COMUNQUE VADA, UNA COSA È CERTA: CONTE CI PERDE LA FACCIA E CERTIFICA LA VOCAZIONE TAFAZZIANA DEL M5S
SE FA CADERE IL GOVERNO SARÀ BOLLATO COME IRRESPONSABILE, SE RICUCE CON DRAGHI DA PAVIDO CACADUBBI… IL M5S NON E’ CALATO NEI SONDAGGI PER “COLPA DELL’APPOGGIO A DRAGHI”, META’ DEI VOTI LI HA PERSI PRIMA PER UNA GESTIONE FALLIMENTARE
Se il Conte uno era per autodichiarazione il premier del «populismo gentile» e il Conte due per definizione di Nicola Zingaretti (poi revocata) il «fortissimo punto di riferimento dei progressisti», il Conte tre aspetta ancora qualcuno che battezzi autorevolmente la sua nuova fase con un’immagine più generosa di quella che ne dà in privato lo scissionista Luigi Di Maio: «L’aspirante Di Battista».
Non aiuta, a scolpire il segno della nuova stagione contiana da capo politico del M5S, l’indecisione con cui in queste ore l’ex presidente del Consiglio veste e sveste i panni del barricadero, la fiducia al governo in Aula no, ma l’uscita dalla maggioranza nemmeno, però non siamo qui a portare l’acqua a Draghi e al Pd, e tuttavia la nostra responsabilità non verrà meno, purché resti chiaro che siamo contro il mainstream , e i poteri forti contro di noi.
Del resto, non è facile affrontare una giornata nella quale alle otto del mattino bisogna far sfogare gli umori dell’indecifrabile Consiglio nazionale 5S, all’ora di pranzo rassicurare Sergio Mattarella che non si vuole portare il Paese allo sbando, alle quattro del pomeriggio cercare da Mario Draghi una scappatoia che insieme salvi faccia, la propria, e governo, e infine alle nove della sera assicurare all’inflessibile senatrice e vicepresidente Paola Taverna che il partito non arretrerà di un millimetro dalle proprie ragioni.
Il tutto sperando che il giorno dopo Marco Travaglio non resti deluso dalla performance e Di Battista, quello vero, non faccia altre battute sarcastiche sul Movimento che cala le braghe («E anche oggi il M5S esce dal governo domani», è l’ultima di qualche giorno fa).
Voti la fiducia a Draghi e secedono un pugno di senatori. Non la voti e si scinde un plotone di deputati. Se fai il Conte due, ti tirano le pietre, se fai il Conte tre, pure.
L’ex presidente del Consiglio, sempre molto attento alla sua fortuna critica, è consapevole che comunque vada la sua immagine pubblica non resterà immacolata agli occhi di tutti, tanto che ieri, mentre arzigogolava sulla formula dello spericolato compromesso per non votare la fiducia oggi in Senato pur restando comunque al governo, già prevedeva amaro: «Mi immagino le ironie, lo so cosa dirà qualcuno adesso, che sono un temporeggiatore, ma io sono una persona responsabile».
E allora ecco il Conte governativo che aspetta appunto «un segnale da Draghi» cosicché il Conte tribuno possa rivendere all’assemblea dei parlamentari e alla ormai ristretta platea degli elettori una narrazione consona al partito fondato con un vaffa, lo scalpo dell’ex banchiere che ha ceduto alle richieste dei rappresentanti del popolo.
Uscire salvo da questa crisi-non crisi è arduo, anche perché a furia di affastellare ragioni per lasciare Draghi al suo destino, prima le armi all’Ucraina, poi la presunta offesa del premier che chiede la testa del leader a Grillo, ma anche i maltrattamenti al superbonus, la mancata difesa del reddito di cittadinanza, il salario minimo, però nella versione del programma M5S, guai se è quello di Andrea Orlando, nessuno ha più capito bene dove fosse per Conte il problema vero e quindi per Draghi la possibile soluzione.
Azzeccare la combinazione di parole e opere necessaria a siglare la pace è diventato più difficile di un terno al lotto, come si direbbe in un sali e tabacchi della natìa Volturara Appula.
Enrico Letta, per una volta d’accordo con Matteo Salvini, ha parlato chiaro: se crolla tutto, si vota. Ma Conte a votare subito non ci pensa nemmeno e i suoi pur battaglieri senatori ancora meno. Vogliono segnare il punto e andare avanti. Fuori dal governo ma dentro al Parlamento. Come dice l’amico sociologo Domenico De Masi serve il tempo di fare un po’ di opposizione, recuperare due o tre punti percentuali e reimbarcare Di Battista.
Senza più Letta, nel caso, ma forse ancora con la benedizione laburista di Pier Luigi Bersani, gli scambi pensosi al telefono con Goffredo Bettini e la sintonia con il segretario della Cgil Maurizio Landini.
Caro Maurizio il tuo programma è il mio programma, è il senso dell’intervento di Conte al recente convegno romano del sindacato con tutti i leader del campo largo e, in fondo, tra i voti degli iscritti Cgil ha pescato il primo Berlusconi, hanno pescato Bossi e Salvini, perché non può essere il suo turno?
E Grillo che dice? Ognuno nel M5S dà una interpretazione diversa della linea di “Beppe”, a Conte pare importare il giusto, cioè poco, è qui a giocare la partita anche per dimostrare di non essere eterodiretto dal Garante, per provare che non è più il facente funzioni di nessuno, come il Conte uno che esordiente dai banchi del governo a Montecitorio sussurrava deferente a Di Maio: “Questo posso dirlo?” .
Subcomandante sì, ma solo nel senso chiapateco. Il primo Chiapas di lotta e forse, chissà, ancora di governo.
(da La Repubblica)
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