Ottobre 29th, 2013 Riccardo Fucile
PRIMA DEL VOTO AVEVA SCOMODATO DE GASPERI: QUESTA TERRA E’ UN LABORATORIO… FORZA ITALIA PIU’ LEGA HANNO PRESO INSIEME IL 2,5%
La sintesi, certe volte, è tutto. «Sono nel bel mezzo del casino. Sentiamoci dopo, per favore»
Dopo, però, la situazione addirittura peggiorerà : per il Pdl – precipitato giù nel crepaccio dei dati finali – e soprattutto per lei, Michaela Biancofiore da Bolzano, 44 anni, capelli biondi e lisci, coordinatrice regionale del Trentino Alto Adige e tra le azzurre deputate amazzoni certamente quella preferita dal Cavaliere, che un giorno, ad Arcore, in vena di romanticherie, le regalò persino un magnifico anello di brillanti (vista la tempra di Francesca Pascale, nuova regina di Palazzo Grazioli, prudentemente portato all’anulare della mano destra).
Ad Andalo, venerdì sera, le ultime parole famose della Biancofiore sono state queste: «Il Trentino Alto Adige è un laboratorio che ha dato vita ad Alcide De Gasperi». Scomodato lo statista democristiano, per giustificare quelle bandiere che nel gelo sventolavano con su scritto: «Forza Trentino».
Esperimento, fallito, di tramutare Forza Italia in simbolo territoriale.
Quello del vessillo, comunque, non è stato l’unico esperimento di questa tornata elettorale abbastanza memorabile.
Perchè a un certo punto, nella scorsa primavera, la Biancofiore volle togliersi il capriccetto (politico) di nominare come commissario provinciale del Pdl altoatesino un ragazzo. Proprio così.
Un ragazzo di 19 anni: Alessandro Bertoldi detto Berto, all’epoca ancora indaffarato con gli esami di maturità (frequentava l’istituto «Marie Curie» di Pergine Valsugana) ma anche già sfrontato e determinato a imitare il suo idolo – «Voglio essere il nuovo Silvio», da un’intervista a Marianna Aprile del settimanale Oggi ) – quindi già con la giacca blu di una taglia più grande esattamente come le porta Berlusconi e pure lui, in certe foto, con il sorriso un po’ fisso, senza cerone ma stranamente abbronzato.
Il ragazzo si esibì subito in un paio di uscite ragguardevoli. «I tedeschi sono dei pidocchi ripuliti». «Sono da sempre impegnato per la causa della liberazione di Cuba dal castrismo-comunista» (quest’ultima consegnata agli elettori del Pdl sulla sua pagina Facebook e sul suo strepitoso sito: «Aleberto.wordpress.com»).
La «tata» (copyright Gian Antonio Stella) si accorse allora che da sola non sarebbe riuscita a controllare tanto facilmente il baby commissario: meglio perciò affidarlo alle cure di sua sorella, Antonella Biancofiore, preside delle «Marcelline» e anche improvvisamente tutor, qualcosa di simile, scrisse il quotidiano Aldo Adige , «alla signorina Rottenmeier di Heidi»
Intanto, la campagna elettorale del Pdl andava avanti. Con altri incidenti
Il primo: Michaela Biancofiore – appena arrivata come sottosegretario al ministero delle Pari Opportunità – si esibisce in un paio di dichiarazioni che il suo pupillo Berto avrà pensato: perchè io con il tutor, e lei no
«I gay sono una casta». «I gay si ghettizzano da soli».
Letta la punisce spostandola al ministero della Pubblica amministrazione, ma l’amazzone rilancia: «Vabbè: comunque anche papa Francesco la pensa come me».
Seguono baruffe varie. Che, però, non distraggono troppo la Biancofiore. Anzi: con la tenacia che le va riconosciuta, batte valli e rifugi, entri in una baita e puoi trovarla che cerca di convincere a votare per il Pdl due pastori.
Il guaio è che il Pdl è nelle condizioni che sappiamo, e lì, poi, ha pure cambiato nome.
«In più – la Biancofiore è di parola ed ecco che a sera arriva qualche sua riflessione sulla sconfitta – dobbiamo tener conto di due cose: il logo Berlusconi non si è visto e sappiamo che lui, da solo, vale dieci punti. Poi c’è da dire che molti elettori mi confessavano di non avere più tanta fiducia in un partito, il Pdl, il cui segretario, cioè Alfano, ha accettato che la sottoscritta fosse destituita da sottosegretario in quanto considerata troppo berlusconiana» (perchè, nel frattempo, è successo pure questo: quando ministri e sottosegretari del Pdl, qualche settimana fa, si sono dimessi dal governo, Letta ha respinto tutte le lettere tranne una: quella, appunto, della Biancofiore).
Meglio chiudere con una foto. L’ha postata, pochi giorni fa, sul suo profilo Facebook
C’è lei, la Biancofiore, con un cerbiatto bianco.
«Questa sono io. Un politico diverso. Che ama le persone, gli animali, la vita vera».
Fabrizio Roncon
(da “il Corriere della Sera”)
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Ottobre 29th, 2013 Riccardo Fucile
C’E’ IL FLOP DELLE FIRME SUL TERRITORIO ALL’ORIGINE DELLA RETROMARCIA DEI “GOVERNATIVI” ALL’INSEGNA DEL “VOLEMOSE BENE”
Adesso è Angelino Alfano che frena. 
