IL MAGISTRATO AYALA, AMICO DI FALCONE : “BRUSCA E’ DISGUSTOSO MA CON QUELLA LEGGE LO STATO CI GUADAGNA”
“L’HA VOLUTA FALCONE, CHI GRIDA ‘VERGOGNA’ CERCA FACILE CONSENSO”
“Da un punto di vista personale provo disgusto per questa persona che non riesco a chiamare neanche bestia, per rispetto agli animali. Poi però, se mi spoglio di questo aspetto, non posso non sottolineare che la legge sulla collaborazione dei mafiosi ha portato vantaggi allo Stato”.
La normativa di cui parla Giuseppe Ayala, magistrato che fu pubblico ministero al maxiprocesso di Palermo, è quella che fu fortemente voluta da Giovanni Falcone, di cui Ayala era amico. Così come lo era di Paolo Borsellino.
Si tratta di una legge – “definiamola cinica, opportunistica, se vogliamo”, dice l’ex magistrato – che consente ai mafiosi che collaborano con la giustizia di ottenere dei benefici. Degli sconti di pena, come nel caso di Giovanni Brusca, che ha lasciato il carcere ieri. E Ayala – che tolse la toga poco prima degli omicidi di Falcone e Borsellino perché eletto in Parlamento, per poi rimetterla anni dopo, a L’Aquila – all’indomani della scarcerazione del killer che azionò il telecomando della strage di Capaci, dell’assassino che non si fece scrupolo di ammazzare un ragazzino, Giuseppe Di Matteo, perché suo padre aveva parlato con la giustizia, parlando con HuffPost guarda ai fatti con la lucidità di chi riesce a separare l’aspetto emotivo da quello razionale. Il primo non viene sopito, né scalfito dal tempo.
Solo chi ha vissuto in prima persona gli anni più difficili della lotta alla mafia, chi ha dovuto piangere davanti a corpi di amici e colleghi, può capire perché.
Il secondo aspetto, però, aiuta a rimettere in fila i fatti, ciò che è successo dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio. E, lontano dalla retorica acchiappa like di chi urla allo scandalo, spiega perché la legislazione fortemente voluta da Falcone sia stata fondamentale nella lotta alla mafia. Anche a costo di rimettere in libertà – in ogni caso dopo decenni – un criminale efferato come è stato Brusca.
Dottor Ayala, ieri sera Giovanni Brusca ha lasciato il carcere di Rebibbia. Uscito per fine pena, lo aspettano anni di libertà vigilata. Qual è stata la sua reazione alla notizia?
Non posso non distinguere lo stato d’animo personale dal resto. Ecco, da un punto di vista emotivo io per questa persona provo e ho provato profondo disgusto. È il soggetto – e mi arrabbio anche quando lo chiamano bestia, perché mancano di rispetto agli animali – che ha ucciso Giovanni, la moglie, Rocco Dicillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro, giovane poliziotto della scorta con cui avevo un bellissimo rapporto. Non posso mettere da parte l’emotività, credo sia comprensibile.
Lo è. Giovanni Falcone era suo amico, oltre che collega. Provare ancora rabbia per la sua morte è più che normale, soprattutto dalla sua posizione. Provando, però, ad andare oltre l’aspetto più umano, personale, Brusca è stato scarcerato in funzione di una legge, quella sui collaboratori di giustizia.
Una legge voluta da noi, da Falcone soprattutto. La normativa sulla collaborazione può essere considerata cinica, opportunistica, ma ha portato grossi risultati. Volendo ragionare su un piano di costi e ricavi possiamo pensare che il costo è il riacquisto della libertà da parte di un criminale, ma il ricavo – per lo Stato – è un grosso vantaggio processuale. Ecco, in termini molto pragmatici, possiamo dire che questa legislazione ha portato dei ricavi notevolmente superiori ai costi.
Un ragionamento in termini opportunistici probabilmente viene fatto anche da chi sceglie di collaborare, proprio perché ottiene “in cambio” benefici penitenziari.
Certo, opportunismo è il termine giusto. Io chiamo i soggetti che decidono di parlare con gli inquirenti sempre collaboratori di giustizia e mai pentiti. Non sono pentiti affatto, nella mia vita io credo di averne conosciuto uno solo di mafioso che ha collaborato perché davvero pentito.
Non possiamo sapere se Brusca si sia mai pentito, nel suo animo, o no. Certo è che ha confessato reati efferati, 150 omicidi. Quanto sono state utili le sue dichiarazioni?
In generale posso dire che la forza repressiva dello Stato nei confronti della mafia, senza le tante collaborazioni che ci sono state, sarebbe stata meno incisiva. Quanto a Brusca, per farle capire quanto sia stato importante che abbia scelto di parlare le faccio un esempio: durante il maxi processo io gli contestavo l’associazione mafiosa. Solo quella. Il quadro probatorio c’era, ma il giudice di primo grado non lo ha ritenuto sufficiente, tant’è che è stato assolto. Successivamente è stato condannato, grazie alle impugnazioni. Ma ripeto, noi in quel momento di Brusca conoscevamo solo il fatto che fosse affiliato alla mafia. È stato grazie alla sua scelta di collaborare che abbiamo scoperto tutto il resto
E c’è chi dice che non abbia detto tutto.
Questo non lo so, non ho elementi per dirlo. Certamente non posso escluderlo. Posso però dire che sicuramente quello che ha raccontato è stato importante da un punto di vista processuale. Le dirò di più: secondo noi, ai tempi del maxi processo, neanche Tommaso Buscetta aveva detto tutto. Però quello che ha raccontato ha portato a condanne che mai lo Stato aveva ottenuto contro la mafia.
Prima ha detto una frase forte: “Non sono affatto pentiti”. Secondo lei è così improbabile che anche il più efferato dei mafiosi cambi in carcere, con il passare del tempo?
Non sono uno di quelli che sposa la tesi che queste persone cambino. Certo, in alcuni casi può accadere. Del resto, 25 anni di detenzione (quelli scontati da Brusca, ndr) in astratto possono sembrare insufficienti. In concreto non sono affatto pochi.
La scarcerazione di Brusca ha suscitato varie reazioni. Di fronte a quella composta e lucida di Maria Falcone ci sono quelle indignate della politica.
Proprio in virtù di tutto quello che ho detto sulla legge sulla collaborazione resto molto perplesso davanti a chi parla di “Vergogna di Stato”. Troppo facile parlare così. È un modo per cercare consenso.
Brusca esce dal carcere pochi giorni dopo il 29esimo anniversario della morte di Giovanni Falcone. Che ricordo ha di quei giorni terribili?
Io ero a Roma, ovviamente mi sono fiondato a Palermo e sono andato direttamente alla camera mortuaria. Ricordo che sono usciti tutti, mi hanno lasciato solo con Giovanni. Sembrava dormisse, aveva solo un graffio sul sopracciglio. Ho pianto tanto, e non mi vergogno a dirlo. Poi per un attimo ho stretto le sue mani. Questo ricordo, nonostante il passare del tempo, riaffiora spesso nella mia mente.
(da Huffingtonpost)
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