Ottobre 5th, 2013 Riccardo Fucile
IN CASO DI DIVORZIO IL PROBLEMA SONO GLI ALIMENTI… SE SI SCIOGLIESSE, IL PDL PERDEREBBE I RIMBORSI ELETTORALI DI 25 MILIONI L’ANNO
Un divorzio, si sa, può costare assai più di un matrimonio. Un fatto che dovrebbero tener presente
falchi, colombe e anche il resto dei volatili che s’affannano nella gabbia del Pdl.
Certo c’è chi vorrebbe rispondere solo alle ragioni dell’amore — come Antonio Martino che chiede subito il gruppo di Forza Italia “per fare chiarezza” e mette a verbale che “Alfano non può essere il leader” — ma la forza delle cose ha una sua durezza di diamante: non si sa ancora come finirà , ma i soldi — e i voti — consigliano l’unità dei berlusconiani.
“Forza Italia a noi non interessa più: sarebbe un dannoso ritorno al passato, dobbiamo pensare al Ppe”, invoca Giuseppe Castiglione, senatore e sottosegretario all’Agricoltura, tra i protagonisti del ribaltone anti-B.
CONGRESSO
“Congresso in tempi brevi, magari in primavera, con un Comitato di garanzia che sarà scelto da Berlusconi”, dice invece Francesco Nitto Palma, falco (“ma io preferisco gatto”, si raccomanda) e fautore del ritorno all’azzurro.
“Il nuovo partito deve essere guidato da Angelino Alfano, tutte le decisioni dirimenti dovranno essere prese a maggioranza e una volta assunte non potranno essere cambiate in modo umorale” , mette a verbale invece Fabrizio Cicchitto, che gioca sempre più il ruolo che fu di Italo Bocchino durante la scissione finiana.
Il vicepremier vuole, detto volgarmente, potere di firma su candidature e finanze: sotto quale nome dovrà regnare, da questo punto di vista, è poco rilevante.
Nel frattempo, i vertici si susseguono ai vertici, le riunioni carbonare alle riunioni carbonare, le chiacchierate sui divanetti del Transatlantico alle telefonate sussurrate. E, sempre, si finisce per sbattere sulla realtà .
I SOLDI
“Se si scioglie il Pdl non possiamo riscuotere le altre rate dei rimborsi elettorali”.
È l’avvertimento che Maurizio Bianconi, sanguigno tesoriere del Popolo delle Libertà , falchissimo, aveva lanciato qualche tempo fa ai suoi colleghi.
Mica poco: tra tutte le voci si arriva attorno ai 25 milioni l’anno.
Insomma, se la scissione la fanno i “forzisti” e il simbolo del partito rimane ad Alfano e ai suoi, pure il finanziamento rimane agli odiati “traditori”.
E se invece Silvio Berlusconi scioglie legalmente il Pdl e rinuncia ai rimborsi? Neanche a parlarne.
Perchè? Semplice: il partito non avrebbe un euro, e questo potrebbe anche sopportarlo, ma in quel modo il Cavaliere rischia di perderci oltre 120 milioni di euro (oltre i 15 buttati quest’anno per pagare un vecchio debito).
SPIEGAZIONE
Il buon Silvio — risulta dall’ultimo bilancio — ha garantito fidejussioni al Pdl per 14,8 milioni e gli ha pure firmato un “prestito infruttifero” da 2,8 milioni.
Se dà il via libera ai falchi per creare il partito dei duri e puri quei soldi rischia di non vederli più.
D’altronde, “qui non c’è più una lira”, sintetizzò il solito Bianconi a giugno. Non solo. Forza Italia, come forse il lettore non sa, è ancora viva e ha pure un bilancio pessimo: il 2012 — secondo il conti del commissario Sandro Bondi — si è chiuso con un rosso di 25,5 milioni e un disavanzo patrimoniale di 65,9 milioni.
Numeri che s’addensano come nubi su palazzo Grazioli, perchè qui il munifico Berlusconi ha davvero largheggiato: le fidejussioni che ha sottoscritto per la sua prima creatura politica ammontano infatti a 102,7 milioni.
La nuova Forza Italia “scissionista”, insomma, rischia di costargli un patrimonio.
I VOTI
Sono invece il motivo per cui Angelino Alfano non ha portato fino in fondo la minaccia dei gruppi autonomi: lui i voti non li ha o, meglio, ne ha troppo pochi (d’altronde pure i soldi, uscendo, gli sarebbero mancati assai).
“Facessero i gruppi così in primavera, alle europee, li spazziamo via”, avvertiva Raffaele Fitto, finito tra i falchi per la sua inimicizia nei confronti del vicepremier nonostante il purissimo pedigree democristiano ne facciano un “diversamente berlusconiano” di diritto.
