COSA SUCCEDERA’ ALL’ECONOMIA RUSSA CON L’EMBARGO DEL PETROLIO
COSTERA’ A MOSCA DAI 20 AI 60 MILIARDI DI DOLLARI ALL’ANNO, UN DANNO ENORME
L’embargo europeo al petrolio russo peserà sull’economia di Mosca in modo significativo.
Secondo diverse stime (da quella di Bloomberg, a quella del Wall Street Journal, passando per Reuters), il blocco alla vendita del greggio stabilito dal sesto pacchetto di sanzioni dell’Ue, vale per il Cremlino tra i 20 e i 60 miliardi di dollari di introiti in meno ogni anno.
Una cifra enorme, che la Russia potrà riuscire a compensare solo in parte, grazie all’aumento dei prezzi degli ultimi mesi e alla crescita del suo export in Asia.
Il colpo arriva dopo settimane in cui gli analisti internazionali notavano una certa resilienza dell’economia russa, capace di resistere a cinque pacchetti di sanzioni europee e all’export ridotto all’osso negli Stati Uniti e nel Regno Unito.
A inizio maggio l’Economist segnalava infatti che il rublo era tornato a valere come prima e Mosca sembrava poter rispettare tutti gli impegni legati al pagamento degli interessi sul debito in valuta estera. Non solo, si sottolineava un aumento dell’80% sui profitti per la vendita degli idrocarburi, un contenimento non esagerato dei beni energetici rispetto alle previsioni (dopo un primo choc a marzo) e la ripresa dei consumi interni. Tutto ciò faceva pensare che le stime che parlavano di una discesa del Pil tra l’8,5% e il 15% nel 2022 fossero “eccessivamente pessimistiche”
I primi effetti dell’embargo si vedranno tra sei mesi
Con l’embargo sul petrolio, però, qualcosa può cambiare. Di certo la misura non partirà subito, ci vorranno sei mesi per vietare completamente le importazioni. Il blocco, poi, colpirà il 90% delle vendite. Il petrolio fornito tramite il ramo meridionale dell’oleodotto Druzhba, poi, potrà ancora ancora essere ricevuto da Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia, che sono tra i Paesi Ue più dipendenti. Alla Bulgaria è stato invece concesso un rinvio dell’embargo sulle forniture marittime fino alla fine del 2024.
In ogni caso, però, l’Europa è stato fino ad oggi il più grande mercato per la vendita del petrolio russo. Nel 2021 il Vecchio Continente ha assorbito la metà di tutte le esportazioni russe (111,2 milioni di tonnellate). I proventi della vendita di petrolio e gas sono poi la maggiore fonte di reddito per Mosca, con il primo che economicamente conta molto più del secondo. Sono infatti petrolio e prodotti petroliferi la principale fonte di guadagno delle esportazioni: nel 2021 hanno fruttato 180 miliardi di dollari, mentre il gas ha fatto guadagnare alla Russia 64 miliardi di dollari.
I possibili escamotage per aggirare il blocco
La ripresa della domanda continuerà a far salire i prezzi per tutto il 2022, ma non basterà a sanare le perdite. Tutto dipenderà dalla rapidità con cui la Russia potrà reindirizzare le esportazioni verso Cina, India e altri paesi asiatici (ad esempio Pakistan, Malesia, Indonesia e Vietnam. Ma la Russia, secondo la società di analisi Rystad Energy, sarà al massimo in grado di trovare acquirenti per solo 1 milione di barili al giorno, meno di un terzo dei 2,7 milioni di barili al giorno persi a causa dell’embargo petrolifero. Ci sono anche limitazioni impiantistiche e infrastrutturali: l’oleodotto principale verso la Cina, quello della Siberia orientale-Oceano Pacifico, può aumentare il flusso solo entro un certo limite e l’isolamento tecnologico di Mosca, dovuto alle sanzioni, fa sì che non ci siano appaltatori internazionali in grado di realizzare progetti complessi nel Paese per aumentare l’attività di perforazione (che anzi dovrebbe diminuire entro la fine del 2022).
Inoltre il ministro dell’Economia russo, Maxim Reshetnikov, ha dichiarato che il Paese rischia di subire una riduzione dei posti di lavoro e un calo degli investimenti a causa delle sanzioni.
(da Fanpage)
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