COCAINA TRA LE PINNE DEI PESCI: LAVITOLA, GLI AFFARISTI E LA ‘NDRANGHETA
UN TESTIMONE RIVELA: “IL TRAFFICO DI DROGA DA PANAMA MASCHERATO IN SPEDIZIONI ITTICHE”
I sacchetti di polvere bianca tra i filetti di pesce si vedono bene, anche se gli scatti sono stati fatti in fretta, facendo attenzione che nessuno potesse accorgersene e prima che il carico da Panama facesse rotta verso gli Stati Uniti. Risalgono al 2012.
Chi ci ha fornito le foto dice di rischiare la vita e convincerlo non è stato facile.
I carichi sono tutti così, 170 chili a settimana, ma la rotta principale è la Calabria.
«È un traffico di cocaina enorme e le persone coinvolte sono italiani potentissimi, vicini alle istituzioni panamensi e brasiliane e stando a quello che leggo sulle indagini dei vostri magistrati sono molto legati anche a politici e lobbisti italiani».
Misura le parole la persona che abbiamo intervistato.
Vive e lavora a Panama e dice di aver lavorato per anni negli ambienti del settore ittico entrando in contatto direttamente con tutti i protagonisti di questa storia.
Il ruolo di Lavitola
Racconta tutto mostrando un carteggio di email tra un potente imprenditore italiano e Valter Lavitola, faccendiere imputato nel processo sulla presunta compravendita di senatori e implicato in varie altre indagini tra cui una già a dibattimento su una presunta estorsione ai danni della società Impregilo proprio per un business in corso a Panama oltre che per un giro di corruzione riguardante la costruzione di carceri nel paese sudamericano
Entrambe queste due ultime vicende coinvolgono anche l’ex presidente panamense Ricardo Martinelli.
Inchieste partite quasi tutte dalla procura di Napoli per iniziativa dei pm Henry J. Woodcock e Vincenzo Piscitelli (attualmente procuratore aggiunto) che hanno coordinato indagini del nucleo della guardia di finanza di Napoli guidato dal comandante Nicola Altiero.
Quella che si vede nelle foto è polvere bianca nascosta in carichi di pesce.
Non sappiamo se sia cocaina. Le nostre fonti dicono di si e ci dicono che è solo uno dei carichi mensili passati per Panama.
Ipotesi, per ora solo ipotesi, su cui le varie autorità giudiziarie italiane e internazionali potranno indagare.
La Procura di Reggio Calabria, coordinata dal magistrato capace di fare piazza pulita dei casalesi, Federico Cafiero de Raho, ha negli ultimi due anni sequestrato oltre due tonnellate di droga proveniente dal Sud America di cui ben 600 chili solo nel porto di Gioia Tauro.
Dalle immagini si vedono le scatole con il nome della ditta esportatrice che da una visura camerale risulta di proprietà di un imprenditore italiano che vive da molti anni a Panama.
Le e mail che mostriamo sono proprio inviate da questo imprenditore a Lavitola e a un altro imprenditore collegato a Lavitola anche lui indagato in un’inchiesta un’ipotesi di corruzione internazionale per presunte tangenti a politici panamensi per la realizzazione di carceri e l’acquisizione di appalti.
Abbiamo deciso di oscurare nomi e ditte perchè lasceremo eventualmente agli inquirenti il compito di capire se quelle persone e le loro aziende siano effettivamente coinvolte nella vicenda descritta dalle nostre fonti.
Noi, nel lavorare a questa inchiesta, ci siamo procurati una serie di documenti che, seppur pixellati, mostriamo come il dovere di cronaca ci impone di fare trattandosi di una vicenda di interesse pubblico che mette insieme personaggi del mondo dell’economia, della politica e della criminalità organizzata.
Le mail «prova»
Nelle email tutte risalenti al periodo aprile/maggio 2011 si leggono frasi come «Va tutto dentro i pesci. Carico consegnato in Perù e poi consegnato a Gioia Tauro. Perdita, nessuna responsabilità all’arrivo» e ancora «(…) I trasporti li facciamo dentro i pesci grossi Tonno, pescecani (…)», «L’importante è che la merce arrivi a Gioia. I capi ci aspettano».
Secondo le nostre fonti il traffico, cominciato nel 2009/2010 è stato intenso fino al 2012 con circa un carico alla settimana di 170 chili di cocaina per un totale di 680 chili al mese e un guadagno di un milione e 300 mila euro.
Quando la droga era diretta negli Stati Uniti partiva dalla Colombia, veniva impacchettata a Panama e con piccole e veloci imbarcazioni il carico arrivava sulle coste Usa.
Quando invece il carico era diretto a Gioia Tauro la droga veniva inserita in Perù: il pesce veniva spedito da Panama, arrivava in Perù dove in parte veniva venduto ai supermercati e in parte impacchettato di nuovo insieme alla cocaina e spedito verso il porto di Gioia Tauro.
In Calabria i clan della ‘ndrangheta (una delle fonti indica la famiglia dei Pesce) provvedevano a ritirare la merce.
«La droga veniva messa in buste resistenti e sistemate insieme al pesce pulito sotto le scatole – racconta il nostro testimone – In genere si trattava di filetti di squalo o di tonno o di altri pesci di grandi dimensioni. Anche Lavitola ha una ditta ittica in Brasile e il suo amico (il proprietario della ditta indicata nelle foto ndr) commercia pinne di squalo verso l’oriente anche se questo tipo di attività è vietata. Come si legge in una delle e mail, questo commercio frutta bene, fino a 500 dollari per pinna. In Oriente è un piatto prelibato. Loro lo pescano nell’isola di Malpelo. Si erano assicurati importanti accordi commerciali e il governo Panamense aveva concesso alla sua società (come si può vedere in uno dei documenti che mostriamo nella videoinchiesta ndr.), una grossa area per la loro attività ittica».
L’intrecci
Possibile che questi personaggi si parlassero via e mail così liberamente?
«Non temevano nulla. Sono potenti, amici di chi conta e Panama è un posto che se paghi bene puoi fare qualsiasi cosa. Loro poi si sentivano invincibili: il fratello dell’imprenditore ha una ditta che si occupa di sicurezza a cui sono stati assegnati importanti appalti pubblici ma soprattutto sua moglie è una donna potentissima ed è stata assistente di un ex Ministro. La signora di fatto svolgeva le funzioni del ministro e aveva il passaporto diplomatico quindi entrava e usciva dal paese senza subire controlli. Così portavano in giro valigette piene di soldi. Inoltre tutti loro frequentavano personaggi importanti».
Spiega, mostrandomi una foto dell’imprenditore con alcuni personaggi politici di rilievo internazionale.
Questa donna, che il testimone nell’intervista indica come una persona influente capace di trattare affari milionari, spunta anche negli atti di indagine relativi alle tangenti per l’affare della costruzione delle carceri a Panama e alcuni personaggi nominati nelle varie email che ci sono state fornite, risultano indagati nell’ambito di questa inchiesta.
Anzi nelle email si fa esplicito riferimento a queste vicende
L’intreccio che emerge dalle email, le foto, i presunti rapporti di questi uomini d’affari con organizzazioni del narcotraffico e con la ‘ndrangheta sono da dimostrare ma non è la prima volta che viene accostato il nome di Lavitola a quello di clan malavitosi: sua sorella Maria, l’anno scorso, in una intervista diceva di aver saputo che suo fratello aveva avuto rapporti con esponenti della ‘ndrangheta e la banda della Magliana.
Amalia De Simone
(da “il Corriere della Sera”)
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