COMUNALI, HA VINTO IL PD O IL M5S? CHI COMANDA LE 1.342 CITTA’ ANDATE AL VOTO
LE 1.100 LISTE CIVICHE CHE HANNO FATTO ELEGGERE UN SINDACO
Pd e M5s non si troveranno mai d’accordo su chi ha vinto le elezioni amministrative di domenica.
In oltre 1100 Comuni, infatti, a vincere è stato un candidato di una lista civica. Magari camuffata, la cui ispirazione (di destra o di sinistra) è chiara fin dal nome e dal simbolo: “Civita Democratica” con i colori del Pd, “Forza Civita” con l’azzurro libertà ”.
Liste civiche finte, magari, ma che confondono i contorni già poco chiari di un Paese quasi balcanizzato, nel quale la situazione politica di ciascuno delle 1342 città e paesi che sono andati al voto cambia già rispetto al Comune confinante.
Ilfattoquotidiano.it, con tutte le difficoltà del caso che danno diritto a un minuscolo margine d’errore, ha cercato di dare una carta d’identità alle varie amministrazioni che si insedieranno già dopo il primo turno, sia pure dentro un quadro dipinto quasi con il puntinismo
Lo scontro Pd-M5s: “Abbiamo vinto noi”, “Macchè”
Sei italiani su 10, tra quelli intervistati in un sondaggio dell’istituto Piepoli per la Stampa, il vincitore delle Comunali è stato il Movimento Cinque Stelle.
Beppe Grillo e Lorenzo Guerini litigano sui voti assoluti.
Secondo il leader dei Cinquestelle, il Movimento ha raccolto 956.552 voti e quindi è il primo partito davanti al Pd che ne avrebbe 953.674.
Il vicesegretario del Pd risponde l’istituto Cattaneo ma limitandosi “ai Comuni capoluogo e superiori”: “Il Partito democratico prende 940.348 voti, mentre il M5s 866.793″.
Sempre per Grillo i Comuni con un sindaco del Pd sono “appena 18″, mentre Matteo Renzi ha rivendicato che “al primo turno abbiamo portato a casa quasi mille sindaci”. Nonostante la diversità di periodi e situazioni Istituto Cattaneo e Ipr Marketing hanno cercato di disegnare almeno i flussi di voto rispetto alle Politiche 2013 (quelle della non vittoria di Bersani) e alle Europee 2014 (quelle del 40 per cento del Pd). L’aggravante ulteriore è che i Cinquestelle hanno presentato candidati sindaco solo in un quinto dei Comuni.
Il Paese sbriciolato nelle fazioni infinite
Ma ci sono due aspetti che rendono impossibile mettere d’accordo Pd e M5s (e tutti gli altri) su come sono andate le elezioni comunali.
Primo, le Comunali 2016 compongono un sistema dipinto quasi con il puntinismo, dove ciascuno delle 1342 città o paesi presenta una situazione diversa da quello confinante.
Una specie di balcanizzazione dovuta no solo alla tripolarizzazione del sistema politico nazionale (Pd, M5s, centrodestra), ma anche alle alleanze variabili a livello locale soprattutto per la litigiosità delle coalizioni di centrodestra e centrosinistra e la disinvoltura delle alleanze di alcune forze politiche.
Ilfattoquotidiano.it ha contato 28 combinazioni diverse negli oltre 120 ballottaggi (126) che chiuderanno la tornata elettorale il 19 giugno: Pd-M5s, Pd-centrodestra, centrosinistra-centrodestra, centrosinistra-M5s fino alle più improbabili come Psi contro Sel (a Monserrato in Sardegna), Udc e Sel insieme contro una lista civica (San Giorgio Ionico in Puglia), Fratelli d’Italia contro Forza Italia (Isernia, Molise). E poi M5s contro liste civiche, Lega Nord contro liste civiche, Pd contro liste civiche, centrodestra o centrosinistra contro liste civiche.
L’esercito sterminato delle liste civiche
Già , le liste civiche: ecco il secondo punto. In oltre 1100 casi (1105 su 1342) non è stato un candidato dichiaratamente sostenuto dai partiti nazionali a diventare sindaco. Di molte di quelle liste è chiara l’ispirazione: “Insieme per Civita”, “Civita democratica”, “Unione per Civita” da una parte, “Forza Civita”, “Fratelli di Civita”, “Civita Libera” dall’altra. Ma non esce fuori nè il nome del Pd nè quello di Forza Italia.
Si tratta di una prassi che non hanno invece nè il Movimento Cinque Stelle nè la Lega Nord che anche nei paesi più piccoli — se non minuscoli — propongono i nomi del loro partiti in modo dichiarato.
Quindi ilfattoquotidiano.it ha scelto questo metodo: assegnare le vittorie a chi ha avuto davvero il simbolo in campo. La presidente della commissione Antimafia Rosy Bindi aveva spiegato prima delle elezioni che “è la politica che ora deve metterci la faccia. I partiti nazionali non hanno esibito i propri simboli, si sono ‘nascosti’ nelle liste civiche, a volte anche in modo innaturale, con centrodestra e centrosinistra che si sono trovati insieme”.
In certi casi – come quello di Gaggio Montano, raccontato dal fatto.it – può esserci dietro uno spirito di comunità , in molti altri il rischio è quello paventato dalla Bindi cioè che le liste “mascherate” possano essere un varco per chi ha intenzioni meno nobili. Resta da capire se sia per coincidenza oppure no che tutti gli impresentabili di questa tornata elettorale, indicati dall’Antimafia, erano in liste civiche.
Le liste civiche del Pd
Per questo ora il Pd si arrabbia e rivendica per sè successi che sulla carta non ci sono, ma nelle urne — in potenza — magari sì.
