GLI ULTIMI DI AMATRICE, A COSSATO SI VIVE ANCORA NEI CONTAINER: LA STORIA DI GIOVANNI IN UNA STANZA GELATA DI 8 MQ
“LA NOTTE DI NATALE? DORMIAMO, E’ UNA NOTTE COME UN’ALTRA”
Tutte le sere, da un container di otto metri quadri, Giovanni guarda casa sua dall’altra parte della vallata di Amatrice e spera di tornarci.
A Cossito, frazione del borgo distrutto dal terremoto del 24 agosto, si vive nei prefabbricati, se fa freddo le pareti si gelano e se nevica bisogna dare spallate alla porta per riuscire ad aprirla: “Qui ci siamo noi: gli ‘scordati’. Quelli che ancora, dopo più di un anno, non hanno ricevuto la casetta provvisoria”.
Giovanni Nibbi, una settantina d’anni, è tra gli ultimi dell’elenco, tra coloro che trascorreranno il secondo inverno in queste strutture chiamate “moduli”.
La scritta “Campo Cossito” scolpita nel legno è come fosse un portone d’ingresso, ma nel buio della sera neanche si vede.
In questo spiazzo tra le montagne, dove si arriva passando tra cumuli di macerie di case distrutte, c’è un albero pieno di luci: “Che faremo la notte di Natale? Niente, andremo a dormire, come tutte le altre notti”.
A dormire in una stanzetta dove c’è spazio appena per due letti singoli, qualche scaffale, una luce per leggere e una stufetta: “Ma se la spegni anche solo per cinque minuti si muore di freddo, non resisti qua dentro. E l’acqua calda? Dobbiamo sempre lasciare che ne scorra un filo altrimenti si ghiacciano i tubi”.
Giovanni è stanco, vive con la moglie e passeggia tra i container e le roulotte dove dormono altre quattro persone.
La piccola comunità di ciò che è rimasto della frazione di Cossito è tutta qui, ma sparse per il cratere ci sono tante altre famiglie che vivono ancora nei prefabbricati.
“I lavori per le nostre casette sono iniziati da poco, non potevano cominciarli prima? Ci vorranno almeno due mesi per completarli, ma tra neve e ghiaccio non so se riusciranno”, racconta ancora Giovanni, giacca a vento e berretto in testa: “Andiamo nel nostro salone, che qui fuori fa troppo freddo”.
Il salone è una struttura in legno, regalata dai volontari del Trentino.
C’è una cucina comune, frigoriferi comuni, un tavolo, qualche panca per sedersi e un cuore attaccato alla parete con ricamata la scritta “Campo Cossito”.
Il punto più confortevole è quello attorno alla stufa: “Questa l’abbiamo comprata con i nostri soldi. Non è triste il terremoto, una settimana ed è passato. È triste la burocrazia, qui non viene nessuno a chiederci se abbiamo bisogno di qualcosa. Facciamo tutto da soli”.
Con le pale e un piccolo trattore viene spazzata via le neve, per esempio: “Ma in fondo non si sta poi così male, ci siamo abituati”.
Si vive di abitudini, come quella che ha Giovanni di andare tutti i pomeriggi verso casa sua dall’altra parte della collina: “Accendo le luci, così quando torno qui, nel container, posso guardarla da lontano come se fosse abitata. La mattina dopo vado di nuovo e le spengo. Non possiamo vivere lì perchè è pericolante, chissà quando la sistemeranno, forse mai”.
I cani iniziano ad abbaiare: “Eh sì, l’altra sera sono arrivati i cinghiali”.
Giovanni si sdraia nel suo lettino attaccato alla parete, la tocca: “Non c’è niente da fare, è sempre fredda”.
E inizia a leggere Tex, il fumetto: “Quando andate via, chiudete la porta, per favore”. Attorno a questo container, due metri per quattro, quando scende la sera solo neve e lastre di ghiaccio.
(da “Huffingtonpost”)
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