Luglio 3rd, 2011 Riccardo Fucile
GRANDI OSPITI ALLA TRADIZIONALE KERMESSE CULTURALE IDEATA DA FILIPPO ROSSI, DIRETTORE DE “IL FUTURISTA”…DA TRAVAGLIO A SALLUSTI, DA GOMEZ A MENTANA, DA VECCHIONI ALLA DANDINI, DA BATTISTA A POLITO, DA EZIO MAURO A BUTTAFUOCO, DA VELTRONI A PANSA…TRE INTENSE SETTIMANE DI MISTICANZA NELLA SPLENDIDA CORNICE DEL CENTRO STORICO DI VITERBO
Torna la kermesse culturale che si svolge da cinque anni nella Tuscia nelle prime tre
settimane di luglio, nello splendido scenario del quartiere medievale di San Pellegrino.
Gli organizzatori Andrea Baffo e Filippo Rossi hanno schierato per gli incontri dibattito: Marco Travaglio, Peter Gomez, Enrico Mentana, Alessandro Sallusti per il giornalismo, ma anche Serena Dandini, Pupi Avati e Roberto Vecchioni
E ora lo “spirito futurista” ha anche il suo festival.
Caffeina cultura, la tre settimane letteraria (e non solo) ideata da Filippo Rossi — il direttore del settimanale ‘finiano’ il futurista, e prima ancora direttore del webmagazine della fondazione Farefuturo — arriva alla quinta edizione per occupare ancora una volta il centro storico di Viterbo con libri, autori, giornalisti, artisti, insomma idee.
Dal 30 giugno al 16 luglio, tre settimane che — a leggere il programma pubblicato sul sito www.caffeinacultura.it, sembra davvero inneggiare a quella “misticanza” che, secondo lo slogan coniato dal “demiurgo” Rossi, è “meglio della militanza”.
“Liberi tutti”, insomma, per un festival che nelle intenzioni di chi l’ha creato “deve superare gli ultimi steccati rimasti”.
Un evento collettivo che deve funzionare «come un grande frullatore di storie, di idee, di identità che si sono considerate sempre diverse, se non agli antipodi».
Per fare cultura.
E allora ci saranno Giancarlo De Cataldo e Andrea De Carlo, Roberto Vecchioni (il 5 luglio) e Aldo Cazzullo con il suo Viva l’Italia!, Pierluigi Battista e Antonio Polito con la
Lettera a un amico antisionista, Roberto Giacobbo, Walter Veltroni e Giampaolo Pansa.
E ancora, Enrico Mentana che parlerà di giornalismo e Paolo Rossi (che il 3 luglio porterà in piazza la sua Serata del disonore), Ezio Mauro che presenta La felicità della democrazia e Pietrangelo Buttafuoco, Franco Cardini, Serena Dandini, Roberto Faenza con Silvio Forever. Presenteranno i loro libri anche tre finalisti del Premio Strega (Luciana Castellina, Mario Desiati, Edoardo Nesi).
E se l’otto luglio sotto i riflettori ci sarà Marco Travaglio, due sere prima andrà in scena un “faccia a faccia” che si preannuncia al calor bianco tra Peter Gomez e Alessandro Sallusti, direttore de Il Giornale.
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Giugno 25th, 2011 Riccardo Fucile
“DAI, LECCAMI IL GELATO SULLA SPALLA” : UN ESTRATTO DEL VOLUME DI LYNDA DEMATTEO…UN PATETICO SPACCATO DI PERSONALITA’ FRUSTRATE
I leghisti cercano di fare della volgarità — per essenza un antivalore — un valore vero e
proprio.
In realtà , questa ribellione linguistica è falsa poichè, quando ergono a simboli identitari le parolacce in bergamasco, i militanti non fanno che convalidare gli stereotipi che denunciano altrove.
Esprimendo collera, indignazione, disprezzo e rimandando al corpo e alle sue funzioni più “basse”, le parolacce degradano chi le pronuncia ancor più del bersaglio cui sono indirizzate.
Attraverso un “paradossale raddoppiamento”, che è uno degli effetti del dominio simbolico, riaffermano a loro spese la gerarchia che struttura socialmente il linguaggio.
È davvero indicativo che Daniele Belotti saluti i suoi interlocutori con “ù figù”. La “figa” è il non valore, il simbolo che racchiude ogni tipo di debolezza, passività , alienazione.
È di fronte alla “figa” che il soggetto proclama una volontà di potenza alienata e contestata in ogni ambito . (…)
Dialetto e volgarità sono strettamente legati e svolgono una funzione similare negli scambi interpersonali.
La conoscenza che i più giovani hanno del dialetto è spesso limitata a questo registro.