Un conto, infatti, è guadagnarsi la fiducia di una settantina o più di parlamentari impauriti di essere mandati a casa dopo solo un anno, altro presentare un nuovo simbolo alle elezioni (I Popolari?) contro un Silvio Berlusconi incattivito: un risultato alla Futuro e Libertà era quasi certo.
Alfano, però, non ha lasciato la casa del padre, vuole ereditarla standoci dentro e, dicono i suoi, ora ha finalmente il consenso dell’anziano genitore: “Ha stravinto, li ha fregati tutti, se non lo dicessi sarei un deficiente — ha spiegato ieri Gianfranco Miccichè, un altro arcinemico di Angelino — Ma non mi inchino al nuovo re, anche perchè se lo facessi mi taglierebbe testa”.
Non la sua, eppure sull’altare dell’unità è probabile che qualche testa salti davvero.
Marco Palombi
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Ottobre 5th, 2013 Riccardo Fucile
ALFANO VUOLE LE TESTE DI VERDINI, BONDI E BRUNETTA… ALLORA FITTO MINACCIA GRUPPI AUTONOMI ANTI-ALFANO A CAMERA E SENATO…NITTO PALMA E SALTAMARINI SI MANDANO “AFFANCULO”…INSULTI IRRIPETIBILI VOLANO TRA VALENTINI E LA PASCALE
Angelino Alfano ha valutato la testa di Daniela Santanchè, che il Cavaliere aveva consegnato senza
esitazioni, ma ha preferito chiedere il braccio (nonchè compagno): Alessandro Sallusti, direttore di quel Giornale che spaventa i dissidenti di governo. Silvio Berlusconi ha esitato per un attimo, non di più, poi l’azienda ha contattato Maurizio Belpietro per l’eterno ritorno.
E nulla possono i continui vertici di coppia fra Sallusti e Santanchè, che presidiano i ristoranti romani e tampinano palazzo Grazioli.
Sallusti non è rassegnato, arringa ancora contro l’alleanza con i democratici, ma l’editoriale di Belpietro su Libero, un elogio totale per Angelino, faceva intendere lo scambio di prigionieri.
Il senatore (mezzo) decaduto, inappetente e insonne, stordito tra amici e nemici, petizioni e ribellioni, ha parlato tre ore con Alfano.
Nessun dialogo politico: Angelino doveva riscuotere, il Cavaliere prendeva appunti. Il segretario non è sazio, Santanchè-Sallusti sono l’antipasto.
Ora in lista d’attesa, per la resa dei conti interna, ci sono Sandro Bondi, Denis Verdini e Renato Brunetta.
Alfano chiede molto per ottenere tanto. Vuole catturare anche i capigruppo Renato (Schifani e Brunetta), sostituiti da Paolo Romani e Raffaele Costa, ma gioca con furbizia: perchè Schifani, esempio, non voleva sfiduciare Enrico Letta, stava con i ministri.
Berlusconi ha indossato la maschera del padre che perdona e comprende, in assenza di energie e lucidità per aumentare la rottura, però ha difeso Verdini: “Non esagerare, Angelino. Denis non si tocca, non mi puoi fare questo. Ho già detto che il nostro futuro sei tu, non ci sono alternative, ma non puoi fare pulizia totale”.
Ora Berlusconi è assediato da Raffaele Fitto, ambasciatore di Verdini: l’ex governatore pugliese , promotore di una raccolta di firme contro Alfano, minaccia di poter fare gruppi autonomi con un centinaio di parlamentari tra Camera e Senato.
I cosiddetti “lealisti” invocano il congresso, adesso la scissione potrebbe provenire dai duri e puri.
Berlusconi non riesce neanche a reagire, ce l’ha con Fitto e compagni: “Che schifo, non ci capisco più nulla”.
E l’incontenibile Nitto Palma rivendica un ministero per i campani, propone addirittura “Gigino ‘a purpetta” Cesaro per non bruciare la candidatura di Mara Carfagna.
Ieri sera Berlusconi ha ricevuto i ministri Quagliariello, De Girolamo e Lupi.
Nel giorno di decadenza, i falchi hanno pungolato il Cavaliere: “Non vedi che Alfano non fa nulla per te? à‰ muto?”
Le due fazioni sono talmente alterate che, a palazzo Grazioli, non si contano più i litigi. Le urla sono una musica di sottofondo.
L’ex ministro Nitto Palma e Barbara Saltamartini si sono salutati con un livore autentico e un rapido vaffanculo reciproco.
Francesca Pascale, in versione moderata-alfaniana, ha avviato il primo e vero repulisti a palazzo Grazioli.
