COSI’ GIOVANARDI MINACCIAVA I CARABINIERI: INDAGATO PER AVER FATTO PRESSIONI A FAVORE DI IMPRESA VICINA AD ‘NDRANGHETA
LE INTERCETTAZONI IN CUI EMERGONO LE MINACCE
Lui che ha sempre difeso l’onore delle forze dell’ordine, ora si ritrova accusato, tra l’altro, di aver minacciato con pressioni indebite due ufficiali dell’Arma dei carabinieri.
L’ex ministro del governo Berlusconi, Carlo Giovanardi, starà ripensando a tutte quelle volte in cui si è schierato per proteggere dal “fango” mediatico gli uomini in divisa ogni volta che uno di questi finiva al centro delle cronache per aver violato la legge, vedi caso Cucchi, Aldrovandi e molti altri ancora.
Perchè il senatore ha un’idea di Stato molto particolare.
È lui stesso a spiegarla a un colonnello dei carabinieri, il quale, poi, sentito come persone offesa in un’indagine antimafia, ai pm riferisce: «Il senatore ha raccontato di un generale dell’Arma che aveva avuto problemi giudiziari, relativi agli anni Ottanta. Riferendosi alla successiva assoluzione del militare, Giovanardi disse che aveva ottenuto dall’allora ministro dell’Interno Mancino un interessamento a favore del medesimo per quanto riguardava il sostegno delle spese legali.
Disse precisamente che il giorno dopo aver parlato con Mancino si presentò qualcuno alla porta del generale con il contante. Specificò poi trattarsi di 70 milioni di lire. Mi pare che il senatore abbia riferito questo episodio dicendo che questo era quello che doveva fare lo Stato e cioè essere vicino, disse che lui lo Stato lo intendeva in quel modo, non compresi se alle forze di polizia o a chi risultava poi assolto».
La posizione dell’ex ministro è al vaglio del giudice delle indagini preliminari, che sta valutando la rilevanza di alcune intercettazioni e di numerosi tabulati, i contatti telefonici, cioè, del parlamentare con altre persone coinvolte nell’indagine.
La “vicenda Giovanardi” rientra nel filone investigativo relativo agli appoggi interni alla prefettura di Modena su cui poteva contare un’azienda sotto processo per ‘ndrangheta. I titolari sono imputati a Reggio Emilia per concorso esterno in associazione mafiosa.
Nella stessa aula alla sbarra c’è il gotha della ‘ndrangheta emiliana: boss, gregari e complici del clan guidato da Nicolino Grande Aracri, detto “Mano di gomma”, che vanta amicizie massoniche e vaticane. Un maxiprocesso, questo, con oltre 140 persone in attesa di giudizio.
Il nome di Giovanardi è già emerso durante alcune udienze del dibattimento. Nell’indagine a carico del senatore , componente anche della commissione antimafia, i pm Beatrice Ronchi e Marco Mescolini contestano la rivelazione di segreto e la minaccia a corpo amministrativo dello Stato.
Con un’aggravante molto seria: aver agevolato l’organizzazione mafiosa, cioè la ‘ndrangheta, che grazie alla società Bianchini era entrata nel giro che conta degli appalti. Una società , la Bianchini, che gli inquirenti ritengono a disposizione dei clan.
Insieme al parlamentare sono indagate altre 11 persone, tra cui gli imprenditori che hanno chiesto aiuto al politico e il capo di gabinetto della prefettura modenese, Mario Ventura. Giovanardi, sostengono i pm, sarebbe stato consapevole delle relazioni pericolose degli imprenditori modenesi.
Eppure ha proseguito nella sua crociata per salvare l’azienda dai provvedimenti della prefettura di Modena, istituzione che aveva escluso la Bianchini costruzioni dalle “white list”, gli elenchi prefettizi delle aziende “pulite”.
Solo le imprese iscritte a queste liste possono lavorare nei cantieri pubblici della ricostruzione post terremoto.
Crociata fatta di un pressing costante sulle istituzioni locali e centrali. Minacciando trasferimenti e denunce nei confronti dei servitori dello Stato che, invece, resistevano al pressing a tutto campo del parlamentare.
L’atto d’accusa della procura antimafia è un lungo elenco di date, riunioni, colloqui registrati. Fatti che riconducono l’attività dell’ex ministro, fino al 2011 anche sottosegretario alla presidenza del Consiglio, in un recinto ben preciso: ha agito, sostengono i pm, «in assenza di qualsiasi connessione, se non strumentale, con qualsivoglia attività parlamentare».
Il senatore si difende affermando che ha agito sempre secondo le regole, del resto, dice, è prerogativa di un senatore della Repubblica svolgere attività di sindacato ispettivo sulle altre istituzioni, in questo caso la prefettura.
Nulla da obiettare, se non fosse per gli incontri che, secondo gli inquirenti, sono andati oltre le «prerogative» del ruolo istituzionale che ricopre.
Sul comportamento di Giovanardi emergono ulteriori particolari, che a prescindere dal rilievo penale o meno, lo rendono una figura ingombrante all’interno della commissione antimafia presieduta da Rosy Bindi.
È opportuno, infatti, che un membro di questa commissione pronunci frasi del tipo «purtroppo il prefetto è un coniglio, personaggio che pensa solo a non fare cose che siano controproducenti per lui», così come risulta dagli atti?
Oppure che manifesti l’intenzione di rivolgersi a un funzionario del ministero per chiedere «la testa del prefetto»?