Le conversazioni licenziose sono un aspetto della socialità leghista. Battute volgari e razziste sono spesso legate; in genere il femminile rappresenta l’alterità .
Ciò che osservavo quotidianamente negli uffici contraddiceva spesso le dichiarazioni registrate durante le interviste.
Gli attivisti condannano questa realtà per potersene distaccare.
Enzo Galizzi sostiene di non sopportare la volgarità , ma non disdegna di raccontare storie grevi.
Questa malafede, peraltro, compromette la validità empirica delle interviste realizzate in un contesto simile e finalizzate a un’inchiesta.
“Pazzo”, “imbecille”, “maschilista”, “estremista” sono sempre termini riferiti ad altri.
Fin dal primo giorno ho dovuto adeguarmi a questa dimensione della socialità leghista, abbandonando ogni pretesa di rispetto.
Mi è stato fatto comprendere in modo abbastanza brutale.
La rappresentante del Sin Pa (Sindacato padano), in effetti, mi ha detto che tutte le ragazze della Lega desemplificano il gesto sedendosi sulle gambe di Daniele Belotti e, con una risata, mi ha incoraggiato a fare altrettanto.
Sono stata più volte oggetto di battute a carattere sessuale.
Una delle attiviste della Lega ha parlato delle donne straniere, chiamandole “i culi” — davanti a me parlava di “culi francesi”.
Questi “scherzi” sembravano far ridere tutto il personale presente, donne e uomini, e “ridimensionavano” la mia presenza.
Daniele Belotti mi chiamava “dottoressa” con ironia e, come chiunque altro, sono stata bersaglio dei suoi scherzi.
Qualche volta ha provato a darmi a bere fatti incredibili che voleva che riportassi nella mia tesi di dottorato.
Un pomeriggio l’ho trovato in ufficio mentre mangiava un vasetto di Nutella con un cucchiaino, appena mi ha visto mi ha detto: “Non mi daresti una tetta per mangiarci sopra la Nutella?”, provocando l’ilarità degli attivisti che mi seguivano.
Un altro giorno invece l’ho visto mangiare un gelato dalla spalla di Carolina, che si prestava allo scherzo. (…)
I leghisti si compiacciono nel ruolo da supermaschio un po’ caricaturale. Questo aspetto dell’iconografia di partito è oggetto di continue battute. Daniele Belotti afferma che nei primi anni novanta, “come in ogni movimento rivoluzionario” (sic), nel movimento leghista c’è stata una fase di “promiscuità sessuale”.
A Milano, quando siamo andati insieme alla sede di via Bellerio, si poneva come l’angelo custode della “sua” antropologa: “Urla se qualcuno ci prova, a meno che non si tratti del capo!”.
Lynda Dematteo
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 19th, 2011 Riccardo Fucile
ATTESO APPUNTAMENTO PER LA DESTRA GENOVESE CON IL DIRETTORE DELLA RIVISTA MOVIMENTISTA E IL VICEPRESIDENTE DELLA COMMISSIONE ANTIMAFIA…. I DUE ESPONENTI FINIANI PARLERANNO NELLA PRESTIGIOSA LOCATION DI PALAZZO DUCALE, IN PIAZZA MATTEOTTI… FUTURO E LIBERTA’ PER UNA GENOVA FUORI DAGLI STECCATI
Due voci fuori dal coro, sicuramente due esponenti di area finiana fuori da schemi precostituiti e dal carattere anticonformista che li ha portati ad assumere posizioni anche “provocatorie”. Filippo Rossi è stato uno degli intellettuali di riferimento di FareFuturoweb per lungo tempo, fino alla realizzazione del nuovo progetto “il Futurista” che ha assunto sia la forma redazionale sul web che la cadenza settimanale in edicola.
Animatore di Caffeina e organizzatore di numerosi confronti con intellettuali di aree diverse, Filippo è uno spirito libero, slegato da schemi culturali pregressi, convinto che la destra del futuro vada fondata su nuovi presupposti, costruiti attraverso un percorso nuovo e comune, patriottico, laico e repubblicano.
Le stesse basi, ma in chiave politica, sono l’elemento che caratterizzano Fabio Granata, considerato uno dei più stretti collaboratori di Gianfranco Fini nella nuova avventura di Futuro e Libertà .
Fabio è un punto di riferimento per la Destra che difende la legalità , il rispetto delle Istituzioni e della magistratura.
Nelle sua veste di stimato vicepresidente della Commissione Antimafia è stato protagonista di numerose iniziative a sostegno degli operatori della giustizia e della sicurezza nella lotta che portano avanti contro la criminalità mafiosa in territori difficili come in Sicilia.
Si è impegnato nell’opera di moralizzazione della casta politica, proponendo un rigoroso codice etico per chi entra nelle Istituzioni.
