CONTE E’ UN PREVOSTO CHE CANTA LA MESSA
NESSUNA TRAMA NARRATIVA E VISIONE EMOTIVA, INSICURO E NON A SUO AGIO, POCO SPONTANEO, MIMICA MONCA E CONTRATTA
Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte si è cimentato da neofita con il discorso più importante della sua vita. Valutiamolo nella sua capacità di comunicare, di rappresentare idee e contenuti.
Il discorso non è di quelli che passerà alla storia, anche se c’è un cambiamento effettivo: ha ripassato il “contratto del cambiamento”, base del programma di governo. Non guida un governo grazie a una visione che ha saputo rappresentare, ma è piuttosto il “garante” di una mediazione tra due visioni diverse nate da storie molto distanti tra loro. Il contratto è il feticcio di questo governo, un sacro totem: Conte è il sacerdote che canta la messa.
La struttura del suo discorso era priva di “metafore” e mancava di trama narrativa, è stato un elenco preciso di punti che non ha saputo unire in una visione emotiva. L’ansia di dire tutto l’ha portato a dire troppo e a dilungarsi, tanto che sul finale era stanco e dava l’idea di essere insoddisfatto di quel che non aveva fatto in tempo a dire.
Il “body language” ha mostrato un certo nervosismo: non era a suo agio e la sua emozione ha posto un blocco, un muro tra sè e chi lo ascoltava.
Si leggeva nei gesti una paura del giudizio e si notava insicurezza.
Sul viso nessuna espressione, scarso uso della voce, mancanza di cambio di timbro e tono nell’esposizione: quando ha sottolineato alcuni passaggi alzando la voce non è apparso spontaneo.
Non è stato certamente aiutato da un esperto in comunicazione, perchè anche il meno talentuoso tra questi gli avrebbe spiegato come il tenere un foglio in mano possa essere sì una utile coperta di Linus, ma possa anche essere capace di soffocarti, offrendo al pubblico una mimica monca e contratta.
Intendiamoci, non è stata una tragedia; in carriera ho visto cose ben peggiori.
Diciamo che tutti gli aspetti che ho analizzato ci hanno consegnato un’idea mediocre del premier
(da “Huffingtonpost”)
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