“IL GOVERNO ITALIANO HA MINACCIATO PANAMA DI CHIUDERE I SUOI PORTI A TUTTE LE NAVI PANAMENSI, HO LA MAIL CHE LO PROVA”: L’ACCUSA DELL’ARMATORE DELL’AQUARIUS
LA MAGISTRATURA ITALIANA HA IL DOVERE DI INDAGARE SULLE GRAVI AFFERMAZIONI DI CHRISTOPH HEMPEL E DI DENUNCIARE I RESPONSABILI
Il governo italiano avrebbe minacciato Panama di non far entrare nei suoi porti nessuna nave panamense se non fosse stata ritirata la bandiera alla Aquarius.
E’ la pesante accusa mossa dall’armatore della nave Christoph Hempel, titolare della Jasmund shipping di Brema, che ha noleggiato la nave a Sos Mediterranee e Msf
In una intervista a Euronews, Hempel ricostruisce così la vicenda: ” Mi è arrivata all’improvviso una email che mi informava che l’Aquarius doveva essere rimossa dal registro di Panama poichè i loro interessi nazionali erano a rischio sotto la pressione del governo italiano, L’Italia minaccia infatti che tutte le navi battenti bandiera di Panama non saranno autorizzate ad entrare nei porti italiani”.
L’armatore della nave fa sapere di aver chiesto alla Germania di poter iscrivere la nave nel suo registro.
Dopo l’accordo raggiunto ieri tra Francia, Spagna, Portogallo e Germania, la Aquarius è ancora in alto mare. Le operazioni di trasbordo dei 58 migranti salvati su una motovedetta che dovrà sbarcarli nel porto di La Valletta sono rese impossibili dalle condizioni meteo e Malta ha condizionato il suo assenso alla garanzia che il trasbordo avvenga in acque internazionali e che i 58 migranti siano immediatamente trasferiti nei quattro Paesi che hanno dato la loro disponibilità .
Tra i migranti a bordo ci sono anche alcune famiglie della classe media libica fuggiti perchè non si sentono più sicuri.
Sono partiti portandosi dietro bagagli e addirittura il cane.
Aloys Vimard, responsabile a bordo dell’Aquarius di Medici Senza Frontiere, dice: “Vedere così tanti bambini, bagagli e anche un cane ci ha colpito molto”. Tra loro, anche Malak, la signora libica di 44 anni, con 5 figli, fratello, ed il cane Bella al seguito.
Ad indurla a fuggire, è stato il rapimento – un mese fa, a Tripoli, del marito che “lavora nel commercio alimentare” e “ha i soldi”, racconta a Le Monde.
Per accedere alla barca in legno, domenica scorsa, ha sborsato l’equivalente di 5000-6000 euro. “Non si poteva viaggiare in modo totalmente improvvisato”, gli fa eco Ibissem, quarantenne libica partita con marito e due figli.
Modellista per una società italiana di costumi da bagno e intimo, ha lasciato tutto anche lei dopo il rapimento di un figlio, poi liberato dietro lauto riscatto.
“In Libia – deplora – siamo morti che respirano. Dovevamo partire, non c’era altra opzione”.
Per l’Onu 5.000 famiglie hanno dovuto lasciare le proprie case a Tripoli dall’inizio degli scontri di fine agosto.
(da Globalist)
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