Novembre 30th, 2016 Riccardo Fucile
“IL DIBATTITO NEL MERITO SI E’ TRAMUTATO IN UNA RISSA CHE CI HA INDEBOLITO ALL’ESTERO”
Al fotofinish, proprio quando l’ansia da prestazione per il 4 dicembre ha raggiunto livelli di guardia a Palazzo Chigi, Romano Prodi dice sì. E Matteo Renzi tira un respiro di sollievo.
La nota che annuncia il sì dell’ex premier era nell’aria, almeno da ieri. Un minuto dopo i lanci di agenzia, i renziani si mettono al lavoro per contattare i sondaggisti più vicini. Mission: capire quanto sposti Prodi sul voto di domenica, che effetto può avere un sì del prof non tanto sull’elettorato Dem, dove un effetto positivo potrebbe essere scontato, ma su quell’elettorato moderato di centrodestra che poi è il bottino sul quale Matteo Renzi ha posto le sue mire per vincere.
Da Ancona il premier ringrazia: “Fatemi dire da qui grazie a Prodi, che poco fa ha detto che voterà Sì pur non condividendo tutto, ma riconoscendo che c’è un’esigenza per il Paese”. Al suo quartier generale, cioè sui social, è festa.
In effetti Renzi ci ha lavorato un bel po’ per ottenere un pronunciamento del professore. Non direttamente.
Ci hanno lavorato i suoi più vicini a Prodi. Ore di chiacchierate, telefonate. A quanto raccontano, il Prof non è mai stato tentato dal no alla riforma Boschi. Ma era deciso a non pronunciarsi prima del voto, lasciare Renzi e i suoi in quel limbo di sospensione tra la vita e la morte politica senza dare mani di aiuto.
Alla fine invece ha deciso di intervenire. Sulla base di due convinzioni.
La prima: legare il suo sì alla riforma della legge elettorale. Lo scrive proprio in testa alla nota diffusa oggi: “Anche se le riforme proposte non hanno certo la profondità e la chiarezza necessarie, tuttavia per la mia storia personale e le possibili conseguenze sull’esterno, sento di dovere rendere pubblico il mio sì, nella speranza che questo giovi al rafforzamento della nostre regole democratiche soprattutto attraverso la riforma della legge elettorale”.
Il secondo elemento per cui Prodi ha deciso di esprimere il suo sì è racchiuso nella formula sulla quale Renzi ha puntato in questi ultimi giorni di campagna referendaria. E cioè la stabilità , il no ai governicchi, le carte che lui considera più convincenti per vincere.
Prodi non la mette esattamente così. Ma, dall’alto delle sue relazioni internazionali ancora intense e vive malgrado il prof non eserciti più politica attiva in Italia, l’ex premier ha voluto dare un aiuto all’idea che con il sì al referendum il Belpaese sia più stabile.
Il suo, spiega chi ci ha parlato, è un sì ad un’Italia che resta in piedi rispetto ai venti populisti che si stanno abbattendo ovunque nel mondo. E’ un sì ad un cammino riformatore che andrebbe raddrizzato, ma se si fermasse sarebbe peggio. E’ un sì comunque condito di amarezza.
“Dato che nella vita, anche le decisioni più sofferte debbono essere possibilmente accompagnate da un minimo di ironia, mentre scrivo queste righe mi viene in mente mia madre che, quando da bambino cercavo di volere troppo, mi guardava e diceva: ‘Romano, ricordati che nella vita è meglio succhiare un osso che un bastone'”, scrive il Prof lasciando dunque intendere le sue perplessità .
E senza nascondere di aver considerato “di non rendere esplicito il mio voto sul referendum”.
Perchè, dice, “sono ormai molti anni che non prendo posizione su temi riguardanti in modo specifico la politica italiana e, ancora meno, l’ho fatto negli ultimi tempi. Questa scelta mi ha di conseguenza coerentemente tenuto lontano dal prendere posizione in un dibattito che ha, fin dall’inizio, abbandonato il tema fondamentale, ossia una modesta riforma costituzionale, per trasformarsi in una sfida pro o contro il governo”.
La parte amara arriva alla fine della nota. Dove Prodi prende le distanze sia da Renzi che da D’Alema, i due maggiori avversari del Sì e del No nel Partito Democratico.
“Voglio solo ricordare che la mia storia personale è stata tutta nel superamento delle vecchie decisioni che volevano sussistere nonostante i cambiamenti epocali in corso. Questo era l’Ulivo. La mia vicenda politica si è identificata nel tentativo di dare a questo paese una democrazia finalmente efficiente e governante: questo è il modello maggioritario e tendenzialmente bipolare che le forze riformiste hanno con me condiviso e sostenuto. C’è chi ha voluto ignorare e persino negare quella storia, come se le cose cominciassero sempre da capo, con una leadership esclusiva, solitaria ed escludente. E c’è chi ha poi strumentalizzato quella storia rivendicando a sè il disegno che aveva contrastato”, ha aggiunto il padre dell’Ulivo”.
