. L’accusa dei sindacati al governo Draghi è quella di essersi mossi troppo tardi, tanto da compromettere ora la ripartenza della didattica in presenza. Sulla stessa linea anche Antonello Giannelli, dell’Associazione nazionale dei presidi: «Fermare la campagna vaccinale per il personale scolastico è un provvedimento illogico. Siamo pronti a protestare con tutto il nostro dissenso: i docenti non sono dei privilegiati. Devono rientrare nelle categorie a rischio perché ogni giorno incontrano anche oltre 100 studenti diversi: possono diventare un facile veicolo di virus. Sarebbe assurdo non metterli in sicurezza».
(da agenzie)

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COME FUNZIONA IL VACCINO JOHNSON & JOHNSON

Aprile 11th, 2021 Riccardo Fucile

CON UN’UNICA DOSE E’ EFFICACE NEL RIDURRE DEL 67% I CASI SINTOMATICI

Finalmente anche in Italia stanno per incominciare le somministrazioni del quarto vaccino approvato contro Covid-19. Ora è la volta di Ad26.COV2.S sviluppato da Janssen, azienda di Johnson & Johnson.
Realizzato con la “tecnologia” degli adenovirus come vettore virale, la peculiarità del vaccino sviluppato dal colosso statunitense è nella singola dose, una caratteristica in grado potenzialmente di rivoluzionare la campagna vaccinale.
Nei giorni scorsi un po’ di turbolenza l’aveva generata una nota dell’Ema che ha aperto un fascicolo su questo prodotto perché 4 casi di trombosi avevano colpito negli Usa persone vaccinate col J&J. Ma l’austero ente americano, la Fda, che ha esaminato tutti i fascicoli, assicura che non c’è alcun collegamento tra questi casi di trombosi e il vaccino.
Come funziona il vaccino Johnson & Johnson?
A differenza dei già noti vaccini a mRNA di Pfizer-BioNTech e Moderna, il prodotto di Johnson & Johnson appartiene alla categoria dei vaccini a vettore virale come quello sviluppato da AstraZeneca e dai russi del Gamaleya Research Institute of Epidemiology and Microbiology.
L’obbiettivo comune di tutti i vaccini è far produrre al sistema immunitario gli anticorpi diretti contro la proteina spike del coronavirus. Ciò che cambia nel caso dei vettori virali è il metodo con cui ciò si verifica. Mentre per quelli a mRNA si inietta direttamente l’informazione, quelli a vettore virale contengono una porzione di DNA – che serve per far produrre la proteina spike – incapsulata all’interno di un adenovirus. Una volta iniettato all’interno del corpo, il virus – reso opportunamente innocuo – rilascia il materiale genetico utile a produrre la proteina. Una strategia che si è dimostrata già utile sia nella produzione del vaccino per Ebola sia per Covid-19. Ma a differenza di AstraZeneca e Sputnik V (il vaccino russo di cui EMA, al momento, sta effettuando la revisione dei dati per poter procedere all’autorizzazione), il prodotto di Johnson & Johnson ha la caratteristica di essere somministrato in un’unica dose.
Quanto è efficace?
Secondo i dati analizzati da EMA – che hanno portato all’approvazione del vaccino in tutto il territorio UE – derivanti del trial clinico ENSEMBLE, il vaccino si è dimostrato efficace nel ridurre del 67% i casi sintomatici di Covid-19 a due settimane dalla somministrazione.
Efficacia che raggiunge l’85% nella prevenzione delle forme gravi della malattia. Attenzione però a pensare, come per AstraZeneca, che si tratti di un vaccino di serie B. Tutt’altro. L’efficacia nell’evitare ricoveri e decessi a 4 settimane dalla somministrazione è stata del 100%.
Percentuali importanti che variano però tra le varie aree geografiche: 72% negli Stati Uniti, 66% in America Latina e 57% in Sudafrica.
Particolarmente interessante è proprio l’ultimo dato relativo al Sudafrica, dove è presente la variante B.1.351. Pur essendo meno efficace, il vaccino si è dimostrato utile contro le forme da moderate a gravi.
Ma c’è un altro dato che fa ben sperare: il 41% dei partecipanti allo studio apparteneva a categorie ad aumentato rischio di progressione a forme gravi di Covid-19, ovvero persone obese, diabetiche, ipertese, sieropositive e immunocompromesse.
I vantaggi del costo e della logistica
Oltre a presentare il vantaggio della singola somministrazione, il vaccino Johnson & Johnson ha dalla sua il fatto di poter essere conservato ad una temperatura di “frigorifero” per tre mesi e per due anni a meno venti gradi centigradi. Un vantaggio notevole in termini di logistica. Caratteristiche che vanno ad incidere notevolmente sui costi. Secondo l’azienda, pur considerando che il prezzo dipende dalle trattative con l’UE, una singola dose costerebbe non più di qualche euro.
Le dosi distribuite in Europa
Per quanto riguarda i Paesi dell’Unione Europea, secondo quanto dichiarato dall’AD di Janssen Massimo Scaccabarozzi, saranno 200 milioni (da valutare ancora l’impatto delle 15 perse per un errore di produzione in uno degli stabilimenti in USA) le dosi che arriveranno entro il 2021. Di queste, 27 milioni saranno destinate all’Italia. Nel frattempo la ricerca avanza e diverse multinazionali stanno incominciando le sperimentazioni per altre fasce di età non comprese nei primi studi (ad esempio Pfizer-BioNTech e Moderna). Per la fascia pediatrica in Italia il centro di riferimento per lo studio del vaccino Johnson & Johnson è l’ospedale pediatrico Vittore Buzzi di Milano.
(da “La Repubblica”)

