DON GIACOMO MARTINO: “SE CONTA SOLO RISPARMIARE NON CI SARA’ MAI INTEGRAZIONE”
A PROPOSITO DEI BANDI DELLE PREFETTURE: “SE CONTANO SOLOI QUATTRINI DIVENTIAMO AFFITTACAMERE, GLI IMMIGRATI DEVONO POTER SEGUIRE PERCORSI DI REALE INTEGRAZIONE”
Per capire i motivi della rivolta del mondo dell’accoglienza al bando della Prefettura di Genova, basta salire alla collina di Coronata.
È qui, negli spazi dell’ex ospedale San Raffaele, che l’Ufficio diocesano Migrantes, attraverso la cooperativa Un’altra storia, aveva dato forma a un progetto di integrazione unico per i richiedenti asilo. Una via di mezzo tra un collegio e un campus universitario: aule e campi sportivi, laboratori di sartoria, di edilizia, di educazione civica
Oggi, sono tutti chiusi. Fine di un’utopia. «Stiamo continuando a portare avanti solo Agrilegalità , perchè abbiamo deciso di buttare il cuore oltre l’ostacolo — racconta monsignor Giacomo Martino, anima del campus di Coronata ecco, è questo che intendiamo quando parliamo delle ripercussioni dei tagli dei decreti sicurezza: l’accoglienza non può consistere solo nell’offrire il minimo indispensabile, ovvero da mangiare e da dormire. Non siamo un albergo. L’obiettivo deve essere costruire percorsi di integrazione per i migranti, e infatti io sono sempre stato severo, per esempio sulla partecipazione alle lezioni di Italiano, che considero imprescindibili. Senza un progetto, senza avere la possibilità di costruirsi un futuro, questi ragazzi si scoraggiano. Ed è allora che rischiano davvero di diventare degli assistiti».
Don Giacomo Martino, eppure avete deciso di partecipare al bando prefettizio comunque: perchè?
«Parteciperemo, facendo i salti mortali, come suggerisce il discorso evangelico del vescovo, che ho apprezzato molto. Anche se i costi da sostenere non lo consentirebbero: e infatti, saremo costretti ad attingere all’8 per mille. Questo si tradurrà nel sottrarre risorse alla carità , in un momento difficile come questo, con la pandemia che continua a moltiplicare il bisogno. Una guerra tra poveri, in pratica. In ogni caso, non potremo più coinvolgere le parrocchie nell’accoglienza dei migranti, perchè il progetto di integrazione che mettevano in campo consisteva in un pieno inserimento sociale, che sarebbe troppo oneroso, a queste condizioni»
Quanti ragazzi accogliete, ad oggi, a Coronata?
«Sono quasi trecento, in parte al campus e in parte nei vari alloggi.
Di questi, cinquanta avrebbero già terminato il percorso di accoglienza: con la fine del lockdown avrebbero dovuto uscire. E invece, li abbiamo tenuti qui. Ecco il nodo: lo Sprar ( il sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati, accoglienza di secondo livello, ndr) e gli scivoli per permettere un’uscita graduale dai percorsi, erano importanti: perchè dove andranno adesso questi ragazzi? Li aspetta un salto nel buio, se non vengono opportunamente preparati attraverso corsi di lingua, percorsi di formazione, borse lavoro. Si dibatte sul tema dei migranti con il covid: ma il punto non è il covid, perchè il virus colpisce tutti, migranti e italiani. La questione è gestire al meglio questi ragazzi».
A proposito di contagi, come state affrontando la situazione?
«Tutto è ricaduto su di noi, con una fatica e uno sforzo infinito: a nostre spese abbiamo realizzato le sanificazioni, acquistato mascherine, disinfettanti. Per evitare che tutti i migranti accolti negli appartamenti si recassero alla mensa di Coronata ci siamo organizzati con consegne a casa, e stiamo continuando a farlo. Ecco, per questo il bando della Prefettura ci fa ancora più rabbia: significa che non c’è stato alcun riconoscimento per il nostro impegno».
Oltre alla questione dei fondi insufficienti, cosa contesta nei testi del capitolato?
«Prima dei decreti Salvini, i bandi erano suddivisi in una scheda economica e in una tecnica: quest’ultima attribuiva punti utili a salire in graduatoria per chi fornisse servizi mirati all’integrazione. Adesso, invece, vengono premiati eventuali sconti da fare alla Prefettura. È svilente: così siamo considerati dei meri affittacamere. E per i ragazzi, lo scoraggiamento è totale».
(da “La Repubblica”)
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