LA TRISTE VITE DEL CESPUGLIO: DA VERDINI A FASSINA, DA STORACE A RIZZO, IL DECLINO DEI PICCOLI PARTITI
FDI RACCOGLIE APPENA L’,1,2 A NAPOLI, L’,1,4% A TORINO E IL 2,4% A MILANO… LA LEGA IL 2,7% A ROMA E NON RIESCE NEANCHE A PRESENTARSI A NAPOLI… L’NCD NON PRESENTA IL SIMBOLO… L’IDV A MILANO PRENDE LO 0,6%, RIZZO LO 0,8%
Se fosse un film, diciamo «Provaci ancora Denis», il nostro Verdini sarebbe interpretato da Woody Allen e nel momento topico si sentirebbe dire: «Sparisci sgorbio».
E però non soltanto Denis. Anche «Provaci ancora Silvio» o «Provaci ancora Matteo», inteso Salvini, e tutti gli altri: Stefano (Fassina), Francesco (Storace) eccetera.
Non è un buon momento per essere o diventare cespugli e cioè, nel gergo politico, i partitini verdeggianti all’ombra del partitone, lì sotto a fare mucchio.
Un tempo a fine elezioni il leader del cespuglio proclamava: «Siamo determinanti!». Romano Prodi fu ricattato per due anni – dopo la vittoria del 2006 – da una dozzina di cespugli ognuno dei quali, siccome il centrosinistra aveva vinto di 24 mila voti, autorizzato a rivendicare la propria indispensabilità .
Il giochino è durato un ventennio. E di colpo, e forse per combinazione, il cespuglio è diventato uno sgorbio, in particolare Denis Verdini scansato con disprezzo da Matteo Renzi: «Certe alleanze sono state sbagliate».
La colpa di Verdini e della sua Ala (Alleanza liberalpopolare autonomie) è di aver portato pochi voti ai candidati del centrosinistra, e probabilmente di averne sottratti per impresentabilità sociale, quando invece i pochi voti portati in Parlamento alle riforme costituzionali erano bijou. In politica non c’è gratitudine, si sa.
O meglio, lo sanno tutti tranne Silvio Berlusconi che alla dimensione di cespuglio non si abituerà mai.
Per lui sono ingrati anche i tifosi del Milan – colpevoli di non vivere di ricordi – e probabilmente Alfio Marchini, garbatamente consapevole già domenica notte che Forza Italia, col suo drammatico 4.2 per cento a Roma, gli ha portato un danno e non un beneficio: «Senza Berlusconi, sarei arrivato al quindici o al diciotto (e s’è fermato all’undici, ndr)». E a questo punto piacerebbe conoscere nel dettaglio il pensiero di Giorgia Meloni, la quale senz’altro si aspettava di più dalla Lega, presente sotto forma di Noi con Salvini e ferma a Roma al 2.7 per cento.
Non è proprio aria. Perchè poi Meloni stessa ha poco da dire come ha poco da portare, l’1.2 per cento a Napoli, il 2.4 per cento a Milano, l’1.4 per cento a Torino. Naturalmente non ci si doveva aspettare che al posto del «siamo determinanti!» qualcuno si alzasse a dire «siamo dannosi» o persino «non serviamo a un piffero». L’unico è stato Francesco Storace, uscito dalle elezioni romane, lui che è stato governatore del Lazio, con un imbarazzante 0.6 per cento, meno di settemila e cinquecento voti.
«Sono basito», ha detto, ed è stato sufficientemente lucido da non ricordarci l’endorserment di Gianfranco Fini, che da qualche tempo in qua non è precisamente un talismano.
Con Storace e Fini c’era anche Gianni Alemanno, e se consideriamo l’incidenza di Maurizio Gasparri nel 4 per cento di Forza Italia a Roma, non è facile nemmeno attribuire il titolo di cespuglio a quello che fu il Movimento sociale.
Ma davvero non si capisce questa smania scissionista, da una parte e dall’altra, se poi quelli di Sinistra Italiana stanno appena sopra il tre e mezzo a Torino e Milano, percentuali con cui certi fuoriclasse come Pier Ferdinando Casini o Clemente Mastella campavano un quinquennio.
Ora vengono buone per interviste contrite. E per crepuscoli senza gloria.
L’Italia dei Valori – partito nel quale Antonio Di Pietro non c’entra più nulla – a Milano ha raccattato lo 0.6, qualcosa meno del comunista Marco Rizzo con lo 0.8 a Torino. E nessuno è in grado di valutare l’impatto di Angelino Alfano con il suo Ncd. Lui si dice molto soddisfatto, probabilmente di non aver presentato il simbolo. «Provaci ancora Angelino!».
Mattia Feltri
(da “La Stampa”)
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