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COSA VUOL DIRE DAVVERO “EFFICACIA” PER UN VACCINO

Aprile 11th, 2021 Riccardo Fucile

PFIZER E MODERNA QUASI PERFETTI, ASTRAZENECA COSI’ COSI’, JOHNSON POTREBBE FARE MEGLIO

Pfizer-BioNTech e Moderna quasi perfetti, Oxford-AstraZeneca così così, Johnson & Johnson potrebbe fare meglio. Guardare i numeri dell’efficacia dei vaccini anti-Covid che abbiamo attualmente a disposizione (e di quelli che arriveranno) può facilmente – e comprensibilmente – portare alla conclusione che esistano dei farmaci di serie A e dei farmaci di serie B.
Dimenticando per un momento la questione degli effetti collaterali, è infatti lecito pensare che tra un vaccino la cui efficacia sfiora il 95% e uno cui si ferma al 66% sarebbe tutto sommato preferibile, potendolo fare, scegliere il primo.
Come spesso accade, però, le cose sono più complicate di così: il valore dell’efficacia, infatti, va compreso e contestualizzato, e la comparazione brutale dei valori dichiarati dalle aziende produttrici può essere spesso fuorviante e far cadere in errore.
Come si misura l’efficacia…
L’efficacia dei vaccini anti-Covid è misurata a partire dai risultati dei trial clinici di fase 3 (quelli precedenti, di fase 1 e 2, servono infatti a stabilire soltanto che il candidato vaccino, e più in generale qualsiasi farmaco, è sicuro). I trial di fase 3 funzionano in questo modo: a una metà dei partecipanti viene somministrato un placebo e all’altra metà il candidato vaccino. Dopodiché, i volontari vengono rispediti nel mondo reale e monitorati nel corso dei mesi successivi per contare quanti di loro contraggono la malattia.
Prendiamo per esempio il trial clinico di fase 3 condotto da Pfizer: la sperimentazione comprendeva circa 43mila persone, e dopo la somministrazione del vaccino (o del placebo) 170 di loro hanno contratto la malattia; di questi, 162 facevano parte del gruppo cui era stato somministrato il placebo, e 8 del gruppo cui era stato somministrato il vaccino. È da questi numeri che i ricercatori hanno misurato un’efficacia del 95%. Se tutti i casi si fossero registrati nel gruppo placebo, il vaccino avrebbe avuto un’efficacia del 100%; di converso, se fossero stati equamente distribuiti nei due gruppi, il vaccino avrebbe avuto un’efficacia dello 0%. Il che, tradotto, avrebbe voluto dire che il vaccino non modificava in alcun modo la probabilità di ammalarsi.
…e cosa vuol dire
Alla luce di questo, come va interpretato il valore dell’efficacia? Avere un vaccino efficace al 95% non vuol dire che su 100 persone cui viene somministrato, 5 si ammaleranno di Covid: al contrario, il senso della misura è relativo alla protezione individuale e va letto in termini probabilistici.
Ovvero: nel caso di un vaccino efficace al 95%, ciascun paziente vaccinato ha il 95% in meno di probabilità, rispetto a un soggetto non vaccinato, di essere contagiato ogni volta che è esposto al virus.