Che prova ad andare a Canossa da Silvio Berlusconi: “Non è partita una raccolta di firme in vista del consiglio nazionale ma so bene quale sarebbe la prima frase di qualsiasi documento dovessi trovarmi a sottoscrivere e cioè il riconoscimento della leadership di Silvio Berlusconi”.
La via per Canossa è un’intervista a Bruno Vespa, concessa per il suo ultimo libro Sale, zucchero e caffè.
L’Italia che ho vissuto da nonna Aida alla Terza Repubblica.
E diramata nella mattinata di lunedì. Il vicepremier rompe il silenzio nel quale si è racchiuso da giorni, sin dalla sua decapitazione all’ufficio di presidenza di venerdì, con una dichiarazione di fedeltà : la leadership — dice — non è in discussione.
È un segnale in controtendenza rispetto agli ultimi giorni.
Con l’obiettivo di riaprire la trattativa con Berlusconi. Di restare in gioco. Di evitare la “fine di Fini” per dirla con un’espressione che circola molto nel Pdl in questi giorni. Perchè Berlusconi ha fatto capire che stavolta fa sul serio: “O con me o contro di me” ha ripetuto.
E non ha affatto escluso che la conta sarà anticipata. La sua idea è di convocare il consiglio nazionale per far approvare il ritorno a Forza Italia prima dell’8 dicembre. Tra un paio di settimane, in prossimità del voto di palazzo Madama sulla decadenza: “Vogliamo vedere — trapela dall’inner circle del Cavaliere — chi dice di no a Berlusconi e a Forza Italia mentre al Senato di vota la decadenza”.
E adesso è Angelino ad avere davvero paura.
Lo spettro si è manifestato nel week end, quando i suoi fedelissimi hanno provato a raccogliere le firme su un loro documento per organizzare la conta al consiglio nazionale.
Un flop: qualche decina in Sicilia e in Calabria. Ma nel resto d’Italia i colonnelli di Alfano si sono sentiti rispondere: “E’ una follia. Non voteremo mai contro Berlusconi e contro il ritorno a Forza Italia”.
Nè ha rasserenato il suo animo l’intervista di Barbara Berlusconi all’HuffPost, nella quale la secondogenita del Cavaliere ha accusato il gruppo dirigente del Pdl: “Pensano solo a poltrone e potere”.
Profittatori che hanno zero idee e zero contenuti. Il riferimento a chi non ha saputo difendere Berlusconi in questi anni è fin troppo evidente.
Ecco la frenata di Alfano
Col documento che è stato rimesso nel cassetto. E l’idea di fare di necessità virtù: “Alfano — spiega una colomba — ha mandato un segnale di pace a Berlusconi con l’idea di tornare al disegno originario, quello che prevede che non salti il governo e sperando che Berlusconi recuperi lui al partito”.
È la vicepresidenza il ruolo che Angelino ha in mente. Su cui c’è già il veto dei falchi: “Non si torna indietro dall’azzeramento”. Ma su cui sta provando a convincere Berlusconi anche accettando che sia solo una casella di facciata, senza tanti poteri reali. È convinto che il Cavaliere voglia tenerlo dentro, “recuperarlo”, e che non voglia affatto mettersi nelle mani dei falchi.
Non è un caso che anche Lupi pronunci parole di miele verso il Cavaliere. E’ la resa. Che ha l’effetto di gettare nello sgomento le colombe più agguerrite.
Quagliariello, Lorenzin, Cicchitto sono rimasti impietriti dalle dichiarazioni di Alfano. Ci hanno letto il tentativo di impedire le scissione.
Perchè è chiaro che col vicepremier la rottura avrebbe un valore politico.
Senza, si rischia l’effetto “straccioni di Valmy” che vanno in soccorso al governo.
Già il governo. Per il Cavaliere non è cambiato niente.
Nessuna Canossa può fargli cambiare idea sulla decadenza.
E sull’impatto che ha sul governo: “O con me o contro di me”.
Punto.
(da “Huffingtonpost“)
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Ottobre 27th, 2013 Riccardo Fucile
ORMAI E’ DECISO AD ANTICIPARE LA RESA DEI CONTI PRIMA DELL’8 DICEMBRE
La sensazione del Cavaliere è la stessa che provò dopo essersi sbarazzato di Fini nel 2013 (anche allora
col timbro dell’ufficio di Presidenza): serenità . Anzi sollievo.
Perfino una gioia feroce. L’altra notte ha brindato. E che i calici di vino bianco, il suo di analcolico, fossero alzati proprio per festeggiare la cacciata dei «traditori», prima ancora del ritorno alla vecchia insegna di Forza Italia, lo conferma il discorsino pronunciato da Berlusconi. Il quale ha declamato una per una tutte e 24 le «deliberazioni», come le chiama lui, in base alle quali Alfano non potrà più occupare contemporaneamente le poltrone di segretario e di ministro dell’Interno.