Non sopporta Santanchè, Capezzone e Verdini, e così il terzetto ha ridotto le presenze al capezzale del Capo.
Verdini pranzava e cenava sempre con il Cavaliere, ieri non s’è fatto vedere. A palazzo Grazioli nemmeno Valentino Valentini, ombroso mediatore e consigliere, non manca mai.
Ieri era meglio se fosse andato a fare compere. Perchè non ha trattenuto il fastidio per le lamentele di Francesca, che si dispera: “Non posso invitare le amiche. Non posso fare quello che voglio. E voi mi fate preoccupare per la salute di Silvio. Voi l’avete trascinato in questa situazione: basta!”.
Valentini l’ha insultata con parole irripetibili. Per fortuna Dudù era in cortile.
Chissà se Berlusconi ha sentito.
Di certo non dormiva. Non dorme mai.
Carlo Tecce
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Ottobre 5th, 2013 Riccardo Fucile
IL SEGRETARIO DETTA LE CONDIZIONI A BERLUSCONI
Via la catena di comando del partito, ancora in mano ai falchi, e candidatura alla premiership del centrodestra.
Angelino Alfano, che aveva già strappato il sostegno di Berlusconi al governo con la prova di forza al Senato, va a rivendicare e in parte ottiene una mezza rivoluzione nel Pdl.
Tre ore di colloquio tra i due, iniziato a pranzo e concluso alle 17, negli appartamenti di Palazzo Grazioli, presenti i capigruppo Brunetta e Schifani. È con tutti loro il Cavaliere quando da Palazzo Madama viene gelato dal via libera alla decadenza in giunta.
Ma la residenza è un approdo da tutte le sponde pidielline, in mattinata arriva Claudio Scajola e a seguire la coordinatrice dei giovani Annagrazia Calabria.
Il piatto clou tuttavia è servito a ora di pranzo.
Il segretario detta le condizioni per tenere unito il Pdl, ora che Berlusconi lo va predicando a chiunque incontri e che Sandro Bondi e altri fedelissimi lanciano appelli per scongiurare la spaccatura.
Ma tutto dovrà passare attraverso un «repulisti» sul quale il vicepremier, e dopo di lui Cicchitto e i ministri Lupi, Quagliariello e De Girolamo – ricevuti anche loro in serata – sono irremovibili.
E allora ecco la rimozione dei coordinatori, Bondi e Verdini, del capogruppo alla Camera Brunetta, della responsabile organizzativa Santanchè, l’avvicendamento alla direzione del “Giornale” (Sallusti), tra le pesanti richieste messe sul tavolo.
La notizia fa il giro dei palazzi in poche ore e surriscalda un clima già tesissimo, nel partito.
«Presidente, se crede in me, vorrei che non ci fossero altri ostacoli nella costruzione della leadership del centrodestra, Renzi è già in campo dall’altra parte» è uno dei passaggi cruciali del discorso di Alfano a Berlusconi.
Un punto sul quale il Cavaliere concede ampie garanzie.
Del resto, quando la sera prima decine di deputati erano andati a Palazzo Grazioli portandogli le firme di cento parlamentari disposti a restare al suo fianco contro i “governativi”, li aveva quasi fulminati: «Dal sondaggio che mi hanno consegnato, emerge che il 70 per cento dei nostri elettori era per la fiducia», la loro linea era quella giusta, insomma.
«Non posso permettere ora che venga distrutto il progetto politico che ho costruito in questi vent’anni: con la spaccatura ci indeboliremmo. E poi, se rompiamo con Alfano, che risultato otteniamo».
Saverio Romano, ma anche Verdini e poi Fitto tra i più animati. «Non possiamo essere spazzati via per il solo fatto di essere stati leali a lei, il partito dovrà rappresentare tutti» è la tesi del deputato pugliese.
È in quell’area che matura l’idea di affiancare ad Alfano un coordinamento di otto dirigenti. Dentro, oltre ai capigruppo, Lupi, Bondi, Carfagna, Gelmini e lo stesso Fitto.
Ipotesi già stroncata ieri, tanto dal vicepremier quanto dai ministri arrivati a Palazzo Grazioli.
Alfano non vuole alcuna struttura che abbia l’impronta del commissariamento.
«Si tratta di defalchizzare il partito» è semmai il problema, per dirla con Cicchitto.
Sembra che nei colloqui a due in giornata Berlusconi abbia concesso ampie aperture: «Io ad Angelino voglio bene e lo stimo pure. Per me resta il migliore dei nostri, nonostante quel che mi ha fatto. Al momento è lui il nostro candidato premier».
Sul repulisti sa di dover concedere qualcosa, il capo.