Ad ogni modo, il grosso è fatto. Con il suo sì, Prodi non si distingue dunque dalle personalità politiche a lui più vicine.
Come l’ex premier Enrico Letta, che ha annunciato il suo sì ben prima dell’estate, malgrado la nota freddezza di rapporti con il suo successore a Palazzo Chigi.
E come i parlamentari della sua cerchia in maggioranza con Renzi, come Sandra Zampa, vicepresidente del Pd ed ex portavoce di Prodi. Oppure Antonio Parisi, altro sostenitore del sì.
Per Renzi la richiesta di tener fede alla promessa di rivedere l’Italicum.
Mentre Renzi brinda ma si interroga su quanti voti gli porti il Prof. Prima del sì bolognese, aveva brutte notizie a livello nazionale con una speranza di rimonta sul voto all’estero.
Adesso urge un ricalcolo. Riservato.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 22nd, 2016 Riccardo Fucile
“LA CLASSE MEDIA SI E’ IMPOVERITA, L’ASCENSORE SOCIALE SI E’ FERMATO A META’ E DENTRO SI SOFFOCA”
“Cambiare politiche, non solo politici”. È questo il consiglio che Romano Prodi consegna a Matteo Renzi dopo la sconfitta del Pd alle elezioni amministrative.
In un’intervista alla Repubblica, l’ex premier afferma che “se non cambiano le politiche, il politico cambiato si logora anche in due anni”.
Secondo il Professore il voto esprime la reazione della classe media che si impoverisce, “l’ascensore sociale si è bloccato a metà piano e dentro si soffoca” e la rabbia premia i populismi, in tutta Europa, in tutto il mondo.
La strada, spiega Prodi, passa da “progetto e radicamento popolare. Il cambiamento possibile, fatto entrare nel cuore della gente. Il solo ad averlo capito è papa Francesco”.
“Non basta guardare il voto di questa o di quella città . C’è un’ondata mondiale, partita in Francia, ora in America. Lo chiamano populismo perchè, pur nell’indecifrabilità delle soluzioni, interpreta un problema centrale della gente nel mondo contemporaneo: l’insicurezza economica, la paura sociale e identitaria” […] “La paura di non farcela è tremenda ma non immaginaria. La chiami iniqua distribuzione del reddito, ma per capirci è ingiustizia crescente. Quando chiedo ai direttori di banca: quanti dipendenti avrete fra dieci anni?, mi rispondono: meno della metà . L’iniquità post-Thatcher e post-Reagan si è sommata alla dissoluzione della classe media, terribile tendenza di tutte le economie sviluppate e di mercato, e sotto tutti i regimi”.
Nel voto ai 5 Stelle c’è anche una rivolta morale, ma soprattutto una rivolta contro le diseguaglianze.
“La disonestà pubblica peggiora le cose, ma la radice è la diseguaglianza. Ci siamo illusi che la gente si rassegnasse a un welfare smontato a piccole dosi, un ticket in più, un asilo in meno, una coda più lunga… Ma alla fine la mancanza di tutela nel bisogno scatena un fortissimo senso di ingiustizia e paura che porta verso forze capaci di predicare un generico cambiamento radicale”.
Chi ha rottamato, rischia di essere rottamato a sua volta. In brevissimo tempo. Personalizzare la politica è una soluzione che non risolve.
“Se non cambi le politiche, il politico cambiato invecchia anche in un paio d’anni… C’è sempre un’usura, e corre veloce. La mancanza di risposte efficaci logora. E al momento si sente la mancanza di risposte che affrontino il problema delle paure e delle cause reali delle paure”. […] “Quando governi, devi dare operativamente il messaggio che sai affrontare i problemi, e questo non lo puoi fare senza il coinvolgimento di una forte base popolare nel cambiamento delle politiche. Devi dimostrare di capire e di andare incontro ai problemi. Il rinnovamento per il rinnovamento non è una risposta sufficiente”. […] “Di fronte alla crisi la prima risposta è sempre quella della forte personalizzazione, sia da parte dei governi che dei populismi. Ma dura poco, perchè la realtà la mette alla prova dei fatti. La gente vota i politici perchè spera che cambino le cose, la personalizzazione è un riflesso. Infatti in queste elezioni hanno vinto dei volti sconosciuti. La personalizzazione non regge se non cambia le cose, o non dà almeno la speranza concreta di poterle cambiare”.
