FORZA ITALIA, LA DOPPIA SCISSIONE DI BERLUSCONI: CON IL GOVERNO E CON ALFANO
MA ANGELINO TEMPOREGGIA
È quando Silvio Berlusconi si presenta in conferenza stampa che prende forma la doppia scissione che si è consumata nel giorno più drammatico per il Pdl. ù
Con le colombe di Angelino Alfano. Ma anche col governo Letta.
Dopo la lettura del documento approvato dall’ufficio di presidenza, bulgaro nello stile, il Cavaliere, col ghigno di sente di aver stravinto, agita lo scalpo di Alfano: “Con la deliberazione di oggi siamo tornati pienamente allo statuto di Fi che assegna al presidente il diritto-dovere di delegare le funzioni e tutti coloro che oggi esercitano delle funzioni vi hanno praticamente rinunciato”.
Azzerati tutti, segretari, coordinatori e delfini.
Col lancio di Forza Italia si torna al “partito del presidente”. Punto.
Ed è con un ghigno altrettanto bellicoso che l’ex premier annuncia la dead line, oltre la quale toglierà il sostegno al governo: “Sarà molto difficile continuare a collaborare con una parte politica che sulla decadenza opera fuori dalla legge”.
Parole che rendono puramente di circostanza ogni assicurazione che il governo andrà avanti, grazie alla fiducia riconfermata a parole nel documento ufficiale.
Anzi si capisce che, da subito, il tasso di conflittualità è destinato ad aumentare: “Il Pdl si batterà per il rilancio dell’economia sulla base del suo programma elettorale”.
È l’annuncio che riprenderà , più forte, la conflittualità su ogni provvedimento che riguardi le tasse, il fisco, a partire dalla legge di stabilità .
Per la prima volta, in versione partitista ora che il partito è tornato più padronale, l’ex premier fa capire che lo strappo consumato è irreversibile: “Ho ribadito la mia fiducia ai ministri ma se si mantengono nell’ambito delle decisioni che vengono prese a maggioranza nel partito”.
Eccola, la doppia scissione. Con Alfano e col governo.
Per Berlusconi il voto di fiducia del 2 ottobre è ormai carta straccia. È la decadenza la dead line dell’esecutivo.
E non è un caso che il piano che ha discusso con i suoi legali preveda l’accettazione del voto palese: “Voglio vedere chi si alza in piedi e vota contro”.
Per questo il Cavaliere resiste all’assedio delle colombe. Tiene il punto. Tira dritto di fronte alla richiesta di far saltare l’ufficio di presidenza.
Lo strappo con Angelino si consuma nel corso di un vertice tesissimo di quattro ore. Presenti anche i ministri.
Per la prima volta i due si parlano con sospetto e diffidenza. Berlusconi rifiuta l’ultima offerta: una separazione consensuale tra un partito berlusconiano e uno “diversamente berlusconiano”, ma comunque alleati.
Parole che il Cavaliere considera proprie di un traditore, a cui — non a caso — regala il primo graffio con un riferimento all’ambizione nel corso della conferenza stampa.
Nè i toni paternalistici verso Angelino (“Con Alfano tutto risolto, lavoreremo insieme”) possono essere classificati alla voce: segnale di pace.
Rappresentano piuttosto una mossa preparatoria in attesa di una scissione che sembra annunciata.
Perchè — è convinzione del Cavaliere — Alfano ha stretto un patto con Letta, benedetto da Napolitano.
E, attorno, le colombe lo stanno incitando alla rottura: Quagliariello, Cicchitto, Lorenzin esercitano ormai quasi una pressione psicologica su Angelino: “Ormai è una questione di dignità . Rompi”.
Anche perchè aspettare il consiglio nazionale dell’8 dicembre — che dovrebbe ratificare con un voto il passaggio a Forza Italia — potrebbe essere inutile.
Alfano sa di aver già perso. Per stoppare l’operazione ha provato ha raccogliere le firme tra i membri del consiglio, prima dell’ufficio di presidenza. Ma è andata male. Solo qualche decina si è schierata con lui: il grosso dei membri, anche di quelli legati al segretario gli hanno risposto che è una follia fare un documento di contrarietà al passaggio a Forza Italia con Berlusconi presidente.
E poi, e non è affatto un dettaglio, il consiglio nazionale si svolgerà , se si svolgerà , dopo il voto al Senato sulla decadenza. Quando cioè rischia di essere inutile.
Angelino è frastornato, non vuole rompere. E Berlusconi non ha intenzione di cacciarlo, a patto che però di riallinei.
Ma lo strappo che si è consumato è assai profondo.
Nel corso dell’ufficio di presidenza a palazzo Grazioli Alfano è stato aggetto di una raffica di critiche: Matteoli, Vito, Scajola (molto apprezzato il suo intervento), Brunetta.
Tutti hanno sottolineato che era inaccettabile l’assenza del segretario (e del capogruppo al Senato) dal più importante organismo del partito in un momento così delicato.
Così come è inaccettabile la linea subalterna alla sinistra che il segretario-vicepremier ha portato avanti.
Adesso Alfano non è più segretario. Sulla decadenza si gioca la sua permanenza da vicepremier.
La scissione è nei fatti. Doppia.
(da “Huffingtonpost“)
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