A Milano, per dire, la lista Noi, Milano, la più vicina al candidato a sindaco Beppe Sala, ha raccolto 38mila voti, oltre il 7 per cento, ed è inevitabile che in un appuntamento elettorale diverso (come le Politiche) quei voti prendano la direzione del Pd.
Lo stesso può valere per il 4 per cento e i 15mila voti di Per Fassino a Torino o l’altro 4 per cento e 48mila voti di RomatornaRoma — la lista di Giachetti — che peraltro non raddrizzano il crollo del Pd nella Capitale.
E lo stesso — e di più — avviene al livello di paesi piccoli, un’abitudine che hanno anche i partiti delle destre.
L’esempio plastico è quello di Salerno, dove il partito ha deciso di non presentare il proprio simbolo inserendo i candidati in due liste civiche che “tradizionalmente” hanno sostenuto l’era quasi geologica di Vincenzo De Luca e che ora hanno sparato sulla poltrona di sindaco Vincenzo Napoli.
In tutto Progressisti per Salerno e Salerno per i giovani hanno preso il 38 per cento dei voti, cioè 28mila voti. A essere fiscali, insomma, sarebbe la vittoria numero 1106 delle liste civiche.
Ma in questo caso appare chiaro che non si può non parlare di una vittoria del Pd.
Per il resto il Partito democratico ha eletto sindaci in altri 17 Comuni: Francavilla in Abruzzo, Ripacandida e San Chirico Raparo in Basilicata, Cassano allo Ionio, Filadelfia e Spezzano della Sila in Calabria, Capua, San Sebastiano al Vesuvio e Villaricca in Campania, Malnate in Lombardia, Rimini in Romagna, Muggia nella Venezia Giulia, Chiusi in Toscana, Città di Castello in Umbria, Barrafranca, Calascibetta e Terrasini in Sicilia.
Poi però ci sono altre 10 città o paesi che il Pd ha conquistato al primo turno dentro una coalizione di centrosinistra, quella conosciuta fino all’avvento di Matteo Renzi come capo del partito. La vecchia Unione, insomma, o Italia Bene Comune ha vinto a Grottole in Basilicata, Felino e San Martino in Rio in Emilia, Norma in Lazio, Cassano D’Adda e Dairago in Lombardia, Montignoso in Toscana, San Pancrazio Salentino in Puglia, Cagliari e Capoterra in Sardegna.
In Lombardia i sindaci leghisti al primo turno sono stati 14, in Veneto i successi del Carroccio sono stati invece 10, a cui vanno aggiunte le bandierine fissate in Friuli, Liguria e Piemonte. Il totale è 27.
Il centrodestra unito, dunque, vince in 38 Comuni, 23 dei quali in Lombardia, a sottolineare come il Carroccio non abbia sfondato, abbia ancora difficoltà a Milano (dove viene doppiata da Forza Italia) e nel resto della provincia.
Gli altri successi del centrodestra in assetto compatto sono stati in Calabria (1), Emilia Romagna (5, da Finale Emilia a Busseto passando per 3 paesi del Piacentino), Friuli Venezia Giulia (2), Liguria (1), Marche (1) e Veneto (5, tra queste Montebelluna). Sempre in quest’area politica, ma con successi solitari, si segnalano i casi dell’Udc che elegge un suo candidato a Carbonate in Lombardia, di Fratelli d’Italia che fa lo stesso a Rosazza in Piemonte, di Fare! di Flavio Tosi ad Arcole in Veneto e di Forza Italia ad Albignasego, sempre in Veneto.
I ballottaggi: il Pd ha 69 match point, il M5s 20
Infine il Movimento Cinque Stelle, questo è già noto, ha conquistato al primo turno 4 Comuni: Fossombrone nelle Marche, Dorgali in Sardegna, Grammichele in Sicilia e Vigonovo in Veneto.
Poi c’è tutta la partita dei ballottaggi che va oltre le sfide delle sei città capoluogo di Regione che non hanno ancora eletto il primo cittadino (Torino, Milano, Trieste, Bologna, Roma e Napoli).
Nelle sfide finali il Pd compare 69 volte, il M5s 20, il centrosinistra 14, il centrodestra oltre 40 e poi in solitaria la Lega Nord 13 volte, Forza Italia 6, Sel, Sinistra Italiana e le altre innumerevoli denominazioni di quest’area politica 8 volte, l’Udc e il centro 6, il Psi e i Fratelli d’Italia 3 volte.
Inciso: il fatto che la coalizione di centrosinistra sia presente solo 14 volte e quella del centrodestra oltre 40, a fronte di una presenza massiccia dei democratici e relativamente modesta della Lega, la dice lunga sulla diversità di assetto delle alleanze (e del loro stato di salute) tra l’area intorno al Pd e quella di Fi-Lega-Fdi.
Civiche fino in fondo
In 37 Comuni al ballottaggio andrà una lista civica e in 8 casi si tratterà di uno scontro tra civiche.
Curiosità , in 3 paesi sotto i 15mila abitanti si dovrà votare di nuovo in un ballottaggio perchè al primo turno è finita in parità : a Civita D’Antonio (Abruzzo) è terminata 351-351, a Ortucchio (sempre Abruzzo) 636 pari, a Casina (Emilia Romagna) 1164 pari tra due civiche.
In caso di ulteriore parità sarà eletto il più anziano. In 5 Comuni, infine, arriverà il commissario perchè si è presentata una sola lista e non è stato raggiunto il quorum di votanti del 50 per cento: Fraine in Abruzzo, Petrizzi in Calabria, Nimis in Friuli, Cicagna in Liguria, Fornovo San Giovanni in Lombardia.
Diego Pretini
(da “il Fatto Quotidiano”)
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