FEDERAZIONE TRAMONTATA, IMPEGNI MINIMI: IL CENTRODESTRA TROVA UNA FINTA PACE
MELONI E SALVINI RASSICURANO BERLUSCONI PER IL COLLE MA SI NAVIGA A VISTA… LA SINTESI STA NEL DESSERT SERVITO: PERE COTTE NEL VIN BRULE’
E giù chiacchiere in relax, due passi nel giardino, sorrisi, abbracci e persino baci sulle guance. Un video e un comunicato congiunto “bulgaro” mettono divergenze e recriminazioni in freezer fino al voto quirinalizio.
Due ore di pranzo light con Salvini e Meloni a Villa Grande, la ex dimora del regista Zeffirelli sull’Appia oggi residenza romana di Berlusconi, sanciscono nel centrodestra la pace della spigola al forno: incontri settimanali tra i leader “per concordare azioni parlamentari condivise”, “compattezza” sull’elezione del prossimo presidente della Repubblica, “indisponibilità” a cambiare la legge elettorale in senso proporzionale, casomai rafforzare il maggioritario.
Ma non si fa più cenno alla prospettiva della federazione: da un lato non è stato un gran traino, dall’altro meglio non impegnarsi a lungo termine. E neppure ai gruppi unici: ci si consulterà su legge di stabilità, fisco, pensioni, etc, e tanto basta, pazienza se due partiti sono al governo e uno all’opposizione.
Il Cavaliere (con Dudù) accoglie gli alleati, mette da parte i cocci delle amministrative e blinda la coalizione così com’è. Fino a febbraio: quando toccherà con mano la fondatezza o meno dei suoi sogni di succedere al settennato di Mattarella.
Più che pace, una tregua a breve scadenza. Che però Salvini cavalca alla grande: “Il centrodestra sarà compatto e determinante per il Colle, abbiamo 450 voti su mille”. Raccontano che, pallottoliere alla mano, a Berlusconi sia stato giurato che ne mancherebbero appena una trentina all’obiettivo, e che le grandi manovre sono già a buon punto.
Il leader della Lega si prende la scena. Macché uscire dal governo: “Ho due priorità: parlo con Draghi e tengo unito il centrodestra”. Altro che federatori e papi stranieri: la manovra passerà per la cruna dell’ago leghista. Il proporzionale? “E’ il caos”. Al Cavaliere chiede anche un tavolo congiunto dei sei ministri dei due partiti per coordinarsi meglio: praticamente, un commissariamento.
Alla fine il vertice chiesto a tamburo battente dalla leader FdI si è tenuto, ma ha lasciato l’amaro in bocca all’ala governista di Forza Italia e ai centristi del governatore ligure Toti (che infatti commenta sarcastico: “I vertici a tre non risolvono, sulla leadership faranno bim bum bam”). Non è stata issata la bandiera del centro moderato e liberale, non sono arrivate sconfessioni neppure velate della trazione sovranista. Avanti insieme così, cristallizzati nel presente.
Raccontano che a dettare l’agenda di Berlusconi in questo momento sia solo ed esclusivamente il pallottoliere del Quirinale che i due alleati scuotono con sapienza. Per quanto l’ex premier sappia bene che in quel conclave laico tanti sono entrati papi e usciti meno che cardinali, ripete che non ha nulla da perdere a provarci.
Nelle file azzurre governiste spiegano così la “giornataccia”, iniziata con l’inaspettata lettera del leader di designazione del nuovo capogruppo: Paolo Barelli, candidato di Tajani (che ieri sera è spuntato a Villa Grande per perorare la causa) e di Licia Ronzulli. Niente voto segreto – nonostante la richiesta esplicita anche dei ministri – e ritiro dello sfidante Sestino Giacomoni, molto legato al Cavaliere: “La mia candidatura era per unire, sono un moderato per il centro ancorato al centrodestra che deve distinguersi dagli alleati sui temi. Siamo cresciuti per la nostra posizione su Mes, vaccini, green pass. Ora dobbiamo dettare l’agenda su fisco e quota 100”.
E’ la premessa della battaglia che la delegazione ministeriale promette di fare “dentro il partito e non fuori” per “cambiare pelle” a Forza Italia.
Protendersi verso il centro anziché appiattirsi sulla Lega. Ed è il senso dello sfogo della Gelmini davanti ai deputati: “A Berlusconi raccontano solo parte della verità, ci considerano un corpo estraneo, Tajani ha un pò abbandonato la linea moderata ed europeista e la cultura di governo”. E ancora: “Dobbiamo reagire al declino, gli alleati hanno sbagliato le candidature”.
Un putiferio da cui il capo si è tenuto alla larga. Due linee unite sul sostegno a Silvio per il Colle, ma per il resto ai blocchi di partenza della sfida per la prossima legislatura. Dalle liste alla collocazione. “Adesso sul tavolo c’è solo il maggioritario, c’è solo questo centrodestra – pronostica una deputata – Ma un minuto dopo l’elezione del prossimo capo dello Stato lo schema potrebbe ribaltarsi completamente”.
Come, nessuno lo sa. Ma i più maligni hanno sottolineato il dessert servito dai cuochi berlusconiani a Villa Grande: pere cotte a lungo nel vin brulé.
(da Huffingtonpost)
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