IL GOVERNO, IN PIENA SINDROME DA ACCERCHIAMENTO, PERDE LA TESTA PER UNO SPIFFERO
DUE GIORNATE SURREALI A SCAMBIARE LA NORMALITA’ PER UN COMPLOTTO DELLA MAGISTRATURA
La differenza fra destra e sinistra, scrisse tempo fa Giuliano Ferrara, è che la sinistra a tavola sa usare le posate. Ma qui non siamo nemmeno più ai gomiti sul tavolo, siamo alla carne cruda presa con le mani e staccata a morsi: la frase attribuita a Giorgia Meloni – “non finirò come Berlusconi” – e qualche nostalgico commento giornalistico sul ritorno del berlusconismo, non stanno davvero in piedi.
Silvio Berlusconi s’era ritrovato con addosso decine di inchieste, in cui l’indagato era lui, e per imputazioni di stragismo mafioso, prostituzione minorile, corruzione di stampo sudamericano, e avviate da potenze nucleari come le procure di Milano e Palermo, allora sacre e intoccabili e sostenute da un’opposizione di sinistra devota alle manette, e guidata da gente di stoffa.
Perdere la testa per uno spiffero del Domani sull’indagine a carico di Daniela Santanchè e per una normale dialettica procedurale fra un pm e un gip a proposito del sottosegretario Andrea Delmastro, è roba da unni impegnati nel sacco delle istituzioni.
Lo ha spiegato benissimo su Linkiesta il giurista Cataldo Intrieri: le due storie nulla hanno a che vedere col garantismo ma sono indiscutibilmente politich
e. E cioè: una ministra accusata dai dipendenti di non aver pagato le liquidazioni e che dichiarava illiberale il green pass e fallimentari le politiche anti covid, ma ne intascava i sussidi, al governo porta più danno o beneficio? Questa è l’unica domanda.
Come osserva Intrieri, magari Santanchè ha commesso un reato o magari no, ma chi se ne importa? Si vedrà. Ora serve una valutazione politica e soltanto politica.
Né c’entra il garantismo con Delmastro, accusato di aver rifilato a Giovanni Donzelli, perché le leggesse alla Camera, carte segrete prese al ministero della Giustizia. La difesa di Delmastro insiste sul punto dell’inconsapevolezza: non sapevo fossero inutilizzabili. Caso magnifico. Se è davvero così, dunque è innocente, politicamente è colpevole il triplo: che ce ne facciamo di un sottosegretario alla Giustizia incapace di distinguere un documento riservato da uno pubblico?
Ed è andata che il pm propendesse per la spiegazione dell’indagato e il giudice delle indagini preliminari no, e tanto è bastato perché a Meloni balenasse l’idea da baby gang di far circolare informalmente l’intenzione ritorsiva, emersa in un Consiglio dei ministri digrignante, di accelerare con la separazione delle carriere (per di più in reazione a uno dei rari casi in cui pm e gip le carriere se le erano separate da soli).
Poi oggi è arrivato Ignazio La Russa, presidente del Senato momentaneamente restituito al mestiere di avvocato in difesa del figlio, denunciato per stupro, e assolto dopo domestica istruttoria, da cui è invece emersa la responsabilità della stuprata poco di buono. Praticamente la crapula a mani nude e bocca grondante si è conclusa col rutto libero della nostra seconda carica dello Stato, tipo Fantozzi gonfio di acqua Bertier.
Che cosa abbiano in testa costoro, è un enigma. Da quali spettri siano abitati, per vivere in una perenne sindrome di accerchiamento, come fossero ancora nella ridotta di Valtellina col nemico alle costole. L’opposizione è armata di poche fionde e scarsa mira, la magistratura è fiaccata da anni di trincea culminati negli scandali di Luca Palamara e colleghi, nello sfacelo delle inchieste milanesi contro l’Eni e a sospetto di contraffazione, nella condanna di primo grado al totem di Mani pulite Piercamillo Davigo, comunque dal disincanto del popolo linciante e inneggiante di trent’anni fa, quando ci eravamo illusi che le retate di democristiani e socialisti avrebbero purificato l’anima del paese.
Doveva essere il tempo della concordia per spuntare qualche riforma indispensabile dopo tre decenni di sottomissione della politica alla giustizia, una volta per viltà e l’altra per opportunismo, e invece niente cambia in questo campionario del tracollo: ancora qualche giorno fa, all’ennesima inchiesta rifilata a Mario Oliveiro (ex parlamentare, ex presidente della provincia di Cosenza, ex presidente della Calabria, Pd), dopo una sequela di assoluzioni, archiviazioni e richieste d’arresto respinte, il Pd non ha avuto quei dieci grammi di fegato per dire ora basta, e l’incantevole Roberto Occhiuto si è precipitato a ringraziare il procuratore Nicola Gratteri. Occhiuto, Forza Italia, il partito dei garantisti.
Così a questi di destra gli riesce il capolavoro di fraintendere il garantismo, come gli succede dall’altro millennio, perché garantisti non sono, di rianimare il residuo di manettarismo, di trasformare i progetti di riforma in operazioni militari speciali, cioè di buttare tutto in vacca: vivono ogni relazione istituzionale come una lotta nel fango e scambiano un editoriale di gazzetta per un complotto rettiliano ordito da George Soros e affiliati, e nemmeno si accorgono che il complotto se lo stanno facendo da soli.
(da Huffingtonpost)
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