Dello show sono stati testimoni quasi tutti i gerarchi rimasti fedeli, da Fitto a Verdini, dalla Gelmini a Rotondi, da Capezzone a Polverini, più l’ormai immancabile cane Dudù: da quando il suo padrone va sostenendo che «è intelligentissimo» e «gli manca solo la parola», tutti i visitatori fanno a gara per vezzeggiarlo con la sola eccezione di Brunetta (l’hanno udito che intimava al bòtolo: «Levati dai piedi!»).
Questo per mostrare quanto fossero infondate le speranze delle «colombe», alcune delle quali si sforzavano di vedere rosa dopo le parole di Silvio in conferenza stampa: «In fondo non ha chiuso tutte le porte, forse capisce di avere sbagliato…».
A giudicare dal «day after», Berlusconi non si pente di un bel nulla. Anzi, insiste.
Fonti attendibili, persone che di sicuro ieri hanno conversato con lui, preannunciano nuove mosse schiacciasassi con l’intendimento di spianare la fronda interna.
Il Consiglio nazionale dell’8 dicembre, quello dove Alfano medita di aprire un dibattito alto e nobile, magari addirittura di ostacolare il passaggio da Pdl a Forza Italia, quasi certamente si terrà prima, molto prima, entro un paio di settimane.
«Perchè aspettare?», si domanda il Cav. Risposta sorridente: «Non ve n’è ragione».
I suoi spargono la voce di aver raccolto (ma forse è pura «disinformazia») oltre 500 adesioni tra gli 800 membri del parlamento berlusconiano.
E poi l’uomo conta di giocarsi tutta, fino in fondo, la partita disperata della decadenza.
Di spendere tra i banchi del Senato gli ultimi giorni che lo separano dal voto.
Di intervenire in Aula al momento opportuno con parole incendiarie contro la sinistra e contro l’ingiustizia.
Agirà in prima persona. Non si fida più, sussurrano nella sua corte, di quanti gli avevano garantito che nel gruppo non c’era dissenso, tutto a posto, tutto sotto controllo…
Giacchè c’è, proverà a smembrare la truppa dei dissidenti, dove in verità più d’uno tentenna, dalla senatrice umbra che quando il 2 ottobre aderì al documento di Alfano non sapeva bene cosa firmava, all’ex vice-ministro già pentito del suo pentimento.
Ricapitolando. Con Angelino il rapporto è zero via zero.
«Consummatum est», conferma chi sa di latino. Sul Consiglio nazionale, il Cav buone bruciare i tempi.
Lascia cadere perfino l’idea di una separazione consensuale, avanzata con spirito costruttivo da Quagliariello, da Cicchitto, da Lupi.
«Vogliono imitare La Russa, Crosetto e la Meloni? Auguri… Ma visto che i Fratelli d’Italia ci sono già , allora dovranno fare i Cugini d’Italia».
Sprezzante quasi quanto Gasparri.
Da un personaggio così, la dissidenza non può attendersi un bel nulla, a parte la personale cortesia (ieri mattina Silvio ha chiamato Cicchitto per augurargli un buon compleanno).
Del resto, commenta uno dei ribelli, «Berlusconi è peggio di Stalin, che dei liberi pensatori aveva tale considerazione da farli accoppare. Invece lui non solo li fa fuori, ma pretende pure che loro siano d’accordo».
Il capo della fronda, Alfano, sta maturando le sue decisioni. Soffre, riflette e tace.
Avrebbe voluto guadagnare tempo, ma sembra impossibile.
L’ora delle decisioni irrevocabili giunge pure per Schifani, fin qui il più in bilico.
Altri, da Quagliariello a Sacconi allo stesso Cicchitto, hanno già capito come andrà a finire e si preparano alle barricate finali.
Ugo Magri
(da “la Stampa”)
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Ottobre 27th, 2013 Riccardo Fucile
LA PITONESSA HA APPENA VENDUTO UN PACCHETTO DI AZIONI DELLA SOCIETA’ DELL’EX MARITO CANIO MAZZARRO… TITOLI STRAPAGATI E CEDUTI A UN PREZZO INFERIORE DEL MERCATO
Daniela Santanchè ha problemi di Borsa. Nel senso di listino, mercato azionario. 
La pasionaria berlusconiana, in arte “la pitonessa”, si è infilata in un tunnel di affari sballati.
Titoli comprati e poi venduti a stretto giro di posta. Una girandola di cui è difficile afferrare il senso a meno che l’intraprendente Santanchè, che ama vantare il suo curriculum da business woman tutta d’un pezzo, non abbia perso d’improvviso la capacità di far di conto, di calcolare perdite e guadagni.
Oppure, ma è solo un’ipotesi, può essere che la parlamentare Pdl abbia deciso di darsi alla beneficenza a favore di qualche ignota controparte
Tre giorni fa, per dire, è passato di mano in Borsa il 5,5 per cento di Bioera, piccola azienda specializzata nei prodotti bio, cosmetici e non.
A vendere è proprio lei, la Santanchè, che incassa circa 740 mila euro.
Le azioni vengono scambiate a 37 centesimi ciascuna. Quel giorno, però, la quotazione di Bioera ha sfiorato i 40 centesimi.
Poco male, si dirà , lo sconto serve da incentivo all’acquirente di un pacchetto azionario di una certa consistenza.
A ben guardare, però, si scopre che la pitonessa aveva comprato quelle stesse azioni solo cinque mesi prima.