Raccontano si sia detto pronto a sacrificare la Santanchè all’organizzazione, ma non Verdini, oppone resistenza sul direttore del Giornale Sallusti.
Brunetta alla Camera diventa molto in bilico.
«Angelino non può pretendere di avere in mano il cento per cento del partito » si è sfogato Berlusconi, garantendo comunque a tutti i suoi «piena agibilità politica» anche nel partito a impronta Alfano.
Loro, i falchi, non si sentono affatto sicuri, ora che perfino l’avversario Cicchitto ha trovato udienza a Grazioli.
Il segretario è stato chiaro col leader: «Se la linea premiata dagli elettori è la nostra, non vorrei che da domani si tornasse a sparare a zero contro il governo, diversamente sarebbero loro a mettersi fuori dal partito».
Ecco perchè si torna a parlare di gruppo forzista autonomo.
La resa dei conti non è finita.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Ottobre 4th, 2013 Riccardo Fucile
ALFANO VUOLE PRENDERSI TUTTO, BERLUSCONI ANNASPA E CHIAMA I RISERVISTI: MARTINO, SCAJOLA E BONDI
“Non possiamo buttare a mare tutto quello che abbiamo costruito in vent’anni. Datemi qualche giorno di tempo”.
È quando i falchi — “lealisti” come si definiscono – lo mettono davanti a un ultimatum che Silvio Berlusconi chiede una tregua.
Stanco per le notti insonni, piegato dal voto di giunta, il costruttore di un impero sente che sta crollando tutto.
Per la prima volta è l’ala dura del partito pronunciare una parola che suona come una bestemmia nella monarchia berlusconiana: “Congresso”.
Raffaele Fitto, chiuso a piazza San Lorenzo in Lucina con Denis Verdini e Renata Polverini la mette giù dura, forte di un documento che raccoglie le firme di oltre cento parlamentari: “La nostra richiesta è azzeramento delle cariche e congresso”.
Un’accelerazione. Perchè a questo punto sono loro a non fidarsi più del Cavaliere che ha “ceduto ad Alfano”: “Vuole tenere Alfano segretario? — è il loro ragionamento — e allora ci contiamo. Angelino ha i numeri tra i parlamentari, ma nel nostro popolo non è nessuno”. Berlusconi, dicono, è debole, ormai non garantisce più nessuno. Occorre contarsi.
È solo la concomitanza col voto della decadenza in Giunta che spinge Verdini, Fitto, Polverini a “congelare” la presentazione delle firme per i gruppi parlamentari “Forza Italia — Pdl per Berlusconi presidente”.
Ma il dado è tratto.
Berlusconi a palazzo Grazioli si sente seduto sulla Striscia di gaza tra lealisti e colombe.
Tanto che, nel momento più difficile, chiama la vecchia guardia azzurra per mediare, i forzisti della prima ora.
Arriva Claudio Scajola, uomo macchina dei tempi d’oro, per ragionare di organizzazione. Mentre Sandro Bondi e Antonio Martino diramano appelli all’unità del partito.
E’ una mediazione difficile quella che tenta il Cavaliere. “Annacquare e ricomporre attorno ad Alfano ma senza umiliare nessuno” è la parola d’ordine che affida alla vecchia guardia.
Non a caso proprio nella stessa giornata in cui Marina, in un’intervista al Corriere, ha parlato della necessità di unire i moderati.
Pur negando (ancora) la sua discesa in campo è apparsa già nel ruolo di candidato premier. Già , per unire i moderati, magari alle Europee, l’ex premier considera una iattura dividerli oggi.
Proprio ad Alfano prospetta una soluzione di compromesso: “Angelino, il ruolo di segretario non te lo toglie nessuno. Ma anche tu devi impegnarti per l’unità del partito”.
La soluzione annacquata di Berlusconi prevede che attorno ad Alfano nasca un comitatone di dieci, dodici persone, rappresentative di tutte le anime del partito: “Ma Verdini ci deve essere”. È sugli uomini che rischia di saltare tutto.
Garanzie Alfano al momento non dà : “Quello che non può più essere in discussione — dice un alfaniano di rango — è il nostro rapporto col governo. Angelino vuole il controllo totale del partito, perchè serve un’interfaccia affidabile nei rapporti con Letta”.
Non è solo un ridimensionamento “mediatico” quello che chiede nel lungo vertice pomeridiano: presenze televisive, supporto dell’informazione Mediaset, cambio di linea del Giornale. Ma “politico”.
Il controllo del partito significa la segreteria e un coordinamento forte attorno di uomini scelti personalmente: senza falchi.
Via tutti, ripete Alfano. Tempo, chiede tempo Berlusconi.
Ma per il prima volta non ha la forza di imporre la “sua” mediazione.