Spesso ha rappresentato l’anima critica anche in Futuro e Libertà convinto che nella coerenza delle scelte politiche risieda il futuro di una destra deberlusconizzata che ambisca un domani a governare il Paese.
Un partito nuovo che sappia volare oltre i vecchi schematismi e le tradizionali alleanze., per ritornare a parlare di valori, di idee e di programmi.
La presentazione de “il Futurista” è fissata per le ore 18 di giovedì 23, a Genova , nella splendida cornice di Palazzo Ducale (P.za Matteotti 5, primo piano) e nella prestigiosa sala (g.c.) della Società di Letture e Conversazioni Scientifiche.
Ora che lo sapete, cercate di esserci…
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Aprile 24th, 2011 Riccardo Fucile
NELLA REPUBBLICA DELLE BANANE SI SFORNA ANCHE L’APOLOGIA DEL VENDUTO…. IL PREMIER DEFINISCE L’AGOPUNTURISTA “UN LAVORATORE AL SERVIZIO DELLA DEMOCRAZIA, COERENTE, INFATICABILE E PRAGMATICO”… IL GOVERNO BERLUSCONI-SCILIPOTI ORA HA LA SUA BIBBIA: “HA STILE ASCIUTTO, DECISO E DISTACCATO”
Silvio Berlusconi ha firmato la prefazione al libro dato alle stampe da Domenico
Scilipoti: “Perchè Berlusconi – Scilipoti re dei peones”.
Un testo in cui, secondo quanto finora trapelato, l’ex Idv, saltato sul carro della maggioranza per il voto di fiducia del 14 dicembre, racconta la sua esperienza di vita.
Dall’agopuntura al berlusconismo.
Se il testo non è ancora in vendita nelle librerie, la prefazione firmata dal Presidente del Consiglio, è stata pubblicata da Libero, il quotidiano di Vittorio Feltri e Maurizio Belpietro.
Il Cavaliere elogia Scilipoti, definendolo un peone “infaticabile, pragmatico, lavoratore al servizio della democrazia”.
Riportiamo il testo integrale della prefazione, esempio unico di umorismo involontario.
“Questo libro è un sasso gettato nello stagno dell’ipocrisia politica oggi alimentata da quell’egemonia culturale della Sinistra che non cambia mai i suoi metodi e si culla nell’illusione di una sua pretesa superiorità etica.
Domenico Scilipoti è stato fra i primi ad aderire a quel gruppo dei Responsabili che ha consentito al Governo di conservare alla Camera dei Deputati la maggioranza conferitagli dagli elettori nelle Elezioni politiche del 2008 e confermata, negli anni successivi, con le consultazioni europee, regionali ed amministrative.
Questo è bastato perchè contro di lui venisse scatenata quella collaudatissima macchina del fango che negli ultimi vent’anni ha causato un gran numero di vittime.
I professionisti della disinformazione, al servizio di una sola fazione politica, hanno infatti trasformato il mondo dell’informazione, in ogni democrazia severo controllore della vita politica, in un mostro con “licenza” senza limiti di insultare, calunniare e demonizzare l’avversario nonchè di inventare di sana pianta dichiarazioni e fatti.
Secondo il postulato che esiste una sola cultura, una sola politica, una sola informazione ed una sola verità , quella — appunto — di una sola parte, la loro.
Con un meccanismo perverso e perfettamente oleato, pronto a mettersi in moto per lamentare presunti attentati, presunte censure e presunti pericoli per quella libertà che proprio la loro stampa per prima mortifica.
Questa licenza senza limiti è ormai assurta a totem della libertà di stampa e va in onda ogni giorno anche e soprattutto in tanti programmi della radio e della televisione pubblica.
L’onorevole Domenico Scilipoti, in questi giorni, come i numerosi Parlamentari che recentemente si sono ribellati alla vergognosa pratica del ‘ribaltone’, sono divenuti oggetto di questa macchina che produce pericolose liste proscrizione ed alimento ogni giorno una perenne clima di tensione politica nel rispetto del falso e purtroppo ben noto teorema secondo il quale chi lascia il centrodestra per ‘accasarsi’ a sinistra è un eroe e chi invece compie il percorso inverso è un traditore o, peggio, un ‘venduto’.
Questo libro ha il pregio di rompere gli schemi precostituiti della vulgata di Sinistra e di affermare con orgoglio il valore del termine peon, solitamente utilizzato dalla stampa in forma negativa e qui invece declinato nella sua accezione positiva.
Ovvero peon in quanto infaticabile, pragmatico, lavoratore al servizio della democrazia.
Queste pagine sono, insomma, una sacrosanta ribellione ai ‘soviet’ politici e mediatici che, in nome di una strabica “fatwa” morale, mirano a colpevolizzare e a rendere oggetto di incivile satira chi ha l’unica colpa di essersi affrancato dal mondo della Sinistra.