Perché l’efficacia non è facilmente comparabile
A questo punto possiamo tornare alla questione iniziale: quanto possiamo fidarci dei valori dell’efficacia dichiarata per stilare un’ipotetica classifica di qualità dei vaccini che abbiamo a disposizione? Non troppo, stando a quello che sappiamo. Il punto cruciale, infatti, sta nel fatto che ciascun trial clinico fa storia a sé, dal momento che le sperimentazioni sono state condotte in momenti e luoghi diversi.
Pfizer e Moderna, per esempio, hanno condotto le loro sperimentazioni principalmente negli Stati Uniti durante la scorsa estate, in un momento in cui la circolazione del virus era tutto sommato sotto controllo. Johnson & Johnson, invece, ha condotto il trial clinico di fase 3 tra l’autunno e l’inverno, quando i numeri dei contagi erano molto più alti, e principalmente in Sudafrica e in Brasile, dove erano in circolazione varianti del virus diverse da quella per cui era stato sviluppato il vaccino (basti pensare che il 67% delle infezioni riscontrate durante il trial in Sudafrica erano relative alla variante B.1.351). Ciononostante, il vaccino si è rivelato efficace al 64%: un dato molto buono, se si considera, per esempio, che il vaccino dell’influenza del 2018 aveva un’efficacia inferiore al 50% e si è rivelato comunque utile a ridurre il numero dei decessi e delle ospedalizzazioni.
L’efficacia misurata dai trial clinici è un valore che va letto con attenzione: una comparazione puntuale avrebbe senso soltanto se i trial fossero stati condotti esattamente allo stesso modo, con gli stessi criteri di inclusione, nella stessa popolazione e nello stesso momento. Una stima più precisa ce la daranno, forse, soltanto i dati dell’efficacia reale, cioè quella misurata a partire dalle somministrazioni effettuate nella popolazione generale.
I parametri alternativi
L’efficacia, comunque, non è il solo valore quantitativo che permette di valutare la bontà di un vaccino. Molti esperti sostengono addirittura che non sia nemmeno il migliore, dal momento che la prevenzione tout court dall’infezione non è l’unico parametro da valutare.
L’obiettivo delle vaccinazioni, specie in una situazione di emergenza come quella che stiamo affrontando, non è necessariamente quello di arrivare allo scenario in cui non ci sono più contagi, ma piuttosto, e più realisticamente, quello di ridurre ospedalizzazioni, insorgenza di sintomi gravi e decessi. E se si considerano le cose da questo punto di vista lo scenario cambia molto: tutti i vaccini che abbiamo a disposizione, e auspicabilmente anche quelli che arriveranno, sono estremamente potenti nel ridurre ospedalizzazioni, sintomi gravi e decessi. In tutti i trial clinici, di tutti i vaccini, si sono registrate infezioni sia nel gruppo del placebo che in quello degli immunizzati; ma a differenza del placebo, nessun paziente contagiato del gruppo dei vaccinati ha sviluppato sintomi gravi, è finito in ospedale o ha perso la vita.
(da Wired)

