CRISANTI CONTRO ZAIA: “IN ITALIA NON CI SONO CUTURA DEL MERITO E INDIPENDENZA, IN VENETO VOGLIONO ACCAPARRARSI MERITI CHE NON HANNO”
LO SFOGO DEL PROFESSORE: “IN INGHILTERRA CERTE COSE NON ESISTONO”…”HO DOVUTO COMPRARE LE SONDE MOLECOLARI ALLIMPERIAL COLLEGE, SE ASPETTAVO QUELLE ORDINATE IN ITALIA…”
Non vuole entrare nella polemica politica intorno al suo ruolo e a quello delle autorità regionali nella conduzione di quello che ormai è diventato il “modello Veneto” nella lotta al Coronavirus.
Andrea Crisanti, professore di Microbiologia dell’Università di Padova e a capo del team che ha condotto l’esperimento di Vo’ Euganeo, non ci sta a far diventare il suo lavoro il terreno di scontro per la prossima campagna elettorale. Neanche dopo che dal governatore Luca Zaia è arrivata l’accusa di presunte “invasioni di campo”.
Ma nella conferenza stampa in modalità telematica rispondendo a una domanda di TPI sulle difficoltà di lavorare in Italia per chi, come lui, lo ha sempre fatto all’estero, Crisanti si lascia andare a uno sfogo amaro: “Manca la cultura della trasparenza, del riconoscimento del merito e dell’indipendenza, tre fattori che sono legati l’uno con l’altro e che l’Italia ha difficoltà a implementare sistematicamente”, dice. “Le persone cercano sempre qualcuno che le supporti esternamente, in Inghilterra queste cose non esistono”
Il clima tra Crisanti e Zaia si è inasprito dopo che il governatore del Veneto ha indicato la direttrice del Dipartimento di prevenzione Federica Russo come la responsabile del “modello” della Regione. “Vogliono riscrivere la storia per accaparrarsi meriti che non hanno”, ha accusato il professore, definendo il piano regionale “una baggianata”. Poi la replica di Zaia, che accusa lo scienziato di “invasioni di campo”.
Oggi in conferenza stampa Crisanti rivendica il ruolo importante dell’Imperial College di Londra, dove lo scienziato ha lavorato a lungo prima di tornare in Italia e da dove — ricorda — sono giunte le sonde molecolari che rappresentano il “cuore” del test e che hanno consentito di metterlo a punto nonostante i ritardi dovuti alla burocrazia italiana. “La ragione principale è che una delle sonde che abbiamo ordinato qui non è mai arrivata”, dice. “Abbiamo ripetuto altri ordini, una è arrivata con grandissimo ritardo e di nuovo sono stato costretto a comprarle dall’Imperial College”.
“Vorrei rimanerne fuori”, dice oggi Crisanti a chi gli chiede la sua impressione sulle polemiche, se si senta tradito o strumentalizzato. “So quello che ho fatto e tutti voi l’avete visto. Volete che specifichi qual è stato il mio contributo? Sull’analisi di Vo’ ho verificato gli asintomatici, ho sfidato i nostri epidemiologi e quelli dell’Oms, mi sono battuto sul fatto che il tampone fosse usato come strumento di sorveglianza pubblica, per identificare chi ha trasmesso la malattia alle persone che stavano male. Questo non toglie che questo risultato sia stato ottenuto col contributo di tantissime persone. Il resto non mi riguarda e mi dispiace che sia successo, ma forse è inevitabile che a un certo punto ci siano incomprensioni e vengano fatti dei chiarimenti. Anche perchè questo successo del Veneto ha attirato moltissima attenzione, quindi qualcuno che ha fatto qualcosa di importante può essere valorizzato”.
Nella gestione dell’epidemia in Veneto rispetto ad altre Regioni, come la Lombardia, a fare la differenza, secondo Crisanti, è stata l’idea di utilizzare i tamponi non solo come mezzo diagnostico ma anche come strumento di sorveglianza attiva.
“La differenza tra il Veneto e le altre Regioni”, spiega, “l’ha fatta la capacità di aumentare rapidamente la produttività dei tamponi, passando da poche decine e decine di migliaia al giorno. Questo è stato associato all’uso dei tamponi, che noi abbiamo utilizzato come misura di sorveglianza attiva, per intercettare gli asintomatici. Abbiamo sempre pensato che se c’è un asintomatico vuol dire che qualcuno gli ha passato la malattia, e intercettandolo avremmo impedito che infettasse altre persone. Per questo abbiamo sistematicamente fatto in modo che i tamponi fossero accessibili a parenti, amici, a tutti coloro che pensavano di essere entrati in contatto con un malato”.
“Si è visto in altri paesi che hanno usato lo stesso approccio, come la Germania, l’Islanda, la Corea del Sud, Taiwan”, spiega. “Tutti i paesi che hanno adottato questo approccio hanno avuto un numero più basso di decessi e sono stati in grado di controllare l’infezione più rapidamente. E noi l’abbiamo proposto subito, dopo i risultati di Vo’, dove abbiamo fatto uno studio gigantesco per capire ciò che stava succedendo. Uno dei dati emerso subito era che il 3 per cento della popolazione era infetto — un’enormità che nessuno ha valutato correttamente — e che c’era il 40 per cento di persone asintomatiche”.
“Mi creda, quando faccio lezione agli studenti e spiego l’R0, la maggior parte la prima volta non lo capisce, e sono studenti di medicina”, sottolinea poi Crisanti rispondendo alla domanda di TPI, che gli ha chiesto un commento sulla gaffe dell’assessore lombardo al Welfare Giulio Gallera a proposito dell’indice di trasmissibilità . “È un concetto complesso perchè richiede un certo livello di astrazione, che nella spiegazione dell’assessore manca. Ha detto che se l’Rt è 0,50 per essere contagiato devo entrare in contatto con due positivi, non è così. È una questione di probabilità ”.
(da TPI)
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