(da “Huffingtonpost“)
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Agosto 29th, 2015 Riccardo Fucile
“UN TEMPO SI FACEVANO ANALISI POLITICHE SERIE, OGGI SI PROMETTONO MENO TASSE PER VINCERE”
Non vuole criticare il governo, perchè chi ha quella responsabilità “deve essere lasciato in pace”.
Ma Romano Prodi qualche stilettata nei confronti di Matteo Renzi non se la risparmia. Anche nella placida cornice di Capalbio, dove ieri ha tenuto una lectio magistralis sull’Europa.
A partire dal grande tema d’autunno: il taglio delle tasse.
“Dopo Reagan e la Thatcher, chi parla di tasse perde le elezioni. E su questo non c’è più nessuna distinzione tra destra, centro e sinistra. Ecco che si promettono meno tasse, meno tasse e si favorisce l’irrazionalità … a furia di promettere tutto a tutti chi promette di più vince. E comunque sulle tasse un tempo si facevano analisi politiche serie per valutare tra l’altro dove destinare le imposte, sulla sanità o sul welfare. Oggi si c’è una cosa che ti impedisce l’analisi è Twitter”.
Non cita mai il premier, ma il riferimento al social network più amato all’ex rottamatore è evidente.
E un altro sassolino dalla scarpa se lo toglie sollecitato sull’analisi che Renzi ha svolto davanti la platea del Meeting di Rimini, secondo cui l’Italia ha vissuto vent’anni di stallo tra i tifosi del berlusconismo e quelli dell’antiberlusconismo.
Vent’anni nei quali il Professore ha guidato il centrosinistra, oltre a sedere per due volte sulla poltrona di Palazzo Chigi. “Lui parla di vent’anni di stallo? Allora ‘l s’è sbajè…” chiosa caustico Prodi.
Su quest’ultimo argomento replica più diffusamente quell’Arturo Parisi che di Prodi è stato consigliere e braccio destro.
“Ad affossarci furono le divisioni interne, non il consenso degli elettori”, spiega in un’intervista concessa a L’Unità .
“La memoria – spiega replicando alle parole del premier, fa spesso brutti scherzi. Riconduce al prima cose che vengono dopo, trasformando spesso gli effetti in cause. Però capisco che parlando ai ciellini, che sono stati colonna portante del berlusconismo, era forte la tentazione di alleggerire le loro responsabilità …”.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 14th, 2015 Riccardo Fucile
DURO GIUDIZIO: “EVITATO IL PEGGIO, NON IL MALE”
È un giudizio severo, anche amaro, quello che Romano Prodi riserva all’accordo fra Grecia e creditori. “Abbiamo evitato il peggio, ma non il male” scrive in un editoriale sul Messaggero l’ex presidente della Commissione Europea, che parla da un lato di “cattivo accordo per la Grecia”, vittima di una “strategia sbagliata” da parte di Alexis Tsipras, e dall’altro lato di “pessimo segnale per l’Europa”.
Secondo Prodi “la Grecia ha perso. Ma ancora di più ha perso l’Europa.
Ha perso la sua anima ed ha ipotecato il proprio futuro.
Ha perso la sua anima – prosegue l’ex premier – perchè è ormai esclusivamente dominata dagli interessi elettorali dei singoli Paesi, senza minimamente rendersi conto degli interessi generali. L’Europa ha perso perchè quando ci si mette su questa strada non vi è alternativa al comando del Paese più forte”.
La Germania, quindi, che ha impresso la sua orma sull’accordo.
“L’Unione Europea ha anche ipotecato il proprio futuro” prosegue Prodi, secondo cui “dopo il caso greco diventerà sempre più difficile elaborare una politica comune fondata su un equilibrato compromesso fra gli interessi dei diversi stati. L’Europa era nata come una Unione di minoranze, nella quale ogni cittadino entrava con pari dignità e pari diritti”.
In cui la Commissione Europea “esercitava un ruolo di arbitrato e di componimento degli interessi” fra i diversi Paesi, grandi e piccoli, potenti e deboli.
“L’indebolimento francese e la possibile uscita della Gran Bretagna hanno cambiato la natura dell’Unione. È chiaro che la Germania ha assunto il ruolo di comando non solo per le debolezze altrui, ma anche per le proprie virtù”, ma nel caso greco non è riuscita a “trasformare la sua forza in una leadership capace di farsi carico degli interessi generali”.
È la crisi anche delle grandi famiglie politiche europee.
Del Partito Popolare Europeo, da cui non è arrivato “”nessun richiamo alle conseguenze delle politiche sulle persone più deboli”.