Scilipoti chiarisce e precisa i motivi fondanti che hanno portato alla costituzione del nuovo Gruppo parlamentare dei Responsabili: la preoccupazione per un Paese che sta superando una grave crisi economica e che non si può permettere nuove elezioni in quanto bisognoso di una stabilità e di una continuità di Governo per risolvere le numerose emergenze nazionali ed internazionali.
Con uno stile asciutto, veloce e distaccato Domenico Scilipoti illustra la sua vita professionale, i risultati ottenuti nel settore dell’agopuntura, le tecniche di medicina alternativa applicate, le onorificenze ottenute a livelli internazionale nonchè le battaglie a sostegno delle vittime dell’usura bancaria.
Per delineare il ritratto di un uomo coerente e forte al quale do volentieri il benvenuto nel nostro Centrodestra, la grande famiglia della democrazia e della libertà ”.
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Marzo 6th, 2011 Riccardo Fucile
“LA LEGA E’ SUCCUBE DEL PDL, UN POLTRONIFICIO CHE TREMA PER UN LIBRO SUL BUNGA BUNGA, SIAMO ALLA CENSURA”…MARCO MARSILI, GIORNALISTA E DIRETTORE DE “LA VOCE D’ITALIA” E’ STATO LICENZIATO DALL’ASSESSORE ALLO SPORT DELLA REGIONE LOMBARDIA PER AVER DATO ALLE STAMPE “ONOREVOLE BUNGA BUNGA”
La tesi del libro? Nulla che già non sapessimo: la ricostruzione in 480 pagine del legame tra sesso e potere, dalla figlia segreta di Mitterand alla condanna per stupro di Moshe Katsav, corredato dalle intercettazioni del Ruby gate che dipingono, come leggiamo sulla pagina Facebook, “il ritratto di un Berlusconi grottesco, solo, circondato da ruffiani ed escort, gente pronta a tutto pur di sfruttare la sua solitudine”.
Marsili pubblica il libro all’inizio di febbraio e il 25 dello stesso mese viene licenziato dopo soli 10 giorni nel ruolo di portavoce.
Nessuna motivazione e nessuno, l’assessore Rizzi incluso, che gli spiegasse le ragioni della revoca immediata del contratto.
“E’ una forma di ritorsione, di censura a posteriori”, spiega Marsili.
“Intervistato da Il Giorno, il capo della segreteria della Rizzi Alessandro Pedrini [figlio di Renato Pedrini, dirigente della Asl in Valcamonica in quota Lega] ha ammesso che con la pubblicazione del libro sarebbe venuto meno il ‘rapporto di fiducia’ con l’entourage.
Pedrini ha detto che se avessi scritto un libro su Bossi avrebbero fatto lo stesso, ma non è vero.
Di fatto, questo licenziamento lampo non è dovuto ad alcuna ragione professionale. Hanno violato l’articolo 21 e i miei diritti di lavoratore”.
Il rapporto tra l’autore e Monica Rizzi è iniziato a maggio dell’anno scorso quando “ha iniziato a parlare del federalismo con le mie parole con tutti i discorsi che le ho scritto”, puntualizza Marsili.
“I leghisti vogliono difendere i diritti dei popoli padani e sono sudditi del Pdl e di Roma ladrona.
‘Guarda che bravi che siamo, Silvio’, vorrebbero dirgli, e allora colpiscono uno per educarne cento”.
Ma l’entourage della Lega, come lo stesso Renzo Bossi che Marsili sentiva decine di volte al giorno “via mail o sms”, non ha letto nulla del libro.
Un caso, insomma, di censura al buio.
“La telefonata per stralciare il mio contratto è partita da Davide Caparini, deputato del Carroccio e padrino politico della Rizzi, che ha ordinato a Pedrini di procedere.
L’assessore ha semplicemente avallato, ma non è stata lei a decidere. Io non l’ho più sentita e anche Renzo Bossi è sparito”.
E ora per Marsili è arrivato il momento di sparare anche altre cartucce: “Devono ancora pagarmi da giugno scorso per il sito di Miss Padania a cui ho lavorato. Ma io non ho il problema diei mestieranti della politica, svolgo altre attività . Le mie due lauree sono vere, non come quella della Rizzi”.
Infatti l’assessore allo Sport è al centro delle indagini della Procura di Brescia per la laurea in psicologia che compare sul curriculum ma non è, pare, provata dalle carte.
“La Lega fa scuola nel campo dei titoli mai presi. Umberto Bossi ha fatto un paio di feste di laurea in Medicina senza averla mai conseguita e il figlio Renzo dice di essere iscritto all’università ma non dice quale”.
