CHE HA DA DIRE SALVINI SU MIRANDOLA? PRIMA SPECULA, POI QUANDO REALIZZA CHE IL PIROMANE TOCCAVA A LUI ESPELLERLO NON NE PARLA PIU’
MIRANDOLA MOSTRA IL PUNTO DEBOLE DEL SALVINISMO PROPRIO SUL SUO TERRENO: SICUREZZA E RIMPATRI
Dunque il giovane nordafricano che stanotte ha appiccato il fuoco a Mirandola doveva essere espulso. Era stato già fermato, l’ultima volta una settimana fa a Roma, e raggiunto da un foglio di via il 14 maggio. E invece circolava liberamente per l’Emilia. La sera prima era stato ricoverato all’ospedale di Mirandola, ma si è strappato la flebo dal braccio ed è fuggito.
Ed è stato trovato che girava, in stato di malessere, nei pressi della sede della Polizia che aveva bruciato proprio nel giorno in cui scadeva il suo decreto di espulsione.
Domanda: cosa ha dire il ministro Salvini? Su questo caso, ma non solo.
Perchè, questo è il punto dopo 11 mesi di governo: Mirandola stanotte, qualche settimana fa a Napoli Noemi finita in mezzo a una sparatoria, prima ancora l’assalto al pronto soccorso di Napoli, come non accade neanche durante le guerre, dove gli ospedali sono zona franca.
Questioni diverse, che però hanno un denominatore comune: c’è una evidente questione che riguarda la “sicurezza” e il controllo del territorio, col sangue della realtà che sporca la retorica del paese più sicuro rispetto agli anni scorsi governato col polso di ferro, con i reati in calo secondo i numeri citati dal ministro, opinabili secondo chi ha fatto i raffronti con gli anni precedenti.
Sia come sia, a parti invertite, di fronte alla sparatoria di Napoli, all’assalto dell’ospedale o al fuoco di Mirandola avrebbe detto ai suoi predecessori, anche con uno stile colorito che la sicurezza non si fa con le tabelle, ma a che fare con la percezione diffusa.
Mirandola mostra il punto debole del salvinismo proprio sul “suo” terreno: la sicurezza come luogo della percezione che si alimenta, costruisce e deforma, ma mai del governo. E della politica che, sul tema, agisce “a prescindere” dai risultati.
E allora eccolo il ministro pressochè latitante al Viminale, appena sale sul primo palco, o Ostuni, cavalcare il caso, con la prontezza del lupo che sente l’odore del sangue e il cinismo dell’impresario della paura che sogna un facile fatturato nelle urne di domenica: “Questo immigrato tornerà a casa sua a calci nel sedere, sul primo aereo. Un altro ha staccato a morsi un dito a un poliziotto. Anche questa risorsa importante tornerà a casa sul primo aereo utile. Poi mi dicono che non vanno chiusi i porti, tutti a casa”.
Come se fosse un ministro all’opposizione, sempre spettatore “a sua insaputa”, dei rimpatri mancati come delle navi che sbarcano in diretta da Giletti,evidentemente ancora non sa che sul “primo aereo” per essere rimpatriato non è stato messo, pochi giorni fa, perchè non c’era posto, insomma c’è stato un intoppo nel meccanismo dei rimpatri.
Informazioni che un uomo di governo dovrebbe chiedere agli uffici che frequenta più dei palchi e dei social prima di parlare.
E invece, come se non fosse responsabile della sicurezza nazionale, il ministro dell’Interno prova a cavalcare la questione, a pochi giorni dal voto, con l’istinto predatorio di chi sente, ancora una volta di affidarsi all’emozione collettiva.
Tranne poi tenersene lontano: da Mirandola, dalle dichiarazioni, una volta compreso che il caso investe anche le sue responsabilità , perchè col piromane di Mirandola brucia la retorica delle espulsioni facili e degli aerei per i rimpatri che decollano sempre in orario.
Non è banale quel che è successo stanotte. Due morti, venti feriti a seguito di un incendio, gli uffici della polizia avvolti dalle fiamme, col giovane nordafricano che, dinamica nient’affatto banale, era riuscito a entrare, mimettizzarsi con un berretto della polizia prima di appiccare il fuoco.
Come la linea dei “porti chiusi” crolla di fronte alle navi che, inevitabilmente attraccano, crolla su Mirandola la promesse dei rimpatri facili, su cui da un po’ il ministro “all’opposizione” ha smesso di dare i numeri.
E non ripete più ciò le parole scagliate contro il precedente governo che, come ben sa, aveva raggiunto il picco di efficienza sui rimpatri.
Quel ne “manderemo a casa 500mila”, numero scritto nella bibbia del Contratto è diventato “ne rimpatrieremo 90mila” dopo un anno di non governo, in cui i rimpatri forzati di stranieri sono stati inferiori agli stessi mesi degli anni precedenti, in tutti i mesi ad eccezione del novembre 2018.
E, in più, il ministro non ha chiuso i dieci nuovi accordi con i paesi di provenienza che aveva promesso a settembre dello scorso anno.
Quel che è accaduto a Mirandola è il paradigma di un anno di governo, dello iato tra annunci e realizzazioni. In un paese normale il ministro dell’Interno andrebbe in Parlamento a spiegare perchè, nonostante il decreto di espulsione, quel giovane nordafricano era ancora a piede libero, che cosa non ha funzionato, di chi è la responsabilità nell’ambito di una catena di comando che fa capo al Viminale.
E andrebbe in Parlamento non con lo spirito di chi cerca facili capri espiatori ma di chi si assume fino in fondo la responsabilità della sicurezza nazionale. Come se fosse un ministro dell’Interno.
(da “Huffingtonpost”)
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