IL PIANTO DELLA MELONI E LE LEGGI RAZZIALI DI PATERNITA’ IGNOTA
IL QUADRETTO NATALIZIO
Le cronache italiche riferiscono con malcelata emozione del pianto della presidente Meloni nelle braccia della presidente della Comunità ebraica di Roma Ruth Dureghello al Museo Ebraico.
La sceneggiatura è in effetti ghiotta e straniante: la donna di destra, che non ha mai rinnegato il fascismo (di cui anzi dichiarò, giovanissima, di ammirare il capo), si scioglie in lacrime durante l’accensione della seconda candela di Chan
ukkah e fa un discorso in cui definisce le leggi razziali “un’ignominia”. Un ottimo quadretto di conciliazione natalizia.
A ben vedere, il discorso di Meloni è un’operazione che mira a tutt’altro. “La storia di questa festa”, esordisce, “è la storia di un popolo che combatte per difendere la sua identità, le sue tradizioni, la sua fede, la sua libertà”; questa asserzione le offre il trampolino per un’operazione sconcertante: asserire che anche oggi è “un tempo nel quale identità, tradizioni e fede sono spesso considerati un limite quando non addirittura un nemico”.
Non specifica da chi, in quale contesto e Paese, ma c’è da escludere che parli di regimi tirannici. Meloni sta parlando delle nostre identità, fede e tradizioni; infatti prosegue: “Io penso che sia estremamente prezioso ricordare che senza quello che ci definisce… che ci portiamo dietro e dà profondità alle nostre esistenze, non possiamo avere la forza né la consapevolezza né le ragioni giuste per affrontare adeguatamente le tante sfide che abbiamo di fronte”.
In effetti i campi di concentramento sono stati una bella sfida, ma basta non arrendersi: “Il popolo ebraico questo l’ha sempre saputo… e questa è la ragione per la quale la sua identità e le sue tradizioni hanno attraversato i millenni e sono ancora così vive, è stata questa capacità che ha reso il popolo ebraico così resiliente pur avendo attraversato tante difficoltà, atrocità, compresa l’ignominia delle leggi razziali”.
Così, con una spregiudicata operazione di spostamento di un preciso contesto storico e delle atrocità che l’hanno caratterizzato, Meloni ripete il credo della destra mondiale, secondo la quale è in atto una persecuzione dell’identità cristiano-europea ad opera di agenti distruttori esterni, noti a chi ha letto le Tesi di Trieste, il manifesto di Fratelli d’Italia: islamizzazione, immigrazione, denatalità e sostituzione etnica, feticcio fantasy e classica peripezia da fiaba da superare per sopravvivere come popolo.
Delle leggi razziali, nel discorso di Meloni, è ignoto l’autore. Dureghello ha detto che le parole di Meloni “contribuiscono a contrastare definitivamente le ambiguità che in una parte del Paese sono ancora presenti sul fascismo e sulle sue responsabilità”.
Ma questo non è affatto vero: Meloni non attribuisce a nessuno la responsabilità delle leggi razziali, tantomeno al fascismo, che manco nomina.
Al contrario di quel che dice Dureghello, Meloni cavalca proprio l’ambiguità grazie alle quali le leggi razziali sono ricordate dagli eredi dei fascisti come un incidente di percorso di Mussolini o al più come un attacco alle “tradizioni” ebraiche.
Invece furono i fascisti ad aiutare i nazisti nel rastrellamento del Ghetto il 16 ottobre 1943 (1024 persone deportate, 200 bambini, solo 16 persone tornate vive). Per tutto ciò, le lacrime di Meloni sono una ignobile farsa.
(da Il Fatto Quotidiano)
Leave a Reply