In campagna elettorale alle scorse regionali, inoltre, la candidatura di Bossi jr. a Brescia al posto della Rizzi aveva destato molti malumori.
“Renzo è stato imposto dall’alto e allora tutti a pancia a terra a lavorare per lui. Doveva essere il candidato con più voti in assoluto, altrimenti che figura ci faceva suo padre? Il malumore era tanto che i bresciani militanti cominciarono a cancellare i graffiti di ‘Padania libera’ per la città . Chi lavorava per il partito sul territorio è rimasto disgustato dal suo sorpasso in lista”.
E il collegio di Brescia era l’unico dove poteva presentarsi visto che, prosegue Marsili, “Bergamo è di Calderoli, anche se non è un ortodosso bossiano visto che, dopo l’ictus del Senatùr, aspirava alla successione. E Varese non si tocca, lì Maroni è troppo potente”.
E ora che ha perso il suo contratto con la Regione Lombardia cosa farà Marsili? “Da lunedì riprenderò le lezioni all’Università dell’Insubria, dove insegno giornalismo”, conclude.
“Come tutti gli anni farò vedere ai miei studenti ‘Quarto potere’, affinchè capiscano i legami tra informazione e politica. Non voglio contribuire ad alimentare la cultura dello slogan che si limita a gridare ‘Padania libera, viva Bossi’. A proposito: “la Lega ha mai spiegato che differenza c’è tra il federalismo fiscale e quello municipale?”.
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Marzo 2nd, 2011 Riccardo Fucile
LA DECISIONE MOTIVATA ANCHE “DALL’INCAPACITA’ DI MANTENERE GLI IMPEGNI PRESI” OLTRE CHE DAL SUO ISOLAMENTO NELL’AMBITO DEL CENTRODESTRA… ORA SI POTRA’ DEDICARE ALLA FAMIGLIA ALLARGATA E AL TEATRO DELL’OPERA DI NOVI
Giorni contati per la permanenza di Sandro Bondi nel governo.
Il ministro della Cultura, con una lettera al Giornale, organo dei soviet, ha annunciato che rassegnerà “presto” le dimissioni.
Decisione della quale ha già informato il premier che “se ne occuperà non appena sarà possibile”.
“La decisione di dimettermi – scrive Bondi, ribadendo un concetto che va ormai ripetendo da diverso tempo – è innanzitutto una piena e consapevole scelta di vita maturata, in secondo luogo dalle difficoltà incontrate”.
Nel ruolo di ministro, dice, “posso avere fatto degli errori, ma ho realizzato delle riforme importanti e ho imposto una linea alternativa, in senso compiutamente liberale e riformatore, alla politica culturale della sinistra”.
Uno “sforzo” però nel quale non è si è sentito “sostenuto con la necessaria consapevolezza dalla stessa maggioranza di governo e da quei colleghi che avrebbero potuto imprimere insieme a me una svolta nel modo di concepire il rapporto tra Stato e cultura”.
Sostegno che peraltro è mancato, lamenta ancora Bondi, “nel momento in cui più mi sono trovato in difficolta”, dopo il crollo di Pompei, quando era “più colpito dalla sinistra”, accusato tra l’altro “della mancanza di fondi”, per la quale, aggiunge, “io non ho mai scaricato la responsabilità su altri”.
“Le vicende del Milleproroghe hanno ulteriormente evidenziato la mia
incapacità di mantenere gli impegni che avevo preso, e nel richiedere un minimo di coerenza nell’ambito dei provvedimenti riguardanti la cultura”.
“Il presidente Berlusconi – chiarisce infine Bondi – sa anche che non sono mai stato in cerca di incarichi nè di mostrine, sia politiche che ministeriali” e che “voglio avere più tempo da dedicare alla mia famiglia”, che “voglio svolgere bene l’incarico di senatore e che desidero più di ogni altra cosa continuare a lavorare al suo fianco per cambiare questo paese”.
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Gennaio 7th, 2011 Riccardo Fucile
NEL SAGGIO DELLO STORICO MICHELE BONTEMPO, SI RIPERCORRE L’ISTITUZIONE DELLA SANITA’ PUBBLICA, DEGLI ENTI PREVIDENZIALI, DELLA TUTELA DEI LAVORATORI AD OPERA DEL FASCISMO…L’INAM, LA MATERNITA’ E INFANZIA, LA FISSAZIONE DELL’ORARIO DI LAVORO, LA TUTELA DELLE DONNE E DEI BAMBINI, IL DIVIETO DI OPERARE LICENZIAMENTO SENZA GIUSTA CAUSA… E ANCORA LE PENSIONI, LE ASSICURAZIONI DI INVALIDITA’, DI VECCHIAIA E DI DISOCCUPAZIONE, L’ASSISTENZA AI POVERI E AI DIVERSAMENTI ABILI, I CORSI PORFESSIONALI… INIZIATIVE ALLORA ALL’AVANGUARDIA NEL MONDO
Sanità pubblica, enti previdenziali, tutela del lavoro e Stato sociale hanno, nel nostro Paese, un’origine comune che troppo spesso viene volutamente dimenticata.