E poi ci sono due verbali, che hanno un peso specifico non indifferente, che descrivono nei dettagli la strategia del politico.
Sono, appunto, quelli dei due carabinieri. Uno porta la firma del colonnello Stefano Savo, ex comandante provinciale dei carabinieri di Modena, l’altro è del tenente colonnello Domenico Cristaldi, capo del nucleo investigativo, il reparto cioè che ha seguito fin dall’inizio l’inchiesta Aemilia sulla ‘ndrangheta emiliana e dove è rimasto implicato l’imprenditore che “attiva” Giovanardi. Entrambi gli ufficiali sono stati contattati dal senatore per avere un incontro e discutere del caso “Bianchini”.
I due si recano all’appuntamento in uniforme, così da non lasciare spazio a equivoci. Il luogo stabilito era uno spazio pubblico, alla presenza, quindi, di altre persone.
Il colonnello Savo, per primo, riporta quanto dettogli quel giorno dal senatore: «Disse che qualcuno avrebbe dovuto rispondere dei danni derivanti da questi interventi, facendo il parallelo con la responsabilità dei magistrati e dicendo che era sua intenzione presentare degli esposti su questa vicenda. Ho avuto la percezione che volesse riferirsi al mio comando e alla mia persona».
L’altro ufficiale chiarisce meglio il tono usato dal politico: «Mai immaginavo che le attenzioni manifestate dal senatore potessero giungere a un incontro del genere…voglio sottolineare che ha tenuto un comportamento estremamente deciso e perentorio, incalzante…Peraltro sia io che il comandante eravamo in divisa, in un esercizio pubblico, e il parlamentare non usava un tono di voce basso». Un grande imbarazzo, dice di aver provato Cristaldi, «per i temi trattati e i toni, proprio perchè riguardavano una nostra attività di ufficio di natura riservata e di cui lui si mostrava pienamente a conoscenza».
C’è, tuttavia, una data che rappresenta uno spartiacque. Almeno questa è l’ipotesi dei pm. Si tratta del 18 ottobre 2014. È il giorno in cui nell’ufficio del politico, a Modena, si è tenuto uno degli incontri riservati tra Giovanardi e la famiglia Bianchini. In questa occasione gli imprenditori, con il “vizietto”di registrare gli incontri importanti, ammettono davanti al parlamentare di aver sgarrato più di una volta. Dove per sgarrare intendono rapporti commerciali e fatture false con pezzi grossi della ‘ndrangheta oltre che l’assunzione di operai tramite un boss calabrese. Oltre a verbali e registrazioni private, quelle effettuate dagli imprenditori, gli inquirenti chiedono di potere utilizzare alcune telefonate.
Da quanto risulta all’Espresso sono quattro dialoghi telefonici intercettati per caso durante un’altra indagine, parallela.
Si tratta di telefonate tra Giovanardi e un imprenditore, Claudio Baraldi, titolare di un’impresa anch’essa in passato bloccata dalla prefettura di Modena con un’interdittiva antimafia.
A differenza della Bianchini, la Baraldi, che orbita nella galassia confindustriale, è stata poi riabilitata. Pure per riabilitare quest’ultima società Giovanardi si era speso moltissimo. È forse per questo motivo che chi indaga ritiene fondamentali quelle telefonate. Materiale investigativo utile a ricostruire tutta la vicenda e soprattutto il ruolo del senatore.
Se il giudice dovesse ritenerle rilevanti sarà lui stesso a inviare tutta la documentazione alla giunta per le autorizzazioni del Senato.
Ma l’ultima parola spetterà all’aula di palazzo Madama. Saranno i senatori, infatti, a esprimersi sull’utilizzo delle intercettazioni in cui spunta l’ex ministro che risolve problemi e che «sfruttava la sua influenza politica e il prestigio derivante dagli incarichi in passato occupati nel governo italiano nonchè quello instaurato con le autorità prefettizie».
Nell’informativa dei carabinieri di Modena, inoltre, vengono individuate alcune utenze telefoniche contattate da Giovanardi. Ai pm interessano quelle di cinque persone, tra cui il capo di gabinetto della prefettura di Modena – grande amico del politico – e dei Bianchini.
Vista la delicatezza del ruolo ricoperto da Giovanardi, gli inquirenti nella loro richiesta al gip precisano che «non sono state disposte acquisizioni di dati relativi al traffico telefonico di utenze in qualsiasi modo ricollegabili al parlamentare… L’obiettivo iniziale era ricostruire la ragnatela di rapporti esistente attorno ai Bianchini e individuare coloro che avevano agito illecitamente nel loro interesse». In pratica, la procura di Bologna stava seguendo tutt’altra pista.
Poi, a un certo punto, piomba sulla scena Carlo Giovanardi, che le prova tutte per capovolgere l’esito dell’indagine amministrativa a carico dell’azienda modenese. Una missione ossessiva, tanto che il capo di gabinetto della prefettura definì l’amico parlamentare un «martello pneumatico» per la determinazione dimostrata nel voler salvare quell’impresa che secondo gli investigatori era nell’orbita del clan.
Dopo l’anticipazione dell’Espresso sull’indagine a carico del senatore Carlo Giovanardi da parte dell’antimafia di Bologna, la commissione presieduta da Rosi Bindi prende posizione, chiedendo al parlamentare di non partecipare più ai lavori per opportunità politica. Stessa richiesta avanzata nei confronti dell’onorevole Riccardo Nuti (M5S).
(da “L’Espresso”)
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