IL GIUDICE APRE AI CLANDESTINI SE SONO MINORI E FIGLI DI REGOLARI
SENTENZA DELLA CASSAZIONE STABILISCE CHE A UN IMMIGRATO E’ CONCESSO DI FAR ENTRARE CLANDESTINAMENTE I FIGLI PER “NON ABBANDONARLI NEL PAESE DI ORIGINE”… LO STATO DI NECESSITA’ FAREBBE VENIR MENO LA CLENDESTINITA’ DEL MINORENNE… SONO 70.000 IN ITALIA I FIGLI DI IMMIGRATI CLANDESTINI
Mentre in Senato si discute del reato di clandestinità , un primo paletto è stato messo dalla Corte di Cassazione pochi giorni fa.
I giudici della Suprema Corte hanno, infatti, stabilito con sentenza che a un immigrato è concesso di far entrare clandestinamente nel nostro Paese i figli per “non abbandonarli nel Paese di origine”. Verrebbe meno in sostanza la clandestinità del minorenne, se il suo ingresso fosse dettato da uno “stato di necessità “.
All’origine della sentenza di piazza Cavour è una storia umana su cui i giudici si sono arrovellati. Ilco R., un lavoratore macedone, immigrato regolarmente e con un lavoro stabile in Italia, nel 2007 era riuscito a portare con sè la moglie e un figlio. Per loro, aveva ottenuto un ricongiungimento che però non comprendeva l’ingresso dell’altra figlia di soli dodici anni.
Il padre ha portato con sè anche lei, altrimenti avrebbe dovuto abbandonarla nel Paese di origine. Questa decisione aveva determinato una denuncia a carico di Ilco, con l’accusa di favoreggiamento dell’ingresso clandestino.
Il tribunale di Trieste, a dicembre del 2007, aveva deciso per la piena assoluzione, non considerando il gesto del macedone come reato. Ma quell’assoluzione non è andata giù ai pm del capoluogo friulano.
Contro l’assoluzione, la Procura di Trieste ha fatto ricorso in Cassazione lamentando la “carenza dello stato di necessità ” da parte di Ilco R., sulla base del fatto che il padre avrebbe potuto abbandonare il lavoro in Italia e cogliere “le opportunità dell’espansione dell’economia macedone” per non abbandonare la figlia.
Una considerazione che la Cassazione non ha ritenuto molto valida.
Anzi, la Suprema Corte, proprio in base alle “opportunità dell’espansione dell’economia macedone” utilizzate dai magistrati per portare Ilco alla condanna, ha parlato addirittura di una congettura da parte del magistrato che chiedeva la condanna.
Nella sentenza si legge che “il magistrato affida la sua censura a considerazioni meramente congetturali, afferenti improbabili o evanescenti scelte alternative di Ilco R., la cui valutazione non può avere ingresso in questa sede”.
Ovviamente la sentenza ha generato commenti diversi da parte del mondo politico: dal centrodestra si sostiene che “troppo spesso le decisioni del Parlamento vengono vanificate dalle sentenze della Cassazione”, altri la ritengono “sconcertante”, da sinistra si invita a “un maggiore rispetto nei confronti della Cassazione che è fonte di legalità “.
Tutto questo in un contesto che vede fissato in un numero di circa 70.000 i figli di immigrati clandestini in Italia.
Poi occorre stabilire come si debbano definire una volta per tutte i clandestini che lavorano in nero, altra cosa da chi delinque. Se non si fissa un punto fermo e da lì si riparte non se ne esce.
La politica dei flussi ha fallito e occorre stabilire nuove regole che non diano adito a interpretazioni contraddittorie. Altrimenti assisteremo in eterno al gioco delle parti tra chi lamenta la presenza di troppi immigrati e chi poi tacitamente li utilizza per lavori in nero.
Tanto vale regolarizzare chi lavora e poi fissare criteri rigidi.
Si ha la sensazione che questa situazione ibrida convenga un po’ troppo a tutti, sia a chi può cosi gridare allo straniero clandestino sia a chi conviene la presenza di manodopera a basso costo.
Leave a Reply