L’Unione Europea, conclude il Professore, “ha quindi protetto l’euro, ma lo ha fatto ipotecando il proprio futuro. Respiriamo pure perchè per ora l’euro è salvo, ma rendiamoci conto che, continuando così, si finisce male”.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 2nd, 2015 Riccardo Fucile
PRODI: “ATENE NON SIA LA SARAJEVO EUROPEA”… MONTI: “BERLINO RISCHIA DI CAUSARE UNA RIVOLTA”… LETTA: “DOPO LA GRECIA, RISCHIA L’ITALIA”
Romano Prodi e Mario Monti sono preoccupati per le sorti dell’Europa e della Grecia.
I due ex premier italiani e maggiori rappresentanti in Italia dell’Unione Europea parlano della crisi ellenica in due interviste, il primo a Repubblica e il secondo al Corriere della sera.
Prodi, parlando con Repubblica, non crede all’uscita della Grecia dall’euro: “Comunque vada a finire il referendum, il danno di un’uscita della Grecia dall’euro sarebbe troppo grande. Si troverà un compromesso. Se tutto il mondo, da Obama ai cinesi, continua a ripeterci che bisogna trovare un accordo, vuol dire che c’è il diffuso sentimento di una catastrofe imminente che occorre evitare ad ogni costo (…) Tuttavia l’Europa, se vuole salvarsi, deve dotarsi immediatamente di una forte autorità di tipo federale, altrimenti sarà votata al fallimento”.
“Proprio perchè la crisi è così piccola, un fallimento sarebbe clamoroso. Una istituzione che non riesce a governare un problema minuscolo come la Grecia che fiducia può dare sulla sua capacità di gestire un problema più grosso? Oggi non è all’orrizzonte, ma tutti sappiamo che , prima o poi, arriverà .Un non compromesso è un evento impensabile. Voglio vedere come Merkel, Juncker o Lagarde possono prendersi la responsabilità di lasciare la Grecia fuori dall’euro. Certo, l’irrazionalità della Storia è sempre in agguato. Anche la Prima guerra mondiale scoppiò per un piccolo incidente. Ma voglio sperare che Atene non sia la nostra Sarajevo.”
In un intervista al Corriere della sera, mostra la sua preoccupazione anche l’ex premier Mario Monti.
“Il negoziato continua – afferma -. È in evoluzione ora per ora. La posizione del governo greco, per quanto disordinata, sta cambiando: Atene è disposta ad accettare più cose di prima. E nell’Eurogruppo c’è una vasta disponibilità a riprendere in esame il dossier. Il tentativo è offrire a Tsipras qualcosa di più, in modo da indurlo a passare dal no al sì al referendum. È possibile un accordo su basi diverse dal passato: meno privatizzazioni, meno disagio sociale, una lotta più forte all’evasione e alla corruzione. Tutti i sondaggi indicano che il sì è in rimonta. E che la grande maggioranza dei greci, tra il 70 e l’80%, non vuole il ritorno alla dracma. Io, oltre a un grande amore, ho una grande fiducia nel popolo greco.”
Sull’ipotesi di un’uscita della Grecia dall’euro, Monti dice: “Come ha detto Draghi, sarebbe un’esperienza del tutto nuova per tutti. È difficile prevedere le reazioni dei mercati, se venisse meno la certezza dell’irreversibilità della moneta unica. Qualcuno potrebbe avere la tentazione di scommettere contro altri Paesi (…) Non sarebbe l’Italia l’anello debole della catena. Spagna e Portogallo sono messe peggio di noi, che pure abbiamo un rapporto debito pubblico-Pil più alto. Ma pensiamo piuttosto a evitare questo scenario”.
“La Merkel – dice l’ex premier – vince solo se tiene la Grecia dentro l’euro e favorisce l’accordo finale. Se invece si avesse la sensazione che la Merkel e Schaeuble non hanno voluto l’accordo, in Europa ci sarebbe una rivolta degli spiriti, un tumulto delle anime: uno scenario drammatico, per l’Europa e per la Germania.”
Sulla questione greca interviene anche l’ex primo ministro Enrico Letta, con un’intervista al quotidiano Avvenire.
“Un accordo fra la Ue e la Grecia va perseguito a ogni costo. Perchè una rottura costerebbe almeno 10 volte di più di qualunque intesa. E – attenzione – il costo maggiore sarebbe proprio per l’Italia”.
Letta sottolinea: “L’uscita della Grecia dall’euro sarebbe l’inizio del declino per il disegno europeo. Un declino irreversibile. Non vedo come si possa far uscire questo Paese e procedere tranquillamente facendo finta di nulla”.
Secondo Letta “una rottura avrebbe un costo almeno 10 volte maggiore di qualunque intesa. E il costo sarebbe più grave proprio per noi”, “la nostra esposizione verso la Grecia è la maggiore in rapporto al Pil, più anche di Germania e Francia” e “un default avrebbe un impatto sul deficit che ci farebbe sballare i conti, ci obbligherebbe a una manovra correttiva e particolarmente rigorosa per scongiurare l’idea che il prossimo, potenziale bersaglio della crisi dell’euro siamo noi”.