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CRISANTI: “E’ UNA BAGGIANATA NEGARE L’AUMENTO DEI CONTAGI CON LA RIAPERTURA DELLE SCUOLE”

Aprile 11th, 2021 Riccardo Fucile

“GRAVE TORNARE IN CLASSE SENZA AVER FINITO LE VACCINAZIONI”… “LE REGIONI SONO UN DISASTRO, OGNUNO FA COME LE PARE”

I numeri ancora bassi della campagna vaccinale, il dato ancora alto dei nuovi casi, le richieste di riaperture delle regioni. Per il docente di microbiologia tutto questo avrà un esito chiaro: la ripresa dei contagi
«Dove si è riaperta la scuola, immediatamente c’è stato un impatto sulla trasmissione del virus. In Inghilterra la discesa dei contagi è rallentata. Negli Stati Uniti, in particolare nel Massachusetts c’è stato un incremento dei casi, per fare solo due esempi. L’impatto esiste».
Sulle pagine del Messaggero Andrea Crisanti è netto nel giudizio sulla riapertura delle scuole: «Affermare che la riapertura delle scuole non causi un incremento dei casi è, diciamo, una baggianata».
Al centro delle critiche di Crisanti c’è lo stato della campagna vaccinale. Come ormai è chiaro, nulla è andato come previsto. Secondo le dichiarazioni del Governo Conte II entro fine marzo bisognava aver completato la Fase 1, mettendo al sicuro anziani e soggetti fragili. Al momento gli operatori sanitari e gli ospiti delle Rsa hanno superato nelle vaccinazioni quota 75%, mentre gli over 80 sono fermi al 38,8% e le categoria 70-79 anni al 2,5%. E in tutto questo il numero di nuovi positivi registrati ogni giorno è costantemente sopra ai 15 mila casi.
Secondo Crisanti questi due fattori uniti alla ripartura delle scuole e il cambiamento di fascia di diverse regioni condurranno verso un ritorno del virus: «Il nostro Paese avrà un livello di aperture e libertà di movimento molto simile a quello della Gran Bretagna. C’è una piccola differenza: l’Italia ha 16-17 mila casi e 400 morti al giorno, la Gran Bretagna 4 mila casi e 30-40 morti e in più 35 milioni di persone vaccinate. L’Inghilterra ha chiuso per 4-5 mesi ma ha vaccinato moltissime persone».
Riaprono le scuole, si fermano i vaccini per gli insegnanti. Con i ritardi sugli anziani, metà dei prof rischia la prima dose a fine anno scolastico
Cosa non ha funzionato nella campagna vaccinale
La responsabilità di questo scenario non è solo dell’esecutivo italiano. Parte della colpa è da cercare anche nell’Unione Europea: «Ci sono errori che vengono da lontano. L’Europa ha fatto gli ordini troppo tardi e puntando su alcuni produttori. Per mitigare i rischi bisognava comprare la stessa massiccia quantità di dosi da più case farmaceutiche. Già ad aprile del 2020 si dovevano opzionare molte più dosi per l’Italia dai tre produttori. Agire insieme all’Europa va bene, ma solo se fa la cosa giusta».
La differenza di procedure nei territori ha fatto il resto. Crisanti punta il dito su come di regione in regione siano cambiati priorità e metodi di prenotazione: «Questa pandemia ha dimostrato tutti i limiti del sistema delle Regioni. Non è possibile che vi siano differenze così drammatiche tra una regione e l’altra. Ognuno usa sistemi diversi per chiamare le persone. Secondo me all’origine dei nostri guai c’è l’autonomia che hanno le regioni nel campo della salute pubblica».
(da Open)

