GIORGIA MELONI È ACCERCHIATA: DA UN LATO C’È LO SCAZZO IN ATTO CON FORZA ITALIA PER LA QUESTIONE GIAMBRUNO, DALL’ALTRO SALVINI CHE HA RICOMINCIATO LA STRATEGIA DEL LOGORAMENTO SULLA MANOVRA
IL TUTTO, MENTRE AL CONSIGLIO EUROPEO DOVRÀ SPIEGARE AI LEADER COSA FARÀ CON IL MES
Arriva a Bruxelles senza nessuna voglia di parlare della manovra. È infuriata. Condensa la rabbia per l’atteggiamento degli alleati, consegnando ai suoi un concetto che suona così: «Sembra quasi un agguato politico». Pesa soprattutto la tempistica degli attacchi delle ultime ore, prima ancora del merito.
Perché le richieste di modificare una legge di bilancio che doveva essere “blindata” arrivano appena l’aereo presidenziale decolla da Ciampino. Di fronte all’Europa che deve giudicare la serietà della finanziaria. A partner con cui deve trattare il Patto di stabilità. E al cospetto dei mercati che da settimane si agitano per i titoli di Stato.
“Slealtà”: ecco l’altro sentimento confidato in privato. Anche perché le critiche l’hanno colpita nel momento di massima difficoltà personale. Prima di entrare nel salone del Consiglio europeo, legge le ultime agenzie. Attacchi, ancora attacchi, anche da Forza Italia. Deve lasciare il cellulare fuori, durante il summit funziona così.
In alcuni momenti, però, lascia la riunione per fare il punto con le sentinelle che presidiano Palazzo Chigi. Indica la linea, dopo rapida consultazione con Giancarlo Giorgetti: «Soltanto minimi aggiustamenti, a saldi invariati ». Qualcosa sulle pensioni, ma molto meno di quanto chiedeva Salvini.
Una formale e pasticciata retromarcia sul prelievo forzoso dai conti correnti, più che altro per ridurre l’impatto devastante di una notizia che in mezza giornata allarma l’elettorato di destra. Anche perché cedere troppo significherebbe accettare la logica della slavina: più arretri, più chiederanno.
La verità è che è ripresa la campagna di logoramento, che si era interrotta da qualche settimana, subito dopo gli attacchi contro Israele. Non è un caso, allora, che il contatto più aspro sia quello con Matteo Salvini. Fin dal mattino, due fedelissimi del segretario del Carroccio come Riccardo Molinari e Andrea Crippa si accaniscono contro la manovra, passandosi il testimone.
A un certo punto, la premier decide di chiarire all’alleato il metodo: «Sulla legge di bilancio non si scherza Già è difficile spiegare agli italiani le scelte che abbiamo dovuto assumere, certo non c’è spazio per polemiche ». Se non si arresta subito la guerriglia, è il senso del messaggio, «sarà la Lega a spiegare la manovra agli italiani». Come a dire: questo è il nostro testo, su questo mettiamo la faccia, fuori da questo schema c’è soltanto la crisi della maggioranza.
A dire il vero, la presidente del Consiglio non è sorpresa dall’atteggiamento di Salvini. A Palazzo Chigi pensano che sia deluso per quanto ottenuto per il Ponte sullo Stretto. Irritato per alcune resistenze del Tesoro sul dossier. Meloni pensa che il suo vice voglia incunearsi nel rapporto tra lei e Giancarlo Giorgetti, mettere pressione, costringere il titolare del Tesoro a schierarsi contro via Bellerio.
E poi ci sono i dettagli: già l’altro ieri, il vicepremier aveva disertato l’intervento di Meloni alle Camere, ufficialmente per un impegno istituzionale. La circostanza non è passata inosservata a Palazzo Chigi.
Senza contare che negli ultimi giorni – quelli durissimi della separazione da Andrea Giambruno – il responsabile dei Trasporti non ha mai pubblicamente contestato l’accordo sulla finanziaria. L’aveva anzi “blindata” in conferenza stampa. Fino ad alcune modifiche che adesso proverà a rivendersi.
Una strategia. Sa che i leader vogliono logorarla e lasciarle l’onere di una manovra austera. E nel frattempo la colpiscono sul terreno su cui meglio si è mossa, quello internazionale. Criticandola durante una missione all’estero. Sono segnali che di solito preludono a guai peggiori, che anticipano la fine di un esecutivo: accadde a Silvio Berlusconi, a Matteo Renzi, a Enrico Letta.
Ma anche a Giuseppe Conte e, per ultimo, a Mario Draghi. Anche per questo Meloni, che si sente forte di un consenso personale ancora alto, non ha voglia di concedere altro terreno all’alleato leghista. Non permetterà di cambiare ancora la manovra. E se l’assalto dovesse continuare, si spingerebbe fino a denunciare la violazione dei patti politici assunti e a minacciare una vera e propria crisi.
(da La Repubblica)
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