Inoltre “vedremmo sfumare in un sol colpo gran parte delle 5 condizioni – petrolio basso, cambio buono, bassi tassi d’interesse, più l’Expo e il Giubileo – di quella insperata congiuntura malgrado la quale assistiamo a una ripresa ancora stentata. Come in un gioco dell’oca torneremmo alle condizioni del 2012. E apriremmo a un’autostrada per l’affermarsi sempre più netto dei populismi nella politica”.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 16th, 2015 Riccardo Fucile
DA MERKEL “MAESTRA SEVERA” A RENZI PREMIER “SENZA VOTO”, DAGLI SCONTRI CON D’ALEMA AL PD “MISSIONE INCOMPIUTA”
Romano Prodi si toglie un po’ di sassolini dalle scarpe.
Racconta aneddoti su decenni di rapporti personali e di storia d’Italia in un libro-intervista a cura di Marco Damilano dal titolo “Missione Incompiuta” e si concede giudizi tranchant, anche velenosi, su molti protagonisti della vita politica, e non solo.
Nelle anticipazioni diffuse oggi da Repubblica, Corriere della Sera e Fatto Quotidiano, dipinge anche un quadro piuttosto fosco del futuro economico nazionale ed europeo: “Le politiche europee del governo tedesco – spiega – meritano oggi ogni biasimo e probabilmente produrranno danni irreparabili. L’Italia non sarà la prima ad affondare, ma è solo questione di tempo: se non si cambia integralmente politica su scala europea, saremo travolti tutti”.
Per quanto riguarda l’Italia, Prodi afferma che “tre presidenti del Consiglio non eletti dal popolo sono certamente un intervallo troppo lungo del processo democratico”. Criticando il fatto che la legge elettorale in Italia non dica chiaramente chi vince e chi perde, il Professore parla di “grave anomalia di un sistema democratico”.
Perchè l’Italia “è un paese scalabile, ma la scala la devono fornire gli elettori”. Romano Prodi dice del Pd che “senza l’Ulivo non ci sarebbe stato. In questo senso si può dire che il Pd ne è il figlio”, ma il partito oggi guidato da Matteo Renzi “valorizza l’eredità dell’Ulivo a giorni alterni”.
Il Professore non sente una propria estraneità dal Pd, ma parla della “fine di una missione. Missione incompiuta”.
Altro passaggio inevitabile è quello della sua mancata elezione al Quirinale, quei 101 franchi tiratori che “in realtà sono stati quasi 120”.
Ricorda che “per due giorni nessuno del Pd mi ha difeso ed è stato per me il momento di massima amarezza. Solo una dichiarazione personale da parte di Rosy Bindi”. Secondo Prodi in quel voto c’era “il non volere un presidente della Repubblica difficilmente controllabile”.
Uno dei giudizi più severi di Romano Prodi riguarda la cancelliera tedesca Angela Merkel: “sono preoccupato per il futuro dell’Europa, governata da una leadership che è sempre più forte, ma ha perso il senso della solidarietà collettiva” afferma l’ex presidente del Consiglio, sottolineando che “tutti i paesi fanno a gara a ripararsi sotto l’ombrello tedesco, dove siede l’intelligente e severa maestra che, con la matita rossa e blu, ha sostanzialmente sostituito il ruolo delle società di rating, tra loro formalmente concorrenti ma, in pratica, ormai inascoltate sorelle gemelle”.
A proposito di leader forti, Prodi afferma con chiarezza di accordare la sua preferenza allo stile di governo di Enrico Letta, rappresentato dal “cacciavite” rispetto a quello di Matteo Renzi, rappresentato dal “trapano”.
“I poteri forti si sono profondamente indeboliti” afferma l’ex premier, secondo cui oggi Renzi “ha certamente più probabilità di costituire il potere dominante del Paese. Ma preferisco il cacciavite di Enrico al trapano di Matteo”.
Quello che non piace a Prodi è l’idea del Pd partito della nazione, “una contraddizione in termini. Nelle democrazie mature non vi può essere il partito della nazione. È incompatibile con il bipolarismo”.
Prodi racconta il suo ultimo incontro con Renzi, il 15 dicembre scorso: non gli parlò nè di Libia – molti facevano il suo nome come mediatore Onu – nè di Quirinale, ma “ha gentilmente fatto cenno a una mia possibile candidatura per la prossima segreteria delle Nazioni Unite”. Un obiettivo che il Professore non ritiene possibile.
Prodi si spiega così nel libro-intervista il successo conseguito negli anni da Silvio Berlusconi in politica:
“Ci sono momenti in cui l’Italia ha bisogno di un’auto-illusione ed è disposta a non guardare dentro a se stessa pur di continuare a illudersi. Attraversiamo spesso questi momenti nella nostra storia nazionale”.