E l’acquisto era stato concluso a un prezzo ben superiore: 0,45 euro.
Particolare importante: quel giorno, era il 24 maggio, i titoli Bioera quotavano intorno ai 23 centesimi.
Dunque l’imprenditrice con targa Pdl ha strapagato un pacchetto di titoli che poi ha rivenduto nel giro di poche settimane a un prezzo inferiore.
Sorprendente, a dir poco.
Va detto che Bioera assomiglia molto a un affare di famiglia, o quasi.
La società è controllata da Giovanni Canio Mazzaro, l’ex marito della Santanchè che possiede la maggioranza del capitale.
A maggio la pitonessa berlusconiana aveva comprato una quota del 15 per cento circa risolvendo una lunga disputa legale che opponeva Mazzaro al fondo First Capital. Quest’ultimo è uscito di scena girando le sue azioni alla nuova entrata.
Tempo un paio di mesi e Mazzaro ha restituito il favore rilevando, tramite Bioera, il 40 per cento di Visibilia, la concessionaria di pubblicità fondata, gestita e controllata dalla Santanchè
Che c’entrano i prodotti biologici con gli spot? Mistero.
E infatti Bioera per completare l’acquisizione ha dovuto cambiare il proprio statuto allargando l’oggetto sociale.
Fosse solo questo, il problema. Bioera viaggia in perdita.
Nei primi sei mesi di quest’anno ha perso un milione su 24 di ricavi.
E anche Visibilia che ha chiuso il 2012 in stentato pareggio (rosso di 30 mila euro) ha dovuto ricorrere alla cassa integrazione per i dipendenti.
Moglie e marito separati nella vita ma uniti nelle perdite.
Vittorio Malagutti
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Ottobre 25th, 2013 Riccardo Fucile
DE GREGORIO, IL CONSIGLIO DELL’ESPERTO: COME SI EVITA L’ARRESTO
Manuale per sopravvivere al voto segreto (e salvarsi). Destinatario: il Cavaliere Condannato a rischio decadenza dal laticlavio. Autore: Sergio De Gregorio. L’uomo che ha inguaiato Silvio Berlusconi per la compravendita dei senatori anti-prodiani è una miniera inesauribile. Non solo per i magistrati.
Questione di esperienza.
Era il 6 giugno 2012 e De Gregorio si salvò dalle manette per un’altra inchiesta napoletana, quella sui fondi pubblici all’Avanti! di Valter Lavitola.
Sulla carta, il 6 giugno, l’allora senatore era già ai domiciliari. A favore dell’arresto si pronunciarono Pd, Udc e Lega. Contro solamente il suo gruppo, il Pdl, 127 seggi.
Ma il voto segreto fece il miracolo. De Gregorio rimase libero grazie a 169 voti. Un boom garantista. Bipartisan.
Le sue prime parole, riconoscenti, furono: “Ringrazio i tanti colleghi che non conosco”.
Infatti, ero fiducioso che sarebbero arrivati una ventina di voti in più, non così tanti.
Da dove?
Dal Pd e da dove se no? Ricordo la Finocchiaro (capogruppo all’epoca, ndr), era bianca in volto. Fu anche merito del mio intervento poco prima.
Molto accorato.
Quagliariello, che era vicecapogruppo, mi aveva scongiurato: “Non parlare, di solito in questi casi quando il protagonista interviene combina solo guai”.
Lei parlò.
E stimolai le coscienze.
Coscienze a parte?
Avevo fatto parecchie chiacchiere con tanti colleghi. Noi dobbiamo partire da una certezza.
Partiamo.
Al Senato non si consegna mai un senatore alle manette. È una logica ferrea, che accomuna tutti.
Quale fu il suo primo passo?
Andai da Gasparri (allora capogruppo del Pdl, ndr), una settimana prima. Gli chiesi: “Come siamo messi?”. Lui mi diede una risposta bruttissima: “Non è che possiamo salvare tutti”. Mi infuriai e mi rivolsi a Schifani.
Presidente del Senato nonchè presidente supplente della Repubblica.
E comunque punto di riferimento del nostro schieramento. Lui mi ricevette e gli spiegai i miei dubbi. Vedevo alcuni ex An fare strani giochini giustizialisti. Dissi a Schifani anche di avvisare Berlusconi.
Risultato?
Il giorno dopo ricevetti una telefonata da Gasparri che mi rassicurò: “Siamo tutti con te. Il presidente Berlusconi ha dato disposizione di fare il massimo per te”.
Iniziò la strategia delle chiacchiere.
Vede, al Senato, sul voto segreto c’è una consolidata tradizione. Quella della diplomazia d’aula. Si va o si manda qualcuno dal collega di commissione, di missione o altro ancora.
Senatore non mangia senatore.
Esatto. Contattai almeno venti colleghi del Pd che mi garantirono il loro voto. E sono certo che alla fine, da lì, me ne arrivarono tra i 15 e i 20, non di meno.
I nomi dei contatti?
Non voglio mettere in difficoltà nessuno. Erano metà ex Margherita e metà ex Ds. Uno di loro, molto autorevole, propose anche un patto al Pdl.
Quello dello “scambio” tra lei e Lusi, l’ex tesoriere della Margherita. Il Senato non lo salvò. Venne arrestato due settimane dopo.