È il giorno della decadenza.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 4th, 2013 Riccardo Fucile
ESPLODE IL LODO VERDINI, ALFANO TORNA A CHIEDERE LA TESTA DEL LEADER DEI FALCHI… IPOTESI FITTO CAPOGRUPPO ALLA CAMERA E ROMANI AL SENATO COME PONTERI PER EVITARE LA SCISSIONE
Nel Pdl frantumato espolde il lodo Verdini.
Nel vertice blindato di oggi pomeriggio a Palazzo Grazioli, il “diversamente berlusconiano” Angelino Alfano avrebbe nuovamente messo Silvio Berlusconi di fronte all’aut aut — “O lui o io” — chiedendo la testa di Denis Verdini, coordinatore del partito insieme a Sandro Bondi.
Alfano avrebbe chiesto l’azzeramento dei vertici del Pdl, ma il nodo è soprattutto il senatore toscano leader dei “falchi“.
Che con Berluconi negli ultimi dieci anni ha condiviso tutto, dunque la sua eventuale messa alla porta sarebbe tutt’altro che indolore. E comunque il capo supremo sarebbe ancora molto incerto sul da farsi.
Nel corso del vertice, a cui hanno partecipato i capigruppo Schifani e Brunetta insieme a Gianni Letta e Raffaele Fitto, sarebbe emerso il possibile organigramma teso a scongiurare la frattura del partito in gruppi distinti, sfiorata nella giornata tormentata della fiducia “a sorpresa” al governo Letta.
Per la carica di capogruppo alla Camera, attualmente ricoperta da Renato Brunetta, si fanno i nomi dello stesso Fitto e del piemontese Enrico Costa.
Al Senato potrebbe essere confermato Schifani, ma si fa anche il nome di Paolo Romani, l’ex ministro dello sviluppo economico che pare sia stato determinante nel convincere Berlusconi a dire sì in extremis alla fiducia al governo Letta.
Queste figure garantirebbero comunque una stretta fedeltà a Berlusconi, ma nel contempo potrebbero fare da pontieri verso l’ala “alfaniana” a un passo dalla scissione.
Obiettivo, mantenere l’unione del Pdl mentre si avvicinano l’esecuzione della condanna del Cavaliere per frode fiscale — agli arresti domiciliari o ai servizi sociali — e, dopo il voto di oggi in giunta per le elezioni, la sua decadenza da senatore.
L’incontro blindatissimo è terminato intorno alle 17,30
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 4th, 2013 Riccardo Fucile
LA SALERNITANA URLA “TRADITRICE”, LA BENEVENTANA NUNZIA LE RICORDA IL FLIRT CON BOCCHINO, LE DIVIDE LA NAPOLETANA FRANCESCA
Una lite furibonda. Una vera e propria rissa. Anzi, essendo tutte e due le protagoniste campane, uno “strascino”.
Dall’entourage di Dudù arrivano particolari di fuoco su quanto accaduto l’altra sera a Palazzo Grazioli quando le urla di Francesca Pascale hanno interrotto una furiosa lite, a quanto pare un vero e proprio scontro fisico, tra Nunzia De Girolamo e Mara Carfagna.
Che è successo? E’ successo, stando alle indiscrezioni, che Mara e Nunzia, la salernitana e la beneventana, il “falco” e la “colomba”, sarebbero venute alle mani davanti allo stato maggiore del partito al culmine di una riunione al calor bianco. “Traditrice!” è stato l’unico insulto riferibile pronunciato da Mara nei confronti di Nunzia, che avrebbe risposto molto duramente ricordando con parole e concetti coloriti l’amicizia tra la Carfagna e Italo Bocchino ai tempi della scissione finiana. Una rissa vera e propria, con Berlusconi che tentava invano di calmare le acque; una zuffa interrotta dalla Pascale furiosa che ha minacciato di sguinzagliare Dudù prima del fatidico: “Ora fuori tutti!”.
Fin qui la nota di colore. Ma c’è anche dell’altro.
La richiesta dei falchi era di fare un rimpasto di governo: dentro Mara Carfagna e Daniele Capezzone, fuori Gaetano Quagliariello e Beatrice Lorenzin.
In questo modo, la componente “forzista” si sarebbe sentita nuovamente rappresentata al governo, dove attualmente ci sono cinque alfaniani su cinque ministri Pdl.
Ma la situazione è degenerata e di rimpasto non si è più parlato.
(da “Dagospia”)
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Ottobre 4th, 2013 Riccardo Fucile
SCONTRO DI DONNE
Per raccontare quel che segue occorre una premessa teorica.
La si deve a Sandro Bondi, unico esegeta autorizzato dal berlusconismo.
