CHI DOVEVA RIMUOVERE LE MACERIE ALL’AQUILA? BERTOLASO ORA NICCHIA, MA ERA COMPITO DELLA PROTEZIONE CIVILE
ECCO IL TESTO DELL’ORDINANZA N. 3797 DEL LUGLIO 2009 CHE DELEGA BERTOLASO E LO AUTORIZZA (ART. 17) PERSINO A FAR INTERVENIRE L’ESERCITO… INVECE LE MACERIE SONO ANCORA LI’ E LA PROTESTA DEGLI ABITANTI E’ FONDATA…ORA TOCCHERA’ ALLA REGIONE, MA SENZA NUOVE REGOLE CI VORRANNO ANNI
Domenica è andata in scena l’ennesima protesta degli abitanti dell’Aquila, stanchi di vedere giacenti 4 milioni di tonnellate di macerie nella loro città , senza che nessuna autorità si prenda l’incombenza di iniziarne la rimozione. La “rivolta delle carriole” ha stavolta “bucato” gli schermi dei media, nessuno ha potuto far finta di ignorare una protesta che sta assumendo proporzioni sempre più consistenti.
E domenica prossima si replica.
A fronte delle considerazioni degli abitanti, più che giustificate, abbiamo ascoltato da parte delle autorità il solito scaricabarile su chi avrebbe dovuto intervenire.
In particolare il capo della Protezione civile, l’onnipresente Bertolaso, ha detto che è normale che vi siano delle proteste (ma non erano tutti felici, contenti e intenti a stappare lo spumante?), che il compito della Protezione civile è terminato e che ora devono provvedere Regione e Comune (con che soldi non è dato sapere).
Bertolaso ha precisato che la rimozione delle macerie non rientrava comunque tra i suoi compiti.
Peccato che le cose non stiano così e lo dimostriamo, documenti alla mano. Perchè spettava invece proprio alla Protezione civile rimuovere le macerie del terremoto ed individuare i siti dove trasferirli e smaltirli.
Bertolaso, nella sua qualità di capodipartimento, aveva ricevuto incarico formale con un’ordinanza urgente del luglio scorso della Presidenza del Consiglio, la numero 3797, esattamente sette mesi fa.
Non solo: l’art. 17 del dispositivo ministeriale consentiva alla Protezione civile anche l’uso dell’esercito.
Se in una prima fase infatti, con l’ordinanza 3767, il governo aveva affidato il compito ai comuni , con la seconda aveva delegato Bertolaso come supplente.
Anche perchè ci si era resi conto che i comuni erano in ginocchio e non avrebbero certo potuto organizzare lo sgombero delle macerie.
Si legge nel’ordinanza: “Il commissario delegato può provvedere, in sostituzione dei Comuni che non abbiano adottato tempestivamente i provvedimenti, alla individuazione dei siti da adibire a deposito temporaneo e selezione dei materiali derivanti dal crollo degli edifici”.
E ancora si legge: “Il commissario provvede, laddove è necessario, all’adozione in termini di somma urgenza dei relativi provvedimenti di occupazione temporanea o requisizione dei siti” ed è inoltre “autorizzato ad avvalersi del Genio militare dell’esercito” .
Ma nulla è stato fatto per sette lunghi mesi.
Ora il nuovo commissario, il governatore della Regione, Gianni Chiodi, ha deciso che le macerie saranno rimosse attraverso un bando pubblico e l’individuazione di ditte specializzate.
Tempi ancora lunghi insomma, quando si sarebbe potuto procedere nel breve.
Qual’è il problema?
Che in base alla norma vigente il materiale deve essere selezionato per dividere i vari componenti presenti.
Ma invece che farlo sul posto, si sarebbe potuto e dovuto individuare un’area di stoccaggio dove trasferire le macerie a tambur battente e poi selezionare nella fase successiva.
L’Aquila sarebbe stata liberata almeno in parte e anche la ricostruzione ne avrebbe tratto giovamento, invece che stare a ponteggiare anche gli edifici che dovranno essere abbattuti.
Va considerato che il governo ha puntato sull’effetto immagine delle C.a.s.e. e ha investito tutto lì, evitando di spendere un euro nella rimozione delle macerie.
Questo dovrebbe dire chiaramente Bertolaso, se non dovesse tenere bordone al governo.
Se si fosse stanziata una cifra adeguata e ci fosse stata la volonta politica di individuare l’area di stoccaggio, adesso non ci sarebbero le carriole in azione e una protesta sempre più estesa.
Si sono commessi troppi errori nello stabilire le priorità , si è voluto sfuttare la vicenda per fini propagandistici senza guardare la sostanza del “fare”. Adesso qualcuno comincia ad accorgersene e altri a pagarne le conseguenze.
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