Il Pd voleva far scorrere il sangue su Lusi e non voleva correre rischi in caso di voto segreto. Quell’autorevole senatore disse al Pdl: “Noi salviamo De Gregorio e voi non votate per salvare Lusi”.
Poi il Pd si salvò con il voto palese e fece scorrere il sangue di Lusi.
E Berlusconi rischia di fare la stessa fine.
Col voto palese.
Anche con quello segreto.
La diplomazia d’aula, le “chiacchiere” tra colleghi?
La salvezza di Berlusconi con il voto segreto significherebbe una sola cosa: la tomba del Pd. Perderebbero tutti i loro elettori.
Lei cosa pronostica?
Non mi interessa più di tanto. Berlusconi si può salvare dalla decadenza, non dalla Storia. È già condannato.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 24th, 2013 Riccardo Fucile
OCCUPY TV PER MARGINALIZZARE I FALCHI
L’ordine è partito nel corso di una delle tante riunioni del “cerchio magico”: occupy tv, con presenze massicce di fedelissimi.
Soprattutto nel servizio pubblico.
È l’ultimo nato tra i “cerchi magici” dei leader e o aspiranti tali, quello dei “diversamente berlusconiani” di Angelino Alfano.
Cene, incontri, riunioni che si trasformano in sedute di autocoscienza.
Gaetano Quagliariello è il personal trainer, nel senso di training autogeno verso Angelino: “Ci vuole coraggio, non puoi farti trattare così neanche da Berlusconi. Ci vuole dignità ”.
Gli altri, attorno, annuiscono.
Sono i teorici dello strappo col Cavaliere, dei gruppi autonomi, prima ancora che si voti la decadenza: “Se forziamo adesso — è la tesi di Cicchitto — reggiamo, dopo veniamo additati come traditori”.
Le sedute avvengono la sera, a casa Alfano, almeno un paio di volte la settimane.
E hanno preso il posto delle cene alla taverna Rossini, ristornate chic nel cuore dei Parioli, perchè tra scorte e portaborse si rischiava di dare troppo nell’occhio.
Con una variante logistica: all’occorrenza, ci si incontra al ministero di Lupi o nella stanza di Alfano a palazzo Chigi per riunioni che è meglio far sapere che si stanno svolgendo.
Eccolo il cerchio magico di Alfano: Maurizio Lupi, vero terminale di Cl e braccio operativo di quello che ai tempi delle primarie veniva chiamato il “progetto Bagnasco”, ovvero il funerale politico del berlusconismo in nome della resurrezione di un centro moderato; poi ci sono Cicchitto e Quagliariello, vecchie volpi del Parlamento e Beatrice Lorenzin, pasionaria dell’alfanismo.
Loro decidono, gli altri eseguono.
È a casa di Alfano che ha preso corpo, negli ultimi incontri, l’operazione occupy tv: le presenze del Pdl nella tv pubblica devono essere “solo” riconducibili ad Angelino, gli altri del Pdl vanno oscurati. Punto.
I diversamente berlusconiani hanno imparato sin da quando avevano i pantaloni corti l’importanza del mezzo televisivo in politica: tg, talk, costruzione dei servizi e dei “panini”.
È per questo che Alfano si è mosso nelle ultime settimane su due piani: la struttura e i contenitori di informazione.
Sul primo fronte non è casuale la nomina di Vincenzo Morgante come direttore della Tgr, Testata giornalista regionale: un giochino che coordina venti edizioni locali e venti redazioni.
Ex direttore di successo del Tgr Sicilia, Morgante ha come merito principale quello di essere legatissimo al capogruppo Renato Schifani, e quindi ad Alfano.
Sul fronte dei contenitori, è Danila Subranni, potente portavoce di Alfano, ad avere il compito di gestire presenze, ospitate e comparsate.
L’elenco è stato diramato, e prevede una scientifica ripartizione delle presenze.
Per i talk più importanti sono segnalati i ministri, tutti legati ad Angelino: Lorenzi, Lupi, De Girolamo, Quagliariello.
Per i sonori dei tg e per i pastoni politici dell’informazione Rai invece l’elenco prevede le colombe della Camera e del Senato.
Non solo quelle più televisive di faccia e di eloquio, ma anche quelle da coccolare, gestire, tenere fedeli in vista della grande conta col rivale Raffaele Fitto.
Con buona pace del servizio pubblico la Subranni suggerisce le presenze in tv solo sulla base delle convenienze del suo capo. Parla solo coi giornalisti “amici” e addomesticati, altrimenti non risponde a telefono.
Ecco i nomi della la lista di Alfano.
Alla Camera: Saltamartini, Santelli, Ravetto, Bianchi, Rosanna Scopelliti, Roccella, Costa, Cicu, Casero, Cicchitto, Pizzolante, Bernardo, Garofalo, Vignali. Al Senato: Andrea Augello, Bernabò Bocca, Sacconi, Chiavaroli e Viceconte.
Ed effettivamente c’è un pezzo di informazione che risponde ai desideri del manovratore. Non è un caso che Bruno Vespa, legatissimo a Gianni Letta, da settimane fa accomodare sui suoi divani bianchi tutti gli uomini segnalati da Angelino.