Un’origine che non è di sinistra ma che affonda proprio nel Ventennio fascista.
Ci vuole uno studioso della tempra e della bravura di Michele Giovanni Bontempo – giurista cattolico e funzionario del Ministero dell’Economia e delle Finanze – per riportare alla luce quel lungo processo che, nell’arco di ben quindici anni, ha portato il nostro Paese a fare impresa.
Dall’agro-alimentare al tessile, dal chimico al meccanico.
Lo Stato sociale nel Ventennio racconta la nascita di quel prestigioso marchio, noto a livello mondiale con il nome di made in Italy.
E’ così che, capitolo dopo capitolo, Bontempo ripercorre con sapienza la storia di quelle aziende (tuttora molto vitali) che sono il vanto della nostra produzione.
Dall’Istituto nazionale di assistenza malattie (Inam) all’Opera maternità e infanzia, dall’Assistenza ospedaliera per i poveri alle grandi opere pubbliche. “Chi ha promosso questo welfare italiano, in campo sociale, economico ed industriale, che ha reso grande l’Italia anche all’estero? – si chiede Bontempo – non la sinistra, ma il fascismo durante il Ventennio. Una legislazione sociale che ha ripreso il meglio del welfare giolittiano”.
Nel saggio pubblicato nella collana dei Libri del Borghese, Bontempo descrive con estrema precisione il cambiamento della società italiana negli anni che videro la nascita e l’affermazione del fascismo, soffermandosi soprattutto sulle leggi e sui provvedimenti che portarono il nostro Paese tra le nazioni con il Welfare più evoluto dell’epoca.
Da “Lo Stato sociale nel Ventennio” emerge, con gustosa chiarezza, la profonda maturazione della società italiana che vede rivoluzionarsi i rapporti alla base del lavoro.
Datori di lavoro e lavoratori hanno diritti ed obblighi reciproci.
Le fonti di Bontempo sono i testi storici e le Gazzette Ufficiali dell’epoca, rarità oggi sconosciute al grande pubblico.
Si inizia con un rapido esame della società e dell’economia appena emerse dalla Grande Guerra, allo sbando la prima, praticamente distrutta la seconda. Partendo da tale premessa, Bontempo analizza le politiche intraprese dal governo Mussolini per agevolare la tendenza a “fare impresa”.
Una tendenza che, stranamente, avrebbe poi salvato l’economia italiana sando vita al boom economica degli anni Cinquanta e Sessanta.
Tutto questo passando attraverso la promozione di una politica sociale senza precedenti.
Alla fissazione dell’orario di lavoro fa seguito l’ampia tutela per le donne (di questi anni il divieto di licenziamento per le gestanti) e i bambini.
Non solo.
Il saggio di Bontempo mostra molto chiaramente come il governo Mussolini abbia varato la prima normazione relativa all’igiene ed alla salubrità delle fabbriche.
Lo “Stato sociale nel Ventennio” riporta alla luce, con estremo coraggio, conquiste che non vengono insegnate a scuola.
E’ così che Bontempo ripercorre le radici del divieto di licenziamento senza giustificato motivo o senza giusta causa e degli istituti che garantiscono e regolano non solo la pensione ma anche le assicurazioni di invalidità , vecchiaia e disoccupazione.
Bontempo ricorda, poi, come sia proprio di questi anni l’introduzione degli assegni per gli operai con famiglia numerosa e l’istituzione di strutture il cui fine è quello di assistere i poveri e quelli che oggi chiameremmo “diversamente abili”.
Nel Ventennio, spiega Bontempo, la conservazione del posto di lavoro era garantita e favorita da continui corsi professionali che avevano lo scopo di aggiornare il lavoratori.
Sono solo alcuni (pochi) degli esempi che il giurista confeziona in un saggio istruttivo e prezioso per riscoprire le radici e i cardini del nostro Stato sociale
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Dicembre 3rd, 2010 Riccardo Fucile
ROBERTO CASTELLI : “IO NON C’ENTRO, TUTTE FANDONIE”… IL BOSS COCO TROVATO, SECONDO IL PENTITO “ATTENDIBILE” GIUSEPPE DI BELLA, NEL 1992 FECE VOTARE A LECCO UN LEGHISTA EMERGENTE CHE POI DIVENNE MINISTRO: CASTELLI ENTRO’ PER LA PRIMA VOLTA ALLA CAMERA PROPRIO NEL 1992…LA PROCURA DI ROMA HA APERTO UN FASCICOLO
“Saviano ha rotto i Maroni”, titolava Libero appena tre settimane fa, riportando le dichiarazioni dell’autore di Gomorra, colpevole di aver denunciato che “la ‘ndrangheta al nord interloquisce con la Lega”.
