CONFLITTO INTERESSI BOSCHI, TRE QUESITI AI QUALI IL MINISTRO NON HA RISPOSTO
IL CASO NON E’ CHIUSO, RESTANO ASPETTI DA CHIARIRE
È un discorso ad alto effetto comunicativo quello di Maria Elena Boschi, più che politicamente incisivo.
Anzi, è giocato molto sullo spostamento sul piano personale dei punti “politicamente” più controversi e sul piano politico dei punti dove veniva richiesto un chiarimento tecnico.
Dice la Boschi: “Amo mio padre e non mi vergogno a dirlo. Mio padre è una persona perbene e sono fiera di lui”. Ecco, proprio per questo esistono delle norme che regolano i conflitti di interessi in ambito familiare.
In Italia c’è la legge Frattini, ridicolizzata per anni dal Pd, perchè consentiva a Berlusconi di andare nella stanza accanto quando si parlava di Rete4.
Maria Elena Boschi ha sempre detto che non ha partecipato al primo del cdm sui decreti “salva-banche”. In tal modo, rispettando la Frattini, ammette che c’è quel conflitto di interessi negato in Aula.
Sulle altre riunioni del Consiglio dei ministri c’è un mistero, dovuto al fatto che gli atti delle riunione sono secretati.
Per negare in Aula l’esistenza del conflitto, invece di chiarire se era presente o meno ai consigli dei ministri che hanno varato gli altri decreti sulle banche, il ministro ricorre più volte all’espressione: “chi sbaglia paga”.
Il titolo, che arriva dritto nelle case degli italiani, è sul passaggio: “Sono orgogliosa di fare parte di un governo che esprime un concetto molto semplice: chi sbaglia paga. Se mio padre ha sbagliato deve pagare, ma non lo giudica il tribunale dei talk show”.
E, proprio sul passaggio che dà titolo, il caso si mostra nient’affatto chiuso.
Perchè proprio nel decreto “salva-banche” varato il 22 novembre ci sono le norme ribattezzate da parecchi osservatori come “salva-banchieri”.
Detta in modo semplice: il cdm vara il decreto che recepisce la direttiva europea sul bail in, accollando al sistema bancario e non allo Stato il costo del dissesto delle quattro banche bollite, lasciando senza risarcimenti azionisti e obbligazionisti (tra le banche c’è la Banca Etruria).
In questo decreto c’è una clausola (articolo 35, comma tre) in base alla quale, secondo alcune interpretazioni, viene reso più complicato per gli azionisti chiedere risarcimenti ai manager e dunque — in quanto manager — a papà Boschi.
Un comma in base al quale chi ha sbagliato non pagherà . Ecco il punto.
Ed ecco perchè sarebbe stato cruciale sapere se la Boschi c’era o non c’era al cdm. Comma peraltro inserito, secondo la documentazione di Franco Bechis, in riunioni preparatorie dei cdm dove la Boschi avrebbe partecipato.
Notizia questa non smentita nè sui giornali nè in Aula dal ministro durante il suo discorso.
Più volte la Boschi ha usato nel suo discorso i toni della figlia che difende l’onestà del padre più che del ministro che parla di una banca spolpata dai manager e commissariata dal governo: “Mio padre è stato destituito con commissariamento voluto dal mio governo, dov’è il favoritismo nell’aver fatto perdere a mio padre l’incarico?”.
Al di là del fatto che i commissariamenti innanzitutto li vuole Bankitalia e i governi ne prendono atto, il punto non chiarito è antecedente.
Quando cioè il padre, membro del cda della banca, diventa vicepresidente tre mesi dopo che Maria Elena Boschi approda al governo.
Tra l’altro diventa vicepresidente dopo che fu sanzionato da Banca d’Italia per una serie di irregolarità individuate dalla vigilanza. E multato di 140mila euro. Circostanza che il ministro ricorda nel discorso: “Mio padre è stato sanzionato da Bankitalia e ha pagato la multa, dov’è favoritismo da parte di Bankitalia?”.
Lo spartito sentimentale della bella favola di provincia lascia aperti i nodi più di merito del rapporto tra ministro in carica e operazioni che coinvolgono la banca dove lavora suo padre.
Ad esempio, la Boschi — e infatti scatta l’applauso — ricorda tutte le azioni avute dalla famiglia di poche migliaia di euro diventate carta straccia.
Sarebbe stato meno ad effetto ma più interessante conoscere le modifiche azionarie che hanno coinvolto lei e i suoi familiari fino al secondo grado (in base alla legge sul conflitto di interessi) da quando lei è diventata ministro.
E sarebbe stato più interessante sapere, oltre alle azioni citate, quanti fidi, mutui e prestiti aveva complessivamente la famiglia Boschi, se li aveva.
Per diventare vicepresidente di una Banca popolare di solito si deve avere una certa rilevanza azionaria. In questa storia sarebbe invece stato promosso a vicepresidente un signore con poche migliaia di euro di azioni e tre mesi dopo che la figlia è entrata a palazzo Chigi.
Ad effetto pure il riferimento a quanto disse, proprio la Boschi, sulla Cancellieri. Frase ripetuta in questi giorni in diversi talk show, a conferma di quanto i renziani doc siano attenti alla comunicazione.
Disse allora la Boschi: “Il punto non è se ci devono essere le dimissioni del ministro o se viene meno la fiducia nei confronti del governo. Il punto vero è che è in gioco la fiducia verso le istituzioni. Ancora una volta si è data l’immagine di un paese in cui la legge non è uguale per tutti ma ci sono delle corsie preferenziali per gli amici degli amici, per chi ha santi al Paradiso. Io al posto suo mi sarei dimessa”.
In Aula il ministro rivendica l’atteggiamento di allora, parlando della famosa telefonata alla famiglia Ligresti.
Dunque, riconosce che l’interesse pubblico è superiore a qualunque diritto alla riservatezza, quando si è un ministro. Nello stesso intervento però classifica alla voce “maldicenze” domande che le sono state rivolte con lo stesso criterio di interesse pubblico. A partire da quelle sul padre, ma non solo.
A palazzo Chigi come consulente – se ne sta occupando anche il Csm – c’è il procuratore capo dei Arezzo, procura che indaga sulla vicenda della Banca Etruria. Evidentemente ha varie occasioni di parlare con esponenti del governo.
Come ha occasione Giuseppe Fanfani, membro del Csm che ha autorizzato l’incarico extragiudiziario di Rossi e titolare ad Arezzo dello studio che da sempre difende Banca Etruria.
Insomma, si poteva dare qualche chiarimento in più nell’ambito del triangolo tra accusa (Rossi) che ha un rapporto professionale con palazzo Chigi, governo e un membro del Csm da sempre difensore della banca.
Tecnicamente, questo triangolo non rientra nel conflitto di interessi, ma nella categoria di opportunità politica e trasparenza che la Boschi richiese alla Cancellieri.
Il caso resta aperto, appeso al destino del padre soggetto a una indagine di Bankitalia in quanto membro del cda e appeso ai punti politicamente irrisolti.
A proposito, un dato inusuale: la Boschi ha votato la mozione di sfiducia che la riguardava. A memoria, non era mai successo che un ministro partecipasse a una votazione su di sè.
Un conflitto di interessi, ma questo solo di stile.
(da “Huffingtonpost”)
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