Quella del Cavaliere, ha scritto nel 2009, è “una politica donna”, in cui “la conquista del potere non è che uno strumento per diffondere benessere e felicità : la logica maschile del potere viene sostituita da quella femminile del dono, della comprensione, dell’amore”.
E dunque, come si vede, non è ozioso interrogarsi su come le donne della politica donna abbiano agito o parlato.
Le troviamo sui due fronti del dramma, pitonesse o colombe, e le sorprese non mancano: dichiarazioni violente, certo, ma anche amicizia, accoglienza, gesti delicati, silenzi raccolti in cui lasciar urlare il proprio smarrimento, forse, raccontano, qualche lacrima.
Espulsioni.
“Lorenzin e Quagliariello sono fuori dal partito” (Mara Carfagna, il 29 settembre, subito dopo aver augurato buon compleanno a Berlusconi paragonandolo a Bertrand Russell via Albert Einstein).
Nazisti.
“Non posso accettare l’idea di un partito alla Alba Dorata che considera traditore chi la pensa diversamente” (il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, pasdaran alfaniana, il 30 settembre)
Uccelli.
“Credo che ci sia qualcuno nel Pdl che sta facendo il salto della quaglia. Ma la storia insegna che chi ha tradito finisce reietto e non rieletto” (Michaela Biancofiore mercoledì mattina)
Incolti.
“Verdini, Santanchè, Capezzone e Bondi non rappresentano i valori di Forza Italia” e “non sono attrezzati culturalmente per guidare il partito” (Beatrice Lorenzin).
Chiarimenti.
“Si divertono a chiamarmi Pitonessa, ma ribadisco che il senso non è quello della barzelletta sul coniglio ingoiato , nè quello della moglie del pitone: si tratta del soprannome dato a Pizia che prevedeva il futuro ad Apollo” (Daniela Santanchè).
Divorzio.
“È in atto un confronto tra due classi dirigenti che stanno diventando sempre più incompatibili” (Lorenzin dopo aver costretto Berlusconi a rimangiarsi la sfiducia a Letta). Profezie. “Anche Fini era il grande vincitore. Per i sondaggi e per tutti i giornali. Era acclamato come il salvatore della patria. Mi sa dire dov’è ora Fini?” (Santanchè).
Distanze.
“Oggi è nato il governo Letta-Alfini, ma posso dire che io in Alfini non mi ci riconosco affatto” (Alessandra Mussolini)
The end.
“I destini sono separati . Fine. È già pronto il nuovo gruppo. Ma di che parliamo? Non voglio giudicare nessuno, ma non credo che il presidente meritasse quanto sta succedendo” (Mariastella Gelmini, mercoledì mattina)
Freud.
“Nessun parricidio, non uccidiamo il padre politico, anzi l’abbiamo protetto dall’estremismo. Domando: è possibile essere berlusconiani senza mandare il cervello all’ammasso?” (Lorenzin)
The sequel.
“Detto questo, andiamo avanti e sono convinta che troveremo una nuova coesione” (Gelmini, mercoledì sera).
Mediatrice.
La ministro dell’Agricoltura Nunzia De Girolamo è l’unica ammessa in entrambi i circoli: è alfaniana, ma senza asprezze. Mercoledì è riuscita nella stessa serata ad andare alla riunione organizzata dal “traditore” Gaetano Quagliariello e poi a presentarsi a cena in una pizzeria romana con fidanzata e “badante” del Cavaliere, Francesca Pascale e Maria Rosaria Rossi.
Rimozioni.
“Il vincitore? Berlusconi” (la realtà vista da Santanchè). “Io so solo che a Zanda glielo abbiamo messo in quel posto” (Mussolini non ha simpatia per il capogruppo Pd in Senato).
Traditori.
“Sono scioccata, ma non potrei mai ribellarmi: lui è e resta il mio leader. Le sembro una che può tradirlo? Non sono mica come quelli lì che giocano a scambiarsi le figurine” (Santanchè).
Dissidenti.
“Il Pdl, che è il partito di Berlusconi e Alfano, ha espresso una linea in Parlamento. Se altri non vi si riconoscono, sono loro i dissidenti” (Barbara Saltamartini, deputata alemanniana, oggi vicina a Comunione e Liberazione).
Cibo/1.
Mercoledì mattina. Aula di palazzo Madama. Paola Pelino, senatrice abruzzese, offre materna all’amareggiato Silvio i confetti che la sua famiglia produce da decenni a Sulmona.
Cibo/2.
“Non mi sento tradita, certo ho mangiato un cucchiaino di merda” (il sapore della fiducia a Letta secondo Santanchè).
Afasia.