Racconta poi il suo primo incontro con Umberto Bossi, quando la Lega muoveva i primi passi, a inizio anni 90
“Mi fece chiamare e mi offrì di entrare in politica con lui. Io dissi di no, ma fu un incontro molto divertente e istruttivo. Nei corridoi della modesta sede milanese i volontari della Lega mi chiedevano cosa sarebbe successo al prezzo delle case, ai titoli del debito pubblico. Quel giorno capii che la Lega attecchiva a radici popolari molto profonde. Non l’ho mai sottovalutata nè demonizzata”.
Più severo il giudizio che Romano Prodi riserva ad Antonio Di Pietro e al metodo di lavoro dell’indagine Mani Pulite.
“Fui ascoltato come testimone e tutto finì lì. Ma quello era il periodo in cui Di Pietro saliva velocemente gli scalini della politica. E diede all’incontro la massima risonanza possibile, al di là di ogni regola. Ogni tanti si alzava in piedi, si avvicinava alla porta e urlava: “E i soldi alla Dc?”. E tutti i giornalisti, di là dalla porta, lo potevano ascoltare”.
Secondo Prodi i metodi seguiti per Mani Pulite “pur inserendosi in una doverosa e lungamente attesa campagna di pulizia, segnarono anche l’inizio della stagione di un populismo senza freni”.
Il primo incontro con Beppe Grillo, invece, risale ai tempi dei primi spettacoli teatrali impegnati dell’attuale leader del M5S.
“Grillo venne a trovarmi e mi chiese di esaminare alcuni suoi copioni. Faceva bellissimi spettacoli sugli sprechi” ricorda il Professore, “poi non ci siamo incontrati più fino al 2006. Venne a Palazzo Chigi per consegnarmi il testo dei programmi usciti dai sondaggi, e mi fece una lunga intervista. Forse perchè questa intervista non conteneva argomenti che potesse utilizzare politicamente, o semplicemente perchè non lo aveva soddisfatto, dichiarò alla stampa che mi ero addormentato. Un comportamento davvero sconcertante”
Uno dei passaggi più velenosi del libro-intervista è riservato a Massimo D’Alema
“Da Gargonza” dove l’allora segretario del Pds criticò l’Ulivo “venimmo via sfilacciati, con un segno di desolazione”. Prodi fa riferimento a una “strategia precisa” di D’Alema che temeva di “perdere influenza sul governo” e che “si allontanasse la possibilità di avere alla presidenza del Consiglio una personalità proveniente dalla radice comunista. Se ci avesse lasciato governare per cinque anni, penso che sarebbe stato proprio D’Alema il naturale e duraturo successore”.
Gustoso poi l’aneddoto su quando cercò di portare Diego Armando Maradona a giocare in Cina, quando Prodi era presidente dell’Iri e venne a sapere che Deng Xiaping era pazzo del campione argentino, in quegli anni a Napoli
“Parlai subito con Ottavio Bianchi, l’allenatore del Napoli. Lui era entusiasta, ma dopo tre giorni mi richiamò mortificato. Maradona chiedeva per sè 300 milioni di lire, che moltiplicato per il resto della squadra faceva un miliardo. Bianchi era un uomo serio, mi spiegò come funzionava la testa di Maradona: in modo assai diverso dai suoi piedi. Io risposi che un’azienda pubblica come l’Iri non si poteva accollare una simile spesa. Da allora sono molto arrabbiato con Maradona”.
(da “Huffingtonpost“)
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Febbraio 17th, 2015 Riccardo Fucile
MA RENZI NON APPOGGIO’ LA RICHIESTA PER IL SOLITO TIMORE CHE POTESSE FARGLI OMBRA
Il governo italiano vorrebbe spendere il nome di Romano Prodi per la crisi della Libia. Prodi, esperto di questioni internazionali specialmente legate al continente africano, potrebbe affiancare il mediatore in carica delle Nazioni Unite, Bernardino Lèon.
Scrive il Corriere della Sera:
L’insoddisfazione italiana per l’operato del diplomatico spagnolo è apparsa più che evidente nelle dichiarazioni del premier Matteo Renzi, il quale ha definito “insufficiente” l’azione dell’Onu e chiesto esplicitamente alsegretario generale Ban-Ki-Moon di “raddoppiare gli sforzi” per costringere le due principali fazioni libiche, quella più laica di Tobruk e quella islamica di Tripoli, a forgiare un embrione di intesa politica.
Prodi risulta il nome migliore anche perchè “la scorsa estate furono proprio le fazioni libiche a indicarlo come mediatore gradito e ascoltato”.
La scelta del Palazzo di Vetro cadde invece su Lèon, probabilmente (ma non solo) anche a causa del mancato appoggio del governo Renzu alla candidatura dell’ex premier, che non ha mai nascosto la sua delusione.