Nelle ultime tre settimane c’è stata la De Girolamo, la Lorenzin, Lupi, Sacconi. Mentre Schifani, di casa anche lui, non ha bisogno di segnalazioni.
Ma l’operazione non si ferma solo alla Rai.
Paradossalmente, ma non troppo, anche alle reti Mediaset è arrivata la stessa richiesta. Solo Paolo Del Debbio è autonomo davvero.
Anche a Matrix Telese, dopo aver iniziato la stagione invitando spesso la Santanchè, sforna dosi massicce di colombe alfaniane.
Al Arcore sono arrivate parecchie lamentele, anche perchè è da un po’ che il Cavaliere non vede in tv quelli che considera i più bravi come Mara Carfagna e Mariastella Gelmini.
Ma di questi tempi, l’ex premier ha la testa altrove.
E il suo di cerchio magico non è più così attento alla televisione.
(da “Huffingtonpost“)
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Ottobre 24th, 2013 Riccardo Fucile
IL CAVALIERE SI SFOGA: “ACCERCHIATO: SONO STATO RESPONSABILE E MI RIPAGANO COSàŒ”… NEL PARTITO TORNANO GLI ANTI-LETTA
Il Senato, all’ora di pranzo, diventa lo specchio delle panzane denunciate da Re Giorgio. 
Patto o non patto (tradito), una decina di senatori del Pdl, quasi tutti campani, decidono di silurare il ddl costituzionale sulle riforme.
Si astengono, facendo infuriare il loro capogruppo Schifani.
Guidati dall’ex guardasigilli Nitto Palma, evitano di “cadere nella trappola di Quagliariello”, come racconta uno di loro. Ossia del ministro delle Riforme indicato come il motore delle colombe alfaniane.
Il segnale è fin troppo smaccato. A tutti i presunti traditori del Cavaliere, Napolitano incluso. Tra l’altro i “napoletani”, con l’aggiunta di Augusto Minzolini e Domenico Scilipoti, fanno sapere di essere neutrali. Nè con Alfano, nè con Fitto. Solo berlusconiani.
Fa capolino persino l’ipotesi di farsi gruppo a parte, in caso di scissione. Anche per questo, nel tardo pomeriggio, nel suo classico sfogo post-trauma giudiziario, stavolta il processo a Napoli per la compravendita di parlamentari, il Condannato confida ai fedelissimi: “Il nuovo partito lo guiderò io, non mi parlate più di vicepresidenze o o altro”.
Al massimo due coordinatori, uno per clan. Denis Verdini per i lealisti-falchi. Maurizio Lupi per i governisti.
L’ennesima giornata campale del Pdl sull’orlo della scissione cristallizza sempre più le posizioni sul campo di battaglia. In mezzo c’è lui, il Cavaliere, con i suoi guai senza via d’uscita.
Pur descritto come “deciso e combattivo” da chi ci ha parlato ieri sera, quando ha ricevuto Verdini a palazzo Grazioli per cenare insieme.
Berlusconi si sente “accerchiato” e “perseguitato”. Si sfoga: “Vogliono farmi fuori, c’è un piano preciso per arrestarmi e liberarsi di me. Altro che pacificazione. Sono stato responsabile e leale con tutti, ho fatto le larghe intese e mi ripagano così. La prossima volta mi accuseranno di svaligiare le banche o di rapinare le vecchiette. Tutto questo è imbarazzante”.
Ovviamente la geremiade berlusconiana paventa la crisi di governo in caso di decadenza: “Per quale motivo dovrei continuare a stare insieme a loro?”.
Ed è per questo che, al di là delle polemiche di giornata, che pure hanno un senso ben preciso, le colombe di governo scavano sempre di più una trincea per resistere.
Il loro obiettivo è rinviare in ogni modo il voto fatidico sulla decadenza di B. e arrivare alla scadenza del semestre europeo, nella primavera del 2014. Ecco perchè i ministri, come Lupi ieri in un’intervista, si dicono convinti di arrivare fino al 2015, quando la presidenza italiana del semestre finirà .
La loro unica arma persuasiva, nei confronti di B., è questa: “Presidente, Napolitano non scioglierà mai le Camere”.
Minacce che non fanno che aumentare l’insofferenza del Condannato verso il Quirinale, bersaglio preferito dei falchi.
Stretto tra la scissione e i suoi guai giudiziari, Berlusconi tenta disperatamente di salvare la finta unità del Pdl.
Dopo il blitz al Senato, la tensione si è alzata al massimo e Alfano ha avuto un colloquio di due ore con il rivale Fitto alla Camera.
Un incontro “interlocutorio”, secondo la definizione dei rispettivi clan. Anche se qualcuno indica nel vicepremier “la voglia di recuperare terreno agli occhi di Berlusconi”. Tutto ruota, qualora non si fosse capito ancora, attorno alla decadenza di Berlusconi.
Lo scontro ha investito anche il presidente del Senato Grasso, che ieri ha sparato contro il voto segreto: “Potrebbero esserci interessi nel voto segreto diversi da quelli della propria coscienza”.
Il Pdl ha reagito ferocemente contro di lui. Tutto dipende da quando, a fine mese, si saprà non solo la modalità di voto, segreto o palese, ma soprattutto la data che farà piombare maggioranza e governo in un clima da fine impero. Il prezzo delle larghe intese con un interlocutore come Berlusconi è questo.
