FORZA ITALIA ESPLODE SUL SIGNOR NESSUNO: FALCHI SOVRANISTI CONTRO GOVERNISTI MODERATI
ELETTO CAPOGRUPPO UN SODALE DI TAJANI… GELMINI, CARFAGNA E BRUNETTA SU TUTTE LE FURIE: “L’ULTIMA STAGIONE DEL BERLUSCONISMO NON MI RAPPRESENTA”
Quando si sparge la voce, il cortile della Camera diventa tutto un brulicare. “Ma lo sai che viene Silvio?”. “Sì, sì, ci hanno allertato, siamo qui”. Berlusconi è sceso a Roma nella nuova residenza di Villa Grande. Quadrante sud est di Roma, anni luce dai palazzi della politica, intorno il verde del parco dell’Appia antica, a pochi passi il parco della Caffarella, oasi dentro la città in cui sfrecciano i runner e pascolano le pecore. Due gli appuntamenti in agenda: il primo alla Camera per sigillare l’elezione del nuovo capogruppo, e il vertice a tre con Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Quest’ultimo si celebra regolarmente, con tanto di pacchetto di immagini confezionate ad hoc per la stampa che li immortalano a discutere all’ombra dei pini, un festante Dudù a fare da scorta, il barboncino bianco sfavillante del quale il cavaliere diceva che “capisce di più di certi politici”, e chissà se lo ha pensato anche oggi.
C’è di certo che a Montecitorio passano le ore e a un certo punto non si capisce più niente. La presenza del leader inizia a vacillare, “Ma sai, forse alla fine non viene più”. La maggioranza brancola nel buio
Spoiler: alla fine il Cav non verrà. È successo che la solita elezione per acclamazione come da storia di sempre del partito azzurro è diventata una specie di Vietnam. A fronteggiarsi due fazioni, che per brevità si possono dividere nell’ala più sovranista e in quella più governista. “Tajani aveva assicurato a Berlusconi che sul suo nome ci sarebbe stata l’unanimità, doveva solo venire a suggellarlo e a fare un bagno di folla tra i suoi”, dice un deputato. Poi è iniziato a piovere napalm.
Il nome scelto da Tajani è quello di un suo vecchio amico, Paolo Barelli, sodale di lungo corso con il coordinatore del partito dagli anni in cui l’ex vicepresidente del Parlamento europeo era capo di Forza Italia nel Lazio. Una scelta che in molti nel partito hanno considerato troppo schiacciata sulle posizioni degli alleati di Lega e Fratelli d’Italia. Ma soprattutto una scelta imposta dall’alto senza una chiara indicazione del Cav.
L’ala più moderata del partito ha fiutato l’aria. In 26 hanno firmato una lettera durissima: nessuna incoronazione, si voti a scrutinio segreto e vediamo chi la spunta.
L’alfiere doveva essere Sestino Giacomoni, storico collaboratore di Berlusconi. Ma quel che più conta è che in calce vi erano le firme dell’intera delegazione di governo: Mara Carfagna, Mariastella Gelmini e Renato Brunetta.
Una bomba a mano scoppiata tra le dita del Cavaliere. “Senza un’indicazione precisa io Barelli non lo voterò mai”, ringhiava un onorevole. Iniziano ore di trattative frenetiche, Tajani va su e giù da Villa Grande. Raccontano di un Berlusconi infuriato: “Ma come, mi avevate garantito l’unanimità, qui sta esplodendo il gruppo”.
La sfida tra le due anime di Montecitorio riguarda il controllo delle dinamiche che regoleranno l’elezione del presidente della Repubblica. Ma, soprattutto, il capogruppo siederà al tavolo dove verranno scritte le future liste elettorali. Una poltrona ambitissima, perché alla luce della spaccatura a metà del partito e della riduzione del numero dei parlamentari, sarà quel tavolo a dirigere il traffico di chi rientrerà a Palazzo e chi dovrà dire arrivederci.
Si spargono voci di un rinvio, poi Berlusconi sceglie la mossa da fare. In una missiva last minute inviata ai suoi, esplicita di indicare Barelli a successore di Roberto Occhiuto, che lascia dopo l’elezione a presidente della Calabria. I falchi incassano la vittoria, l’ala moderata morde il freno, una deputata dice che “con lui faremo la fine dell’Udc di Cesa”, e meno male che erano alleati.
La rissosità non scema, anzi, ma il dado è tratto. Giacomoni ritira la sua candidatura, Barelli viene eletto, per acclamazione, ovviamente, anche se non è dato sapere quanti fossero gli acclamanti.
Assegnata la poltrona, non si ferma la rissa. Giacomoni rifiuta la poltrona di vice vicario, come aveva proposto Occhiuto cercando una mediazione. Ma sono soprattutto le parole di Gelmini, solitamente molto prudente, a scuotere il partito: “L’ultima stagione del berlusconismo non mi rappresenta e non rappresenta nemmeno lui, noi ministri siamo esclusi dai tavoli con Berlusconi, siamo rappresentati come un corpo estraneo”.
Poi l’accusa più dura ai falchi del partito: “Gli hanno raccontato che ci saremmo venduti e che non siamo più berlusconiani e invece, proprio perché amiamo Forza Italia e non ci rassegniamo al declino che stiamo vivendo o reagiamo adesso o mai più”. Giorgio Mulè le bolla come “parole ingenerose e non veritiere”, nel partito scoppia il caos. Assicurano che la ministra delle Autonomie non se ne vuole andare, che voleva aprire un confronto interno, il solo bisogno di doverlo specificare è paradigmatico del clima interno, con rapporti ai minimi termini.
L’elezione di Barelli chiude forse un capitolo, ma ne apre uno ancora più insidioso. Un deputato influente risponde alla domanda su cosa succeda ora: “Succede che se Berlusconi non riequilibra la gestione valorizzando l’ala moderata aspettatevi tanti franchi tiratori sulla legge elettorale e sul Quirinale”.
(da Huffingtonpost)
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