CHE COS’E’ IL LAVORO DI CITTADINANZA CHE PROPONE RENZI
UNA VAGA BOUTADE PER RUBARE AL M5S UN TEMA ELETTORALE
A prima vista sembrerebbe una boutade che mira a rubare all’opposizione un tema elettoralmente valido. Ma basta grattare la superficie per scoprire… che è proprio così.
Ieri Matteo Renzi in un’intervista al Messaggero ha lanciato il tema del lavoro di cittadinanza, che dovrebbe sostituire l’idea del reddito di cittadinanza cavallo di battaglia del MoVimento 5 Stelle.
Ma Renzi ha usato parole molto vaghe per definire i contorni della sua proposta: «Contesto la risposta grillina al problema. Garantire uno stipendio a tutti non risponde all’articolo 1 della nostra Costituzione che parla di lavoro non di stipendio. Il lavoro non è solo stipendio, ma anche dignità . II reddito di cittadinanza nega il primo articolo della nostra Costituzione».
«Serve un lavoro di cittadinanza. In questo tempo di forti cambiamenti dobbiamo rivoluzionare il nostro welfare che negli Usa non c’è come da noi in Europa».
Su Raitre, durante l’intervista con Fabio Fazio a Che tempo che fa, è tornato sul tema senza spiegare chiaramente cosa intendesse: «Il discrimine oggi non è la preoccupazione perchè l’innovazione produca una crisi occupazionale ma come la politica risponde. Noi dobbiamo trovare un paracadute per chi non ce la fa, per i più deboli, ma non possiamo dire reddito cittadinanza, che vuol dire ‘tranquillo ci pensa papi’ che è lo Stato. L’Italia muore così. Io dico provaci, non ce la fai? Ti do una mano, ti faccio fare un corso di formazione».
In entrambe le occasioni le parole di Renzi sono vaghe tanto da somigliare a quegli slogan che ha imputato spesso ai suoi oppositori.
L’unico elemento in più che ha aggiunto l’ex premier è il “corso di formazione”, ovvero quello che il nostro disastrato welfare già offre.
A parte i balbettii, va però detto che da tempo il Partito Democratico starebbe elaborando una proposta (affidandola all’ex sottosegretario Tommaso Nannicini) alternativa a quella del reddito di cittadinanza che da sempre è tra i punti centrali della proposta politica del MoVimento 5 Stelle.
«Sono d’accordo che la politica debba dare una risposta al grido d’allarme dell’Alleanza contro la povertà , perchè il costo dell’instabilità politica non sia pagato dai poveri. Ma ci sarebbe un modo semplice per farlo. La delega non è arenata, manca solo l’ultimo miglio: il Senato potrebbe approvare il testo della Camera così com’è e il governo impegnarsi a varare il decreto attuativo sul reddito d’inclusione in un mese», aveva detto il coordinatore del programma della segreteria del PD alla Stampa. Secondo Nannicini «ci sono a disposizione un miliardo e ottocento milioni di euro con i quali possiamo dare sostegno monetario all’85 per cento delle famiglie con redditi al di sotto dei tremila euro l’anno. Poi, con altri 300 milioni possiamo arrivare al 100 per cento di quelle 500 mila famiglie. Un passo fondamentale verso quella misura unica di contrasto alla povertà di cui si parlava da anni».
Anche per decreto, se necessario. Ma c’è un problema: il reddito di inclusione di cui i ministri stanno parlando servirà , sì, ma soltanto a talune delle famiglie in povertà : «Si tratterà di un sostegno finanziario non assistenziale, che dovrà rispettare determinati criteri e che coinvolgerà nella prima fase famiglie con minori. — ha spiegato Martina — Per ampliare poi il bacino con l’aumento delle risorse. In questi anni la sperimentazione del Sia (Sostegno per l’inclusione attiva) è stato un passo importante in alcune città ».
La differenza tra lavoro e reddito di cittadinanza
A dispetto del nome, invece, quello proposto dai 5 Stelle non è un “reddito di cittadinanza”, ma un reddito minimo garantito: che va a chi è sotto la soglia di povertà monetaria dell’Ue 2014 (9.360 euro annui).
Funziona così: chi è a zero prende 780 euro al mese, se invece ha già un reddito riceve un’integrazione. Il sussidio, in realtà , non è individuale ma basato sul nucleo familiare, due esempi:780 euro se composto da un singolo individuo; 1.638 con due adulti e due minori a carico.
L’integrazione non dovrebbe dissuadere dal lavorare, perchè permette di migliorare la propria condizione superando le soglie base.
Per fare un esempio: con un reddito di 250 euro mensili, un singolo avrebbe come integrazione 555 euro (superando i 780 di base), due adulti e due minori 1.443 (1.663).
Le soglie oltre le quali non si ha più diritto al sussidio sono rispettivamente 750, 1.000 e 1.750 euro.
Il sussidio è condizionato ad alcuni obblighi, per esempio non rifiutare più di tre offerte di lavoro, frequentare corsi di formazione e accettare impieghi socialmente utili.
In questo modo i costi sono più contenuti. La stima fatta l’anno scorso dall’Istat è di 14,9 miliardi annui (per 2,79milioni di famiglie).
Il tutto da verificare ovviamente nella pratica.
L’idea non è solo italiana: in Francia Emmanuel Macron ha proposto di modificare la Revenu de solidaritè active (RSA) raddoppiandone l’importo (attualmente è in media di 470 euro), una misura che ammonta a circa 10-12 miliardi di euro, una cifra pari allo 0,5 il debito pubblico e che vale 0,7 punti di TVA (l’IVA francese).
(da “NextQuotidiano”)
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