FLAVIO BIZ, IL LIBRAIO CHE HA CONVINTO LA PALLAVOLISTA SARAH FAHR A SALTARE ANCHE DOPO L’INFORTUNIO: “IL DOLORE SERVE”
“IN TRENO L’INCONTRO CASUALE, LEI ANDAVA A ROMA PER CURARSI, IO A BOLOGNA”
Orsago dista dodici chilometri da Conegliano. E lì bisogna andare tutti i giorni, due ore la mattina due ore il pomeriggio, all’Istituto «La Nostra Famiglia». Una terapia ungherese, dolorosa, fatta tutta di manipolazione, la chirurgia non può farci niente.
Flavio Biz è nato nel 1977 da un parto gemellare prematuro con una paresi cerebrale infantile. «Mi manca un impulso elettrico che fa muovere in maniera esatta i miei arti inferiori». Anche sua sorella gemella, Maria Teresa, ne è colpita, le serve anche oggi la sedia a rotelle ma a Flavio da bambino danno speranza; forse potrà farcela a camminare quasi normalmente. È che deve impegnarsi.
«Ma perché devo tornare domani, a farmi massacrare ancora?» si domanda continuamente, ma gli altri lo spronano, secondo lui è «l’amore» dei genitori, dei fisioterapisti. E dei libri.
Comincia ad appassionarsi da bambino, «a sette, otto anni», perché gli servono. Gli altri bambini lo prendono di mira, lo riempiono di «angherie». «I libri sono una corazza. Nei libri mi proteggevo dalle parole degli altri. Nei libri trovavo le parole per rispondere agli altri e poi ho trovato le parole per descrivere la persona che sono diventato».
È che è sempre lì, il dolore. «Non dovevo vedere la tappa del momento, ma il risultato che sarebbe arrivato dieci, dodici anni dopo. Sono stati bravi, i fisioterapisti, a darmi una motivazione rispetto all’invisibile».
Il libraio e le gambe
Flavio ce la fa. Completa il liceo classico, va a Venezia, a Cà Foscari a studiare lettere. Soprattutto, riesce a camminare. Sta in piedi, anche quindici ore, perché fa il lavapiatti, l’aiuto cuoco, per mantenersi durante gli studi. Faceva male, sì, ma era niente, rispetto a quello che aveva passato in clinica. Ancora adesso, un poco, Flavio zoppica, specie quando è più stanco.
«Ho la parte destra semiparalizzata, e la sera mi sale un dolore alla gamba. Mi ricorda sempre chi sono. Non posso andare sull’Himalaya, ma siamo in tanti a non poterci andare». Lo si vede, a Venezia, dentro la sua libreria ma anche fuori, con quella sua andatura, i baffoni, il cappellaccio nero, i libri che consiglia, sempre, e che legge, sempre. Perché insieme a Claudio Moretti e Sabina Rizzardi, Flavio è il libraio della «Marco Polo» di campo Santa Margherita: sognante, colta, militante.
L’incontro in treno
È a Venezia, ormai, ma va spesso a Orsago. «Ogni tanto con Maria Teresa vado a vedere la pallavolo a Conegliano, l’Imoco». Lo sport, sì, qualcosa che loro due non hanno potuto fare. Ma che importa. È bello vedere gli altri, emozionarsi per loro.
E poi non è vero che i libri, lo sport, siano poi così distanti; perché sempre c’è la vita, dappertutto. Le difficoltà, la speranza, l’allegria di meritarsi le cose. Gli incontri. «Saranno stati due tre anni fa».
Flavio va verso Bologna per un incontro con un gruppo di lettura. Gli hanno chiesto di parlare di un libro commuovente: «Non andartene docile in quella buona notte», un verso di Dylan Thomas preso a prestito come titolo per un romanzo dello scrittore spagnolo Ricardo Menéndez Salmón; parla della malattia e della morte del padre.
Parte in treno da Venezia e «a Mestre sale una ragazza di un metro e novanta e io mi dico guarda che stanga incredibile». Lei si siede vicino a lui, apre un libro, lui le dice che è un libraio, cominciano a chiacchierare, «io le consiglio sicuramente “Vagabondo delle Stelle” di Jack London, perché lo consiglio a tutti», lui all’inizio non la riconosce, perché lei di solito gioca con i capelli raccolti, mentre quel giorno ha «i capelli sciolti biondissimi», però poi lei gli dice che si chiama Sarah Fahr, che gioca per l’Imoco, e lui le dice che l’ha già vista dagli spalti.
Allora lei si intristisce, si arrabbia, e gli dice che sta andando a Roma perché ha avuto un infortunio, il secondo in poco tempo, «ai crociati o da qualche parte», di quelli che mettono in discussione una carriera, e lei non sa se riuscirà a giocare mai più, se tornerà quella di prima, e si commuove, e fa fatica, gli confessa che sta pensando di lasciar tutto, di smetterla con la pallavolo, che è troppo difficile.
Un racconto di coraggio
Insomma, va a finire che lui le racconta la sua storia, tutta. Tutto il dolore. Tutta la gioia. Dopo un’ora, Flavio scende a Bologna, e le dice solo: «Buona riabilitazione». Sarah Fahr è tornata a giocare, e ha dichiarato più volte che è stato Flavio, il suo racconto, a darle la forza per superare l’infortunio, a farle capire che ce la poteva fare anche lei, che altri avevano avuto sfide ben più difficili; no, lei no, proprio non poteva mollare.
Sarah Fahr, domenica, ha vinto l’oro alle Olimpiadi. Insomma la storia é questa: un libraio incontra una pallavolista che sta per ritirarsi e la convince a non cedere. O forse la storia è un’altra, ancora più profonda. «Mai sarei diventato la persona che sono senza il dolore» le ha detto Flavio, ed è una frase che tutti bisognerebbe ricordarsi, quando il dolore c’è. Flavio ogni tanto sente ancora Sarah, si scrivono. «Non ho visto la finale, perché stavo lavorando in libreria. La semifinale però l’ho vista, ho visto i muri che ha fatto. Mi sono emozionato. Mi sono detto guarda come le funzionano bene le sue gambe».
(da Il Corriere della Sera)
Leave a Reply