Ma dopo mesi di gelo, tra i due ora è tornato il sereno.
E Renzi sembra essere persuaso che proprio Prodi possa essere il game-changer della vicenda libica.
Il Sole24 ore ricorda che nel 2011, “due mesi prima della caduta di Gheddafi”, l’ex presidente sudafricano Thabo Mbeki, in una missiva confindenziale al segretario generale delle Nazioni Unite invitò l’Onu “a fare dei passi urgenti per facilitare il passaggio della Libia e la fine della guerra civile, per salvare la Libia dalle violenze”.
Nella lettera, Mbeki suggerisce a Ban Ki-Moon di nominare Prodi mediatore internazionale sotto la bandiera dell’Onu.
Il professore, scrive il successore di Mandela senza troppi giri di parole, è la persona giusta “perchè conosce i principali attori coinvolti nella crisi di Tripoli e Bengasi. Perchè conosce i leader delle principali tribù, che hanno fiducia in lui. Perchè conosce da vicino la situazione libica, di cui si è occupato per molti anni da primo ministro italiano e da presidente dell’Unione europea”.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 15th, 2015 Riccardo Fucile
“DOPO GHEDDAFI BISOGNAVA METTERE TUTTI ATTORNO A UN TAVOLO, INVECE OGNUNO HA PENSATO DI POTER GIOCARE IL PROPRIO RUOLO, C’ERANO INTERESSI ECONOMICI”…. “ORA OCCORRE UN LAVORO COMUNE CHE COINVOLGA TUTTI”
“Una catastrofe per colpa nostra, dell’Occidente”, ripete Prodi.
Altro che Iraq, Siria e Kobane. Le bandiere nere del Califfato islamico sventolano a trecento chilometri dalle coste italiane di Lampedusa, Paolo Gentiloni invoca l’intervento armato, perchè “la situazione si sta deteriorando”, e viene citato dalla radio dell’Isis come “ministro nemico dell’Italia crociata”.
Romano Prodi, ex premier, ex presidente della Commissione europea, già inviato speciale dell’Onu per il Sahel e padre della Fondazione per la collaborazione dei popoli, conosce bene il dossier Libia: “Non era difficile prevedere che si sarebbe arrivati a questo punto, davvero non lo era neppure nel 2011”.
Presidente, adesso che cosa bisogna fare?
Cosa bisogna fare non lo so. Oggi non lo so più, mi creda. So bene quanto si sarebbe dovuto fare dopo la caduta di Gheddafi. Bisognava mettere tutti attorno a un tavolo, invece ognuno ha pensato di poter giocare il proprio ruolo.
Cosa intende?
Si è preferito credere che un primo ministro (il primo nel 2011 fu Mahmud Jibril al-Warfali, ndr) e un parlamento legittimi potessero risolvere le cose da soli, facendo finta di non vedere che la situazione era compromessa in partenza, che alcune fazioni armate avrebbero finito per esser lasciate a loro stesse. Ma il primo ministro non ha mai avuto un potere reale sul territorio.
Come siamo arrivati a tutto questo?
Si tratta di un errore nostro. Delle potenze occidentali. La guerra in Libia del 2011 fu voluta dai francesi per scopi che non lo so… certamente accanto al desiderio di ristabilire i diritti umani c’erano anche interessi economici, diciamo così.
L’Italia?
L’Italia ha addirittura pagato per fare una guerra contro i propri interessi.
Credo che il suo acerrimo nemico di sempre, Silvio Berlusconi, sia d’accordo con lei su questo punto.
Ma sta scherzando? Berlusconi si è fatto trascinare dalla Francia ed è entrato in guerra.
Eppure Berlusconi si professava grande amico del leader libico…
Il presidente del Consiglio in carica era Silvio Berlusconi. Adesso la Libia è caduta nell’anarchia e nel caos più assoluti. La situazione è davvero di una gravità eccezionale, non possiamo fare finta che le nostre azioni non abbiano inciso nel produrre tutto questo.
Ravvisa un pericolo di sicurezza per l’Italia?
La Libia è dietro l’angolo. È un Paese ridotto a essere senza alcuna disciplina, senza controllo, senza alcuna forma di statualità , dove i commercianti di uomini imperversano buttando a mare i disperati che sognano una vita migliore in Europa.
Teme che i terroristi possano arrivare anche sui barconi, come ha detto qualcuno?
I terroristi sono organizzati, altro che barconi.
Ritorno alla prima domanda. Le cancellerie occidentali cosa dovrebbero fare in questo momento secondo lei?
Occorre senza dubbio uno sforza per produrre un minimo risultato nel tentativo di fare sedere tutti gli interlocutori al tavolo e impegnare in un lavoro comune Egitto e Algeria. Non c’è altra via che non produca una situazione ancora più catastrofica di quella attuale.