Adesso due giornalisti dello stesso quotidiano pubblicano un libro in cui, attraverso la testimonianza del pentito Giuseppe Di Bella, ricostruiscono l’ascesa al potere della criminalità organizzata in Lombardia.
E raccontano come proprio la ‘ndrangheta nel 1990 abbia scelto i cavalli su cui scommettere tra gli emergenti politici del Carroccio, portandoli fino a “importanti incarichi di Governo”, scrivono gli autori di Metastasi Claudio Antonelli e Gianluigi Nuzzi.
Quest’ultimo ieri ha anticipato le critiche: “Non è colpa mia nè di Libero se al Nord c’è la malavita”.
Spiegando che la differenza è che “Metastasi è un’indagine compiuta in un anno di lavoro” mentre “Saviano ha sigillato un assioma televisivo”.
Sempre di fango si tratta, secondo gli esponenti del Carroccio.
In particolare per il viceministro alle Infrastrutture Roberto Castelli e Stefano Galli, capogruppo in regione Lombardia: “Tutte fandonie”.
I due si sono sentiti tirati in ballo: sono entrambi nati e politicamente cresciuti a Lecco .
La città in cui, secondo quanto ricostruito nel libro, nel 1990 gli uomini del clan di Franco Coco Trovato scelsero un anonimo uomo dell’emergente e ancora sconosciuto Carroccio trasformandolo, negli anni e a sberle di voti, in un politico di rango governativo.
“Coco Trovato — ricorda Di Bella — aveva scelto il suo cavallo: è Gamma. Lo dice a tutti. Votare Lega, votare Gamma”.
Gli autori di Metastasi nascondono il nome del politico con questo pseudonimo: ‘Gamma’, “nome in codice di soggetto che potrebbe essere sottoposto a indagini — scrivono gli autori — Gamma è una figura che ha ricoperto importanti incarichi di governo”.
Non a caso la prima copia del libro è stata consegnata al procuratore Giancarlo Capaldo, capo della Procura di Roma, che ieri ha annunciato l’apertura di un fascicolo.
Se il racconto troverà riscontri, la Lega celodurista della caccia al “terrone mafioso” ne uscirebbe con le ossa rotte.
In particolare Castelli. Che da anni racconta la sua città come una zona sana. “Nel 1993 il Comune sconfisse la famiglia Trovato”, ha detto ieri e, intervistato da Enrico Mentana al tg La7, ha invitato Nuzzi “a fare il nome di questo politico”, riconoscendo che “l’identikit si adatta perfettamente a me”.
E gli anni coincidono: nel 1990 alle regionali la Lega registra il primo boom (18,9%) e nel 1992 Castelli è eletto per la prima volta alla Camera.
“Ma io con Coco Trovato non ho mai parlato”.
Nel 2006 “ho ricevuto una lettera con 29 proiettili” ha ricordato, sottolineando che agli amici si inviano altri messaggi. E di amici, l’ingegnere di Lecco, ne sa qualcosa.
Da ministro della Giustizia nel secondo governo Berlusconi distribuì talmente tante consulenze, ritenute di dubbia utilità , da finire indagato da procura e Corte dei Conti accusato di un danno erariali di circa un milione di euro. Secondo il procuratore Guido Patti, il ministro Castelli avrebbe creato “la figura del consulente personale a tempo pieno”.
Il Senato e il Tribunale dei ministri negarono l’autorizzazione a procedere, la Corte dei Conti, nell’aprile 2009, lo ha condannato al rimborso di 33.100 euro a titolo di risarcimento erariale, definendo “irrazionale e illegittima” una delle consulenze: quella affidata alla società Global Brain.
Società di Alberto Uva, lo stesso finito pochi giorni fa nel mirino della procura milanese per corruzione nella vicenda Teleospedale.
Una storia di mazzette lombarde in salsa leghista-ciellina, denunciata da Galli, capogruppo del Carroccio in regione.
A lui, Uva ha offerto una tangente da 15mila euro in vista di una gara d’appalto per l’assegnazione della gestione del sistema tv da installare negli ospedali lombardi.
Galli si è rivolto prima ai magistrati, poi al Corriere della Sera: “Io certe persone le denuncio, altri danno loro le consulenze”.
Anche Giuseppe Magni, amico e braccio destro di Castelli al ministero, è finito indagato dalla procura di Roma: è stato filmato di nascosto negli uffici dell’imprenditore romano Angelo Capriotti a parlare di appalti ed “esigenze” che, secondo i pm, altro non erano che tangenti.