In molte s’affidano ad un delicato silenzio in cui lasciar decantare l’asprezza delle cose. Non pervenute: Laura Ravetto , Lara Comi, Annamaria Bernini. Tutte volti tv del berlusconismo fino a qualche giorno fa.
Speranze .
“Ho offerto la mia testa ad Alfano su un vassoio d’argento, mi auguro che su quel vassoio non ci finisca la testa di Berlusconi” (Santanchè)
Marco Palombi
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Ottobre 4th, 2013 Riccardo Fucile
BATTAGLIA DI DOCUMENTI NEL PDL
Come se nulla fosse accaduto. Nè la batosta di mercoledì al Senato, nè un partito spaccato e allo
sbando. Silvio Berlusconi sparge ottimismo tra le macerie del Pdl e prova a rassicurare: «Vedo sui giornali tutto questo dissenso, ma io stamattina ho parlato due ore con Alfano e non vedo le cose che sono sui giornali e le agenzie »
Esce dal Senato, dopo una riunione nello studio del capogruppo Renato Schifani.
E racconta così la retromarcia e la fiducia concessa al governo: «Abbiamo votato perchè Letta ha dato assicurazioni sulle cose da fare ai nostri ministri e nel suo discorso».
Poi torna ad attaccare la magistratura per la condanna nel processo Mediaset, bollandola come «sentenza politica». Quanto alla possibilità di finire “espulso” dal Senato per la legge Severino, il Cavaliere preferisce di sdrammatizzare: «Magari, così mi riposo ».
Hanno poco da scherzare, invece, il gruppo dei pasdaran e quello dei moderati.
L’un contro l’altro armati, battagliano a colpi di documenti.
Ieri è stata la volta di quello firmato dai cosiddetti “lealisti”.
Una replica dura al testo filogovernativo presentato dagli alfaniani il giorno della fiducia. Lo sottoscrivono in cento — tra deputati e senatori — e tra i firmatari spiccano Denis Verdini e Mariastella Gelmini, Mara Carfagna e Sandro Bondi, Daniele Capezzone e Daniela Santanchè
Nel partito, però, c’è chi sogna in una difficile ricomposizione.
Lo sostiene anche un falco come Sandro Bondi: «Spero ancora che si superino le divisioni». Come lui, anche due ex An come Maurizio Gasparri e Barbara Saltamartini lottano per una ricomposizione.
Ma il ministro Gaetano Quagliariello non gradisce il documento dei lealisti e su Twitter attacca: «Venti parlamentari bussano a palazzo Grazioli per una resa dei conti interna. In un giorno come questo…Senza parole».
E anche Fabrizio Cicchitto va giù duro: «Doveva essere una giornata di tregua e di riflessione nel Pdl. Ci troviamo di fronte invece ad un ulteriore atto di aggressività e di conflittualità ».
Sul fronte delle colombe, d’altra parte, molto si muove.
In prima linea c’è Roberto Formigoni, uno dei senatori pronto allo strappo: «La linea del nuovo gruppo è sospesa. Abbiamo trovato un Berlusconi dialogante e anche per questo abbiamo sospeso l’iniziativa», assicura, giurando: «Ieri eravamo settanta e oggi abbiamo ancora altre adesioni».
Salta, intanto, la manifestazione del partito annunciata per oggi. Era stata lanciata giorni fa e sarebbe dovuta servire per reagire al voto sulla decadenza del Cavaliere in Giunta per le immunità .
Ma di fronte alla scelta di votare la fiducia all’esecutivo, molto delle parole d’ordine dell’appuntamento sono evaporate e hanno consigliato l’annullamento.
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica“)
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Ottobre 4th, 2013 Riccardo Fucile
L’OBIETTIVO È QUELLO DI RINVIARE IL VOTO SULLA DECADENZA, LE SPERANZE PERà’ SONO MINIME
Non riposa in pace nè di notte nè di giorno, ratifica il dottor Michele Zangrillo.
La rabbia di Niccolò Ghedini e Denis Verdini, fra documenti, petizioni e vendette, non dà un effetto sedativo.
Alzi la mano chi vuole cenare, sempre, con l’avvocato di Padova e il contabile di Fivizzano? Neanche Silvio Berlusconi, forse.
Angelino Alfano non ha ricevuto il perdono paterno, perchè non gli interessa, perchè vale niente: vuole il partito, la gestione di struttura e finanza, la cassa.
Quelli che si definiscono “lealisti” assediano palazzo Grazioli, fomentano il Capo umiliato, il giorno dopo lo psicodramma al Senato, il giorno prima la decadenza in Giunta: “Non ci andrò, la sentenza è mediatica. In Europa mi daranno ragione”.
I lealisti scrivono poche righe contro Alfano, riesumano il giovane invecchiato Raffaele Fitto, lo trasformano in portavoce.