Pensa che anche gli uomini incappucciati dell’Isis debbano essere fatti sedere al tavolo dei negoziati?
A questa domanda non posso dare una risposta perchè è relativa a un presente di cui non voglio parlare.
Giampiero Calapà
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 28th, 2015 Riccardo Fucile
LA CARTA PRODI POTREBBE AZZOPPARE IL NAZARENO E RICOMPATTARE IL PD
Può darsi che, come dice Renzi senza precisare la settimana esatta, “sabato avremo il presidente”.
Nel qual caso il premier avrà vinto la partita, chiunque sia il nome del prescelto.
Che, comunque, sarebbe frutto del Patto del Nazareno, dunque un impresentabile: Amato (e ho detto tutto), o Fassino (quello del giro Quagliotti-Greganti e del “siamo padroni di una banca?”), o Finocchiaro (zarina di tutti gli inciuci, con marito imputato), o Chiamparino (che negli anni pari fa il politico e nei dispari il banchiere), roba così.
Se invece, al quarto scrutinio, il Renzusconi non superasse il quorum, inizierebbe il massacro. Renzi, a quel punto, potrebbe giocare un’altra carta, sempre con B.
Oppure rivolgersi ai 5Stelle. I quali, questa volta, non avranno un candidato di bandiera, come nel 2013 fu Rodotà per la proterva insipienza del vertice Pd.
Per non ridursi al ruolo di spettatori e giocare fino in fondo la partita, Grillo, Casaleggio e il direttorio chiedono al Pd una rosa di nomi da sottoporre agli iscritti.
Renzi non li degna neppure di risposta, confermando ciò che abbiamo sempre sostenuto: è lui, non loro, a rifiutare il dialogo.
Però alcuni spiriti liberi del Pd alla email hanno risposto col nome di Prodi.
È probabile che il Prof — sebbene sia un padre dell’euro — risulti, agli occhi della loro base, il meglio o il meno peggio della compagnia cantante (è quel che non capiscono i nove sciocchini che ieri si sono sfilati per andare a chiedere, bel belli, a Renzi “un presidente fuori dal Nazareno”: roba da perizia psichiatrica).
A quel punto, per Renzi, sarebbe un bel problema: come potrebbe giustificare dinanzi alla sua base un No al padre del Pd per non dispiacere al Caimano?
L’uomo è capace di tutto, ma a tutto c’è un limite. E quel limite potrebbe essere Prodi, molto più popolare o meno impopolare delle suddette muffe.
Se alla fine il Prof salisse al Quirinale, Renzi potrebbe comunque intestarsi la vittoria, si riconcilierebbe con gli elettori del Pd che da mesi ingoiano guano, ricompatterebbe il Pd e il centrosinistra, metterebbe in sicurezza la maggioranza del suo governo e relegherebbe B. nell’angolo. Per sempre.
Il Caimano fiuta il pericolo: infatti ieri ha fatto il ritrosetto, non certo per rompere, ma per alzare la posta del ricatto.
Se Renzi invece perseverasse col Nazareno, la resurrezione di Lazzaro sarebbe completa.
E tutti capirebbero finalmente che il Patto è ben più inossidabile e inconfessabile di quel che si racconta in giro.
Un patto di mutuo soccorso, ma anche di mutuo governo e mutui affari (condono fiscale con salvacondotto a B., regali a Mediaset sulle frequenze, legge-regalo a Banca Etruria & famiglia Boschi).
Ai tempi di D’Alema, Guido Rossi paragonò Palazzo Chigi a una “merchant bank dove non si parla inglese”.
Stavolta l’inglese lo si parla eccome, viste certe fughe di notizie in quel di Londra.
Così, alla fine, potrebbe chiudersi questa partita cruciale: B. che, di nuovo a piede libero (i servizi sociali scadono a marzo), entra ufficialmente nella maggioranza e forse nel governo in attesa dell’“agibilità politica” (salvacondotto fiscale o grazia dal nuovo presidente scelto anche da lui).
E intanto regolare i conti a destra. L’orrendo Italicum votato ieri al Senato, checchè se ne dica, gli sta a pennello: il premio di maggioranza alla lista che arriva al 40% costringerà i partitini, Ncd in testa, a rientrare precipitosamente all’ovile di Arcore per non sparire; e gli consentirà , se arriverà secondo, di nominarsi tutti i deputati (i capilista bloccati, a cui solo chi arriverà primo aggiungerà qualche decina di eletti con le preferenze).
Ma, di questo passo, non è neppure escluso che arrivi primo.
Pare un film horror, della saga Il ritorno dei morti viventi, ma è così.
Complimenti al regista.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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