COSA SI CELA DIETRO LA GUERRA DI GIORGETTI AL REDDITO DI CITTADINANZA
LEGA E M5S VOGLIONO ENTRAMBE SCARICARE SULL’ALLEATO LA RESPONSABILITA’ DELLA DISFATTA
Giancarlo Giorgetti deve essere un fine osservatore. Si è improvvisamente accorto ieri che il reddito di cittadinanza non gli piace e piace agli italiani che non gli piacciono. E ha minacciato il ritorno alle urne nel caso in cui non si attuasse il programma di governo, che prevede il reddito di cittadinanza.
Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio ha parlato a margine di un convegno sul sovranismo organizzato da Giorgia Meloni e l’uscita è servita a gelare ancora di più i rapporti tra gli alleati di governo dopo la “missione diplomatica” del 2,04 portata a termine da Giuseppe Conte.
E non è un caso che tutto parta da lì.
Dall’annuncio sul taglio del rapporto deficit/PIL previsto nella Manovra del Popolo che ha ammutolito i due vicepremier per più di 24 ore e causato discreti scompensi alla frangia noeuro della maggioranza di governo, e dalla constatazione che c’è ancora della strada da fare per pareggiare i conti con Juncker e Moscovici ma qualcuno non ha intenzione di smuoversi dal fabbisogno di partenza.
Ovvero proprio il MoVimento 5 Stelle, che ieri sera ha capito subito che l’obiettivo di Giorgetti sono gli stanziamenti per il reddito di cittadinanza ma si è chiuso a riccio quando gli è stato chiesto di prendere le forbici.
La situazione è quindi questa: l’UE vuole un ulteriore taglio rispetto al 2,04% sventolato da Conte con corredo di Casalino un paio di giorni fa.
Le misure che punta sono quelle strutturali e quindi ci va di mezzo soprattutto Quota 100, per la quale già da ieri si cominciavano a immaginare ostacoli e paletti per portarla a casa lo stesso, nonostante le critiche dell’esperto di pensioni della Lega Brambilla. 62 anni di pensione per l’Europa rappresentano una marcia indietro rispetto alla legge Fornero che era stata imposta proprio da Bruxelles ma la Lega proprio su quello ha puntato in questa manovra e di cedere non ha nessuna intenzione.
Ecco perchè Giorgetti & Co. indicano il reddito di cittadinanza: la Lega pensa (e comincia a dire) che se c’è da tagliare ancora non si guardasse alla loro porta perchè hanno già dato; piuttosto c’è il M5S che deve ancora fare sacrifici sulla sua misura-simbolo ed è il momento di cominciare a lavorarci.
Il M5S però fa orecchie da mercante e non ha alcuna intenzione di movimentarsi la vita con l’elettorato già piuttosto nervoso.
E allora alla Lega non resta che mandare messaggi per interposto Giorgetti, in attesa del primo vertice in cui Di Maio si presenterà con intenzioni ragionevoli.
Amedeo La Mattina sulla Stampa aggiunge un altro elemento: ora i due leader si rinfacciano la gestione della trattativa.
Salvini, al di là della faccia feroce, nelle ultime settimane è stato più propenso ad assecondare la linea morbida, a circondare di paletti Quota 100.
Di Maio invece ha tenuto duro sul reddito di cittadinanza: più vedeva i sondaggi che davano i 5 Stelle cadenti e maggiore era il suo puntiglio.
Al vicepremier leghista non restava che far finta di non cedere di un millimetro per non dare a M5S un vantaggio. Ora il rinculo delle cannonate sparate contro i «nemici» di Bruxelles si sente e Salvini teme che l’effetto si potrebbe riversare nelle urne quando a maggio si voterà per le europee.
Al centro, in posizione di mediazione tra le due forze, c’è Giuseppe Conte. Il quale rischia di rimanere con il cerino acceso in mano se i due vicepremier decidessero di mollarlo sul più bello (ed è possibile che accada) ma non può oggettivamente fare la voce grossa nè con l’uno nè con l’altro visto che rischia la poltrona.
Ma per lui intanto il tempo stringe. Il problema è accontentare la Commissione prima del 19 dicembre. E su questo punto il premier propone una forzatura nei modi e nei tempi, ormai strettissimi: «Il maxiemendamento? Forse arriveremo tardi per la Commissione e saremo costretti a portare le modifiche direttamente in Aula. Ci piacerebbe rispettare la dialettica parlamentare, ma dobbiamo chiudere». Al Senato entro il 18 dicembre, altrimenti sarà procedura.
Il M5S intanto ha incassato l’addio di Roberto Garofoli al Ministero dell’Economia e delle Finanze, che arriverà nei prossimi giorni.
Dopo le polemiche sulla manina e, soprattutto, quelle sul dipendente in nero il capo di gabinetto di Tria ha gettato la spugna e si prepara ad essere sostituito .
Per la successione il nome più accreditato è quello di Fortunato Lambiase, attuale capo della segreteria tecnica di Tria e considerato vicino al ministro.
Dal 2012 e fino al giugno di quest’anno Lambiase aveva prestato servizio come consigliere parlamentare presso il Senato.
(da “NextQuotidiano”)
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