GELSOMINI CALPESTATI: GIOVANI IN FUGA DALLE TRE PIAGHE DELLA TUNISIA
INSTABILITA’ PERMANENTE, DISOCCUPAZIONE E CRISI DA COVID SI ABBATTONO SU UN PAESE AL COLLASSO ECONOMICO… DODICESINO GOVERNO IN DIECI ANNI
Economia stagnante, alti tassi di disoccupazione, confini roventi — da un lato la Libia, in guerra permanente; dall’altro l’Algeria, off-limits per via dei contagi di Covid-19 che continuano a salire.
La Tunisia è il primo Paese di provenienza dei migranti sbarcati illegalmente in Italia, pari al 35 per cento delle nazionalità dichiarate.
È un Paese in cerca di stabilità da quasi 10 anni, che dalla Rivoluzione dei Gelsomini ad oggi ha cambiato ben 11 governi e ora si appresta a formarne uno nuovo.
È un Paese da cui sempre più giovani — spesso istruiti e frustrati da un futuro impossibile — scelgono di fuggire. Lampedusa è vicina e con lei l’azzardo del sogno europeo.
La crisi legata al Covid ha aggravato una situazione già complessa. Non ci sono ancora dati ufficiali, ma il tonfo del turismo a causa delle limitazioni imposte dalla pandemia sarà di quelli sordi e spietati: si teme un calo fino al 70% per uno dei pochi settori che portava ossigeno a un’economia in affanno.
Sul fronte politico, da ieri la Tunisia ha un nuovo premier incaricato, Hichem Mechichi, ministro dell’Interno del governo dimissionario di Elyes Fakhfakh. Al 46enne, giurista di formazione, uomo dell’amministrazione statale, spetta ora la sfida di far convergere intorno alla sua squadra il maggior numero di consensi per poter avere la fiducia in Parlamento. Ha 30 giorni di tempo per formare il nuovo esecutivo.
“Il presidente della Repubblica mi ha incaricato di formare il prossimo governo. Lo ringrazio per la sua fiducia. In realtà , questa fiducia è una grande responsabilità e un’importante sfida, soprattutto nella situazione attuale del Paese. Mi adopererò per formare un governo che possa rispondere alle aspirazioni di tutti i tunisini e alle loro rivendicazioni legittime tanto attese”, ha dichiarato subito dopo aver ricevuto l’incarico dal presidente Kaies Saied.
Il quadro politico è caratterizzato da forti divisioni, ed è anche per questo che la scelta è ricaduta su Mechichi, considerato un indipendente.
Gli occhi sono puntati sulle prossime mosse del partito islamico Ennhadha, prima forza politica in Parlamento, che con il suo abbandono della coalizione ha causato di fatto la caduta del governo del premier Fakhfakh, spinto alle dimissioni anche per il suo coinvolgimento in un caso di presunto conflitto di interessi.
“Il premier incaricato Mechichi dovrà riuscire a formare una nuova coalizione. Probabilmente, visto il calo nei sondaggi dei partiti finora al governo a favore dei nostalgici del regime di Ben Alì, non si arriverà a nuove elezioni ma si troverà un compromesso per appoggiare il nuovo governo”, osserva Fabio Frettoli, analista politico su questioni nordafricane, autore di una recente analisi sulla “Tunisia in cerca di stabilità ” per Ispi, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale.
“Dal 2011 in poi, se da un lato il Paese è migliorato dal punto di vista della democrazia interna, tutta la questione economica è andata sempre di più ad aggravarsi. Il debito interno è aumentato e soprattutto nelle zone interne per la popolazione è difficile raggiungere standard di vita decenti. È un problema che va a toccare soprattutto i cittadini più giovani, quelli che naturalmente tendono di più ad emigrare”, prosegue l’analista.
“Oggi, per i giovani tunisini, è sempre più difficile mettere su famiglia e coltivare un progetto di vita”, osserva Frettoli.
“Nel sud del Paese ci sono state anche recentemente, a fine giugno, nuove proteste per la mancanza di lavoro. In città come Kasserine, Qairouan e Sidi Bouzid, la città da cui partirono le proteste del 2011, oltre il 30% della popolazione vive in povertà ”.
Con il tempo si sta inceppando il meccanismo che spingeva la popolazione delle zone interne, storicamente più povere, a trovare delle opportunità sulle coste. Ora la situazione è satura anche lì e la via del mare — malgrado la minaccia di essere rimpatriati — ha visto rafforzato il suo richiamo.
La Tunisia è uno dei pochi Paesi con cui l’Italia ha accordi di rimpatrio — gli ultimi sono fermi all’intesa siglata dall’ex ministro degli Interni Angelino Alfano.
Sul funzionamento di questi accordi sono stati sollevati dubbi in passato, anche da parte del deputato tunisino di Ennhadha Oussama Sghaier.
Il conflitto regionale in corso in Libia, del resto, destabilizza anche la Tunisia che è oggetto di ingerenze esterne sempre più manifeste, al punto che il presidente Saied ha pubblicamente parlato di “complotto straniero” ordito da “alcuni partiti politici” in quello che è sembrato un riferimento al partito islamico Ennhadha, considerato vicino alle istanze dei Fratelli musulmani al potere in Turchia, in Qatar e nel governo di accordo nazionale (Gna) con sede a Tripoli.
“Storicamente, prima del conflitto, la Libia è sempre stata una valvola di sfogo per la manodopera tunisina. Con lo scoppio della guerra, questa valvola di sfogo alimentata dal petrolio è venuta completamente meno, e con essa altri scambi commerciali tra i due Paesi”, spiega Frettoli. “Sull’altro confine, l’Algeria sta assistendo a un aumento di casi di Covid-19 molto marcato, il che riduce ancora di più lo scambio di merci e persone”.
In queste condizioni, migliaia di tunisini scelgono la via della fuga via mare. Secondo Ispi, si stima che approssimativamente 95.000 persone abbiano lasciato la Tunisia dall’inizio delle proteste a oggi, l’84% delle quali con un alto livello di educazione. Secondo fonti del Viminale citate dalla Stampa, “c’è il rischio di un esodo tale da ricordare quello dall’Albania del 1991, un problema serissimo da affrontare a livello di governo”.
Per Frettoli, tuttavia, “non siamo di fronte a un livello di crisi delle strutture governative pari a quello verificatosi in Albania che possa giustificare questo tipo di allarme”. Di sicuro c’è l’intenzione di rafforzare il dialogo con un interlocutore che, malgrado le incertezze, è chiaramente più stabile rispetto alle autorità libiche. Come dire: meglio serrare i ranghi dove si può, vista l’ingovernabilità della vicina Libia.
(da agenzie)
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