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QUASI LA META’ DEGLI ITALIANI NON VUOLE VACCINARSI CON ASTRAZENECA

Aprile 10th, 2021 Riccardo Fucile

SONDAGGIO EMG: SOLO IL 35% E’ DISPONIBILE

Un sondaggio di Fabrizio Masia ad Agorà sonda quanta fiducia c’è ancora nel vaccino Astrazeneca dopo il nuovo pronunciamento di EMA e la raccomandazione affinché venga somministrato agli over 60
Alla domanda “Quando sarà il suo turno lei accetterà di vaccinarsi con Astrazeneca?” ben il 43% degli intervistati risponde negativamente, e un’altra fetta significativa, il 22% preferisce non rispondere. Solo il 35% degli italiani coinvolti nel sondaggio è favorevole a vaccinarsi con il prodotto anglo svedese
Di poco diversi i risultati di un sondaggio di Pagnoncelli a Dimartedì: ben il 44% degli italiani rifiutava l’idea di vaccinarsi con le dosi della casa farmaceutica interessata dalla sospensione poi revocata.
(da agenzie)

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VACCINATO MENO DEL 40% DEGLI OVER 80: ECCO COME SONO FALLITI I PIANI DEL GOVERNO

Aprile 10th, 2021 Riccardo Fucile

MANCATE TUTTE LE SCADENZE PREFISSATE

Sono passati più di tre mesi dall’inizio della campagna di vaccinazioni contro il Coronavirus ma in Italia solo il 38,79% degli over 80 è stato vaccinato con il richiamo. Un problema di seconde dosi? Non proprio: a conti fatti, solo il 68,20% del totale ha ricevuto almeno una somministrazione.
Una percentuale ben lontana dall’obiettivo 100% dichiarato più volte dal Governo
Ancora più basse le percentuali che riguardano gli italiani tra i 70 e i 79 anni: in quella fascia d’età è stato vaccinato solo il 2,48%, e solo il 19,89% ha ricevuto la prima dose. I numeri sono più incoraggianti per quanto riguarda gli ospiti delle Rsa: il 75,53% è stato vaccinato completamente, e la prima dose è stata somministrata al 91,25%. Più alti anche i numeri tra i sanitari: il 75,29% ha avuto la doppia dose di vaccino, e il 91,63% almeno la prima.
Gli obiettivi mancati: «Nel primo trimestre chiudiamo la Fase 1»
I numeri stonano non poco con quel piano vaccini presentato a dicembre 2020, quando la prospettiva dichiarata dal governo era quella di vaccinare il 50% della popolazione nel primo trimestre e di completare la copertura nazionale entro il 31 dicembre del 2021. L’idea era quella di finire con le somministrazioni agli over 80, ai sanitari e nelle Rsa già a marzo, ma 10 giorni dopo la scadenza l’obiettivo non è stato nemmeno sfiorato, complici anche i ritardi delle case farmaceutiche nel corso dei mesi. I rallentamenti nelle consegne sono però solo una parte della storia, costellata di disorganizzazioni regionali e di decisioni rivelatesi discutibili (come quella di inserire tra le categorie prioritarie anche personalità meno a rischio degli anziani).
I primi giorni di febbraio, l’allora commissario Domenico Arcuri si era spinto a dire che a fine marzo ci saremmo potuti avvicinare «alla vaccinazione di 7 milioni di italiani». Visto anche i rallentamenti nelle forniture, nel primo trimestre del 2021 ci sarebbero state a disposizione 14,7 milioni di dosi invece di 28 milioni». Al 10 aprile, però, il report del Governo sui vaccini segnala 3.812.342 persone completamente vaccinate, su un totale di dosi somministrate 12.509.898 su 15.568.730 consegnate.
E poi c’è il caso Lombardia. Non è l’unica Regione che ha avuto problemi con le vaccinazioni, ma è sicuramente quella i cui malfunzionamenti hanno fatto più rumore (essendo la più colpita da un anno dall’emergenza).
A fine gennaio la Regione ha chiamato Guido Bertolaso come consulente per la gestione della fase due della campagna vaccinale anti Covid, quella cioè che sarebbe dovuta partire da metà febbraio. La dichiarazione di guerra al Covid formulata con la vicepresidente Letizia Moratti era esplicita: «Vaccineremo giorno e notte e a giugno chiuderemo la campagna».
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: dopo un mese di litigi con Aria Spa, la società che ha messo a punto la fallimentare piattaforma di prenotazioni per le somministrazioni, al 10 aprile non si è ancora completata la vaccinazione degli over 80.
(da agenzie)