È poi toccato ad un altro uomo di fiducia di Castelli: l’avvocato Antonello Martinez sorpreso, rivelò Marco Lillo su L’Espresso, a chiedere soldi agli imprenditori del settore carcerario in cambio di una spintarella per gli appalti. In ballo c’erano i 25 nuovi carceri che il Guardasigilli voleva costruire.
Tutte vicende legate al periodo in cui è stato ministro, venti anni dopo quel 1990 quando la ‘ndrangheta scelse di sostenere Gamma e portarlo fino al governo.
Davide Vecchi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 3rd, 2010 Riccardo Fucile
AVEVA SMENTITO GLI AFFARI POCO LIMPIDI DEL PARTITO: ORA UN LIBRO INCHIESTA RIVELA CHE ERA TUTTO VERO…ECCO I DOCUMENTI RISERVATI PUBBLICATI SUL LIBRO “UMBERTO MAGNO”:.. 3.000 EURO AL FIGLIO RICCARDO NEL 2000 E L’ ISCRIZIONE NELL’85 ALLA SEZIONE PCI DI VERGHERA DI SAMARATE
Si intitola “Umberto Magno, l’imperatore della Padania” la biografia non autorizzata del
leader della Lega Nord che esce oggi in libreria i per Aliberti (480 pagine).
E’ un’accurata inchiesta di Leonardo Facco, giornalista che ha conosciuto la Lega (e Bossi) da molto vicino, avendo tra l’altro lavorato per quattro anni al quotidiano “la Padania”.
L’autore parte dagli “albori della Lega”, quando un giovanotto della provincia di Varese senza un lavoro riesce a coagulare attorno all’idea autonomista — non senza screzi e fatti poco chiari — prima alcune decine di amici, poi centinaia e infine migliaia di persone pronte a dare il loro consenso a un progetto politico sempre in bilico tra il federalismo e la secessione.
Bossi è la Lega e la Lega è Bossi, secondo Facco, anche oggi, nonostante la malattia abbia ridotto il senatùr all’ombra di quel personaggio movimentista del passato recente.
Per dimostrarlo, l’autore racconta fatti, episodi, ricordi personali, con tanto di documentazione (sono quasi 400 le note bibliografiche).
«Bossi», sostiene l’autore, «è il responsabile principale della trasformazione della Lega in un soggetto politico partitocratico, dove agli scandali si uniscono le truffe perpetrate ai danni, in primis, dei militanti e simpatizzanti”.
“I crac delle Cooperative Padane, del Villaggio in Croazia e della banca padana rappresentano l’epitome del modo di fare politica del “lumbard”, circondato da sempre di yes-men (and women) in carriera».
Nel libro ci sono diversi fatti inediti, mai conosciuti e-o raccontati: dalla strana busta paga del figlio primogenito a spese dei militanti ignari, fino alla famosa questione della militanza comunista del giovane Umberto: da lui sempre negata, ma ora provata da un documento scoperto in una vecchia sezione del Pci.
E poi si va dai tempi in cui elogiava “Mani pulite” alla sequela di condanne penali incassate dai leghisti odierni.
Un capitolo, infine, è dedicato alla vita privata di Bossi che «ama la famiglia tradizionale» ma, secondo l’inchiesta di Facco, non sembra negarsi svaghi al di fuori di essa.
«E’ un’inchiesta che dovevo a me stesso perchè ho un passato da leghista, ho creduto in questo movimento e sono stato anche sul Po, alla metà degli anni ’90», dice l’autore.
«Era giusto scrivere questo libro adesso, in cui la Lega si sente particolarmente forte e pensa di fare il pieno di voti. Bisogna che tutti gli elettori sappiano chi è il padrone del partito che pensano di votare: un cialtrone, nè più nè meno».
Foto 1
La tessera: Bossi Umberto, medico (non era vero, non essendosi mai laureato), ha versato lire 5.000 per l’iscrizione al Pci nell’anno 1975. Il documento proviene dalla sezione di Verghera di Samarate del Pci.
Foto 2
La busta paga del figlio: molto prima del “trota” Renzo, anche un altro figlio del premier è stato beneficiato dal potere politico del padre: si tratta del primogenito Riccardo, che il Senatur ha avuto dalla prima moglie Gigliola Guidali. Il documento attesta uno dei versamenti (tre milioni di vecchie lire) ottenuti dal giovanotto dalle cosiddette Cooperative padane, finanziate con i soldi dei militanti e che già in quel periodo stavano andando incontro a un clamoroso crac.
(da “L’Espresso“)
argomento: Bossi, Costume, denuncia, la casta, LegaNord, Libri, Politica, radici e valori | Commenta »