Prima o poi la verità sulle “panzane” del patto tradito verrà fuori.
Questione di tempo.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 23rd, 2013 Riccardo Fucile
COMPRAVENDITA SENATORI, ORA BERLUSCONI VEDE NERO: “SULLA DECADENZA IL PD NON MI DARA’ SCAMPO”
“È un assedio. Non si fermeranno finchè non avranno il mio scalpo”. Adesso la morsa si stringe davvero. 
Silvio Berlusconi è provato. Colpo dopo colpo anche la rabbia lascia il posto alla paura. Perchè l’impatto politico di Napoli è devastante.
Quello politico, prima ancora di quello giudiziario dal momento che la prescrizione dovrebbe scattare a settembre del 2015 ed è complicato che per quella data si arrivi al terzo grado di giudizio.
Anche se non è tutto lineare e immune da rischi.
Gli avvocati del Cavaliere temono che l’impianto accusatorio sia costruito con l’obiettivo di “incastrare” Berlusconi nel corso del dibattimento.
E che per questo non hanno calato da subito gli assi che hanno in mano: “Se Berlusconi fosse già decaduto — è la tesi della cerchia ristretta — lo avrebbero già arrestato”.
Ma è il corno politico della vicenda l’incubo vero.
Perchè Napoli è un processo che brucia ogni speranza sulla questione della decadenza. Anzi sposta le lancette dell’orologio già a dopo il voto: “Se mi salvo col voto segreto — è l’analisi dell’ex premier — Renzi farà saltare il banco il minuto dopo. Ma vedrete che il Pd sarà compatto. Non mi daranno scampo ”.
Già , compatto. Perchè di tutti i processi quello di Napoli sulla compravendita di senatori è quello a più alto impatto politico.
Per il Pd è complicato giustificare il fatto che le larghe intese si fondano sulla convivenza con colui che ha organizzato una gigantesca operazione di corruzione di senatori per far cadere Prodi.
È diverso rispetto alle altre accuse che pendono sulla testa di Berlusconi. Gravissime, come nel caso dei due filoni del processo Ruby.
O come nel caso della condanna su Mediaset.
Ma che comunque non riguardano i rapporti col Pd. Ora la sinistra è al governo con il proprio killer del 2007.
E’ questa consapevolezza che spinge Berlusconi al pessimismo più cupo sulla questione della decadenza: “Non ci concederanno niente pur di farmi fuori”, ripete. L’ex premier ha deciso che farà ricorso in Cassazione sull’interdizione.
Ma è la partita del Senato a rappresentare un piano inclinato.
Le notizie che arrivano da palazzo Madama sono ansiogene: oltre alla seduta del 29, al massimo il Pd ne concederà un’altra per discutere di voto segreto o palese, poi l’affaire piomba in Aula.
È praticamente impossibile andare oltre l’ultima settimana di novembre o al massimo la prima di dicembre.
È in questo vortice che non c’è un solo elemento che dia al Cavaliere un appiglio di speranza.
Il calendario dice pure che a metà novembre arrivano le motivazioni della condanna in primo grado sul processo Ruby, per concussione e prostituzione minorile.
Altra benzina su un assetto già in fiamme. E sulla voglia di rompere della maggioranza del Pd, come emerso dalla votazione su Rosi Bindi all’Antimafia.
È un appuntamento che assomiglia sempre di più a una ghigliottina, il voto sulla decadenza: “Se Berlusconi si salva ed è difficile — dicono nell’inner circle — a quel punto lo tira giù il Pd il minuto dopo. Se non si salva e lo tira giù lui c’è la questione dei traditori pronti a stare con Letta”.
Una questione non banale. Perchè la verità è che il Pdl non è più un partito. Sono due. Va malissimo il “faccia a faccia” chiesto da Berlusconi a Fitto e Alfano.
Con Angelino che rimane su posizione filo-governative e Fitto che non retrocede dalla sua richiesta di azzeramento dei vertici: “Non sono d’accordo — scandisce — sull”idea di un Pdl subalterno alla sinistra”.
In serata arrivano separatamente a palazzo Grazioli. Ma non c’è intesa.
Neanche nel momento più difficile.
(da “Huffingtonpost“)
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Ottobre 23rd, 2013 Riccardo Fucile
LA CARRIERA DELL’EX MACELLAIO: DAI FINANZIAMENTI DELLA BCC FIORENTINA A CARBONI E DELL’UTRI
L’inchiesta Bianco, rosso e Verdini di Sigfrido Ranucci, trasmessa da Report, ci consegna un copione per una serie televisiva, anche a puntate, più documentario che finzione.
Il protagonista è un ragioniere, settore macelleria, di Campi di Bisenzio, paesone in provincia di Firenze: “Quelli che sono bravi a scegliere le parti migliori di una bestia”. Un signore con la scorza dura e le maniere dure che, in vent’anni o poco più, è diventato un uomo d’affari, un banchiere ricercato, un editore multiplo, un politico influente, coordinatore Pdl e selezionatore di candidati.