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FAUCI ARCHIVIA ASTRAZENICA: “GLI STATI UNITI NON NE HANNO BISOGNO, NE ABBIAMO ALTRI TRE”

Aprile 7th, 2021 Riccardo Fucile

NEL REGNO UNITO ORA IL VACCINO E’ “SCONSIGLIATO” AGLI UNDER 30

Per loro la questione è risolta, visto che hanno altre alternative: agli Stati Uniti non serve il vaccino AstraZeneca. “Abbiamo tre eccellenti vaccini. Anche se l’Fda deciderà che è un ottimo vaccino, noi non abbiamo bisogno di un altro vaccino, ce ne abbiamo abbastanza”, ha detto alla Cnn il virologo della casa Bianca Anthony Fauci.
“Non c’è un piano per iniziare ad usare subito AstraZeneca, abbiamo già fatto contratti per abbastanza vaccini, da Moderna, Pfizer e J&J”.
REGNO UNITO
La raccomandazione di offrire un vaccino diverso, Pfizer o Moderna, alle persone con meno di 30 anni. Questa è la prescrizione contenuta nel rapporto aggiornato della Mhra, l’autorità britannica del farmaco, su AstraZeneca.
L’ente regolatore dei farmaci (Medicines and Healthcare Products Regulatory Agency) ha riferito che sviluppato dall’Università di Oxford ha enormi vantaggi, ma alle persone sotto i 30 anni non verrà offerto a causa del raro rischio di coaguli di sangue.
Nel Regno Unito, fra le circa 20 milioni di persone che hanno utilizzato finora il vaccino AstraZeneca, sono saliti a 76 i casi di trombosi rare e a 19 quelle fatali. “Il che significa che il rischio complessivo di questi coaguli di sangue è di circa 4 persone su un milione che ricevono il vaccino”, ha sottolineato la Mhra. Il suo rapporto arriva nello stesso giorno in cui l’Ema ha concluso che i “coaguli di sangue combinati con bassi livelli di piastrine” sono un “possibile effetto collaterale molto raro” del vaccino Astrazeneca. L’Agenzia europea però non ha raccomandato “misure restrittive”, né in base all’età né al genere.
Le trombosi rare rilevate su alcune decine di pazienti sottoposti e al vaccino anti Covid di AstraZeneca sono “un effetto collaterale potenziale sospetto” del siero “su un numero estremamente limitato” di casi, ha spiegato la dottoressa June Raine, numero uno dell’agenzia britannica Mhra. Raine ha aggiunto che “esiste la forte possibilità” di un qualche legame “anche se occorre ulteriore lavoro per provare oltre ogni dubbio” Intanto in Gran Bretagna alle persone sotto i 30 anni verrà offerta un’alternativa ad AstraZeneca se sarà disponibile un altro vaccino, come ha confermato il comitato di consulenza del governo di Londra sui vaccini (Jcvi).
Secondo i dati forniti dalla dottoressa Raine, i casi di trombosi venose cerebrali o trombosi associate a mancanza di piastrine hanno riguardato “51 donne e 28 uomini, di età compresa fra 18 e 79 anni” (con tre morti su 19 sotto i 30 anni). Tutti i casi sono avvenuti dopo la somministrazione della prima dose.
Raine ha quindi aggiornato la lista dei sintomi più delicati da tenere a bada dopo la vaccinazione. “Chiunque abbia sintomi persistenti dopo 4 giorni o più deve rivolgersi a un medico”, ha ricordato raccomandando di reagire rapidamente in particolare in caso di “mal di testa acuto e persistente, vista appannata, affanno nella respirazione, dolore al torace, gonfiori alle gambe, dolori addominali insistenti e lividi insoliti o macchie localizzate sulla pelle a parte il segno dell’iniezione”.
(da agenzie)

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