Proprio l’ex governatore che, emarginato, trovava pace soltanto nel mutismo.
Sono un centinaio, o anche di più. Vogliono un rimpasto del governo, posti da ministri e sottosegretari: se le correnti sono due, le poltrone vanno divise.
La truppa guidata da Verdini rappresenta il pezzo di Pdl che Alfano vuole scaricare. Un elenco che non sorprende e che, nonostante le dichiarazioni pubblicitarie di B. (“Non siamo divisi, c’è dialettica interna”), non ricompone la frattura e non rinvia (di molto) la scissione.
Ci sono Santanchè, Bondi, Capezzone, Minzolini. Quelli che, a sentirli, non conciliano proprio il sonno.
Quagliariello li declassa: “In 20 bussano a Grazioli per una resa dei conti in questo giorno (Lampedusa, ndr)”.
Berlusconi senza cravatta va in Senato a istruire Renato Schifani: “In Giunta finisce un ventennio? Magari, così mi riposo”. Zangrillo esulta.
Oggi in Giunta per le Elezioni, o per essere precisi nei prossimi 3-4 giorni in forma definitiva, il Cavaliere sarà decaduto a metà , ancora più indebolito, ancora più inquieto.
E non c’entra nulla la manifestazione di piazza Farnese annullata. Non lo fa per la pacificazione.
Non vuole la conta pubblica, la teme: “Non ci sono dissapori con Alfano”. Ora a Ghedini e Verdini, consiglieri per le salvezze estreme, il Cavaliere ha affidato se stesso. E l’ultima e disperata via di fuga.
Prima che il presidente Grasso e i capigruppo fissino la data per l’uscita ingloriosa da Palazzo Madama, B. vuole pasticciare una mozione per un rinvio alla Consulta.
La domanda non è originale, già spesa, usurata e bocciata in Giunta: la legge Severino può essere retroattiva?
Qualcuno avrà il buon cuore di spiegare che il Senato non può aprire un conflitto di questo tipo .
Ma qualcuno potrà pensare, per supplicare ai democratici (ora inflessibili) un aiutino meno scandaloso, che uno slittamento sia possibile.
Oggi la Giunta si esprimerà per la decadenza, poi ci sarà una seconda votazione con la relazione di Stefà no che sarà girata a Pietro Grasso.
Berlusconi e Alfano dovevano parlare a distanza: l’ex capo a Montecitorio con i deputati di Brunetta e l’ex gregario a Palazzo Chigi con i ministri.
Il dramma di Lampedusa ha posticipato la battaglia. La schizofrenia di Berlusconi, l’oscillare senza coerenza e consistenza, va esaminata, analizzata con pratiche terapeutiche: che fa, di sera, il Cavaliere?
Mercoledì notte, braccato da Dudù (Francesca non c’era), aspettava una visita di Alfano. A ringhiare era uno soltanto, non il barboncino, ma Denis Verdini.
Francesca Pascale, annoiata, scortata da Maria Rosaria Rossi, è scappata in pizzeria. C’erano la Biancofiore e Jole Santelli. Al ristorante c’era pure il ministro Mario Mauro, ex berlusconiano convertito al montismo, ma poi neanche più di tanto.
Nunzia De Girolamo raggiunge la comitiva.
Tra le luci arancioni s’aggirano Daniela Santanchè, Alessandro Sallusti e Nicola Porro, ieri a pranzo facevano comunella al Bolognese con La Russa, praticamente le riunioni del Giornale sono itineranti e i “traditori” sempre a tiro.
Ci siamo dimenticati di Berlusconi, affranto a palazzo Grazioli con Brunetta, Ghedini e Verdini. Pronto a sbranare Alfano.
Per incollare una strategia, una tattica ragionevole, va raccontato lo sfogo di Francesca, che accusa i duri e i puri che hanno trascinato il Cavaliere nel duello con Enrico Letta e Angelino, che non risparmia critiche al duo Capezzone e Santanchè.
E che affascinata dal cagnolino che le commensali portano in pizzeria, fa un resoconto (non breve) del rapporto empatico tra Silvio e Dudù.
Pascale versione moderata. Statista.
Altro che Gianni Letta.
E ieri mattina, inerme davanti al segretario scissionista, B. ha finto di voler consegnare il partito al gruppo di Alfano.
È una prova di scuola, che avrà ripassato durante la convivenza con Dudù: mollare il guinzaglio, mettere l’uno contro l’altro, e osservare dove vanno a sbattere.
Le indiscrezioni, sempre più assordanti, danno per imminenti problemi giudiziari tra i cosiddetti falchi.
Una consulenza a Francesca sarebbe utile.
Carlo Tecce
argomento: PdL | Commenta »