E in vent’anni o poco più ci sono milioni di euro che girano, passano di mano e in mano e tornano al mittente; 800.000 euro in nero da un costruttore siciliano emigrato (e lui ammette), Ignazio Arnone; 800.000 euro di un faccendiere Flavio Carboni per il giornale (in realtà , l’eolico in Sardegna), che taglia di sbieco la storia d’Italia; le solite garanzie finanziarie di Silvio Berlusconi (7,5 milioni), una fideiussione; il soccorso di Angelucci (10 milioni).
E ancora: lo scoperto infinito sui conti di Marcello Dell’Utri, centinaia di milioni di euro distribuiti tra i soliti imprenditori di area, e soprattutto a Riccardo Fusi per le sue operazioni immobiliari nei comuni toscani.
Il teorema Denis Verdini è semplice: da banchiere seleziona gli imprenditori da finanziarie e li porta agli amministratori che da politico ha fatto eleggere.
E poi se c’è un affare ci si infila.
Il Giornale della Toscana e il Credito Cooperativo Fiorentino sono falliti, ci sono dei processi in corso.
E non stupisce che, soltanto 4 anni fa, per i 100 anni di una banca creata per offrire liquidità ai toscani, ci fosse l’ignaro Fiorello a spegnere le candeline con Verdini, allora insospettabile, allora come oggi, un potente.
A cantare, a scherzare, a subire una battuta che rende benissimo il personaggio Denis: “Grazie a Fiorello. Vedrà quando l’assegno è scoperto! Ride meno! Noi a volte lo facciamo, agli amici, solo agli amici”.
La genesi di Denis, racconta Ranucci: “L’ascesa politica di Verdini comincia nel ’90, quando da semplice commercialista, diventa presidente del Credito cooperativo fiorentino, una banca nata a Campi Bisenzio nel 1909, come cassa rurale. Verdini in poco tempo apre filiali, anche a Firenze, che vengono inaugurate dall’allora presidente del Senato, Giovanni Spadolini”.
Le accuse di Banca d’Italia: 100 milioni di euro di finanziamenti senza adeguate istruttorie. Risposta: “Una cazzata”.
Tra i sindaci che dovevano controllare c’erano i legali e il commercialista di Verdini.
La fonte di Ranucci rivela la natura dei legami tra Verdini e Giuliano Ferrara e tra Verdini e Marcello Dell’Utri.
L’ex senatore Pdl, l’amico Marcello del Cavaliere, voleva fare un centro benessere: “Una legittima aspirazione che s’infrange, però, contro l’ennesimo procedimento penale. Dell’Utri è rimasto coinvolto nel crac della banca di Verdini. Il coordinatore Pdl gli ha concesso un fido di oltre 3 milioni di euro, nonostante fosse esposto con il sistema bancario per oltre 7 milioni. Ma perchè Verdini invece di far credito agli imprenditori toscani, aiuta l’ex senatore che ha interessi a Milano?”.
Aveva aiutato anche Ferrara per la candidatura al Mugello nel 1996 e aveva adottato il Foglio.
Il Credito Cooperativo Fiorentino raccoglieva 418 milioni di euro e ne erogava 410. Ma non per sollevare l’economia locale: no, i soldi erano divisi tra 50 (e fortunati) nomi.
Per avere credibilità e nobiltà , Verdini ha coinvolto nell’impresa editoriale il principe Strozzi.
L’incontro tra Ranucci e la principessa Irina è meraviglioso, una via di mezzo tra Fantozzi e Woody Allen. A Irina Strozzi quel Denis non piaceva, non voleva che il padre e le loro diagonali generazionali con Guicciardini e la Gioconda si confondessero con l’ex macellaio.
La carta, finchè non l’hanno inquisito, era l’eldorado di Verdini: “Il banchiere Verdini ha finanziato il Verdini editore per circa 12 milioni di euro. Per accedere al massimo dei contributi statali, avrebbero gonfiato fatture e tiratura così per 10 anni avrebbero ingannato la presidenza del Consiglio, raccogliendo circa 22 milioni di euro”.
Verdini forgia gli uomini per la Toscana, il collaboratore Massimo Parisi è stato spedito a Montecitorio e pare che il porcellum, esportazione toscana, fosse un patto tra la sinistra e la destra che condizionava pure le nomine al Monte dei Paschi.
Anche la parte di Ettore Verdini, il fratello, è sublime: gestisce un patrimonio immobiliare per circa 30 milioni di euro, a Prato, ne affitta uno a Equitalia per 220.000 euro l’anno.
Verdini ha esteso i suoi interessi, tre appartamenti a Crans Montana.
I prelievi e i bonifici sono frequenti, dà segnalare 166.000 euro per le perdite del Foglio. Ma chi paga la morte del Credito Cooperativo? Parla Augusto Dell’Erba, presidente del fondo di garanzia Bcc: “Noi ci siamo accollati 15 milioni di sbilancio patrimoniale, 78 milioni di partite anomale (…) abbiamo anticipato 25 milioni di imposte differite che sono crediti fiscali (…) e poi abbiamo dato garanzie alla banca cessionaria per un pezzo di certi crediti di incerta definizione per 32 milioni”.
Verdini è ancora lì, a palazzo Grazioli, a fare e rifare i conti.
E spesso, come nel giorno della sfiducia a Enrico Letta, gli riescono male.
Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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