IL SOLDATO RUSSO, INTERCETTATO MENTRE E’ AL TELEFONO CON LA FIDANZATA: “DA GIORNI NON FACCIO ALTRO CHE CARICARE CADAVERI”
“ERAVAMO OTTANTA E SIAMO RIMASTI IN DIECI. DA DUE SETTIMANE VIVO SOTTOTERRA. HO PAURA DI OGNI RUMORE”
Ho letto una cronaca molto bella. Si racconta di un soldato russo, intercettato mentre è al telefono con la fidanzata. È addetto al carico 200 (i morti) e al carico 300 (i feriti). Eravamo ottanta e siamo rimasti in tredici, dice.
Da giorni non faccio altro che caricare cadaveri. Da due settimane vivo sottoterra. Ho paura di ogni rumore. Quando torno, se torno, dovrei chiedere di andare a lavorare al camposanto, ormai sono abituato e almeno lì c’è silenzio. A Capodanno non voglio sentire neanche i fuochi d’artificio, mi chiuderò in cantina.
Ogni tanto bisogna mettersi dall’altra parte. Anche più spesso di ogni tanto.
Bisogna pensare a Emilio Lussu che sull’Altopiano di Asiago, in un’alba della Prima guerra mondiale, striscia verso le trincee nemiche. Da un punto riesce a vedere gli austriaci. Si fanno la barba guardandosi in uno specchietto. Bevono il caffè. Una vita sconosciuta si mostrava ai nostri occhi, scrive. La barba, il caffè, la normalità quotidiana, non il mostruoso nemico. Lussu sente disagio. Un ufficiale austriaco è in piedi, esposto. Lussu prende la mira, sente la pressione del polpastrello sul grilletto, è un colpo facile, lo colpirei cento volte su cento, scrive.
L’ufficiale si accende una sigaretta. Anche a Lussu viene voglia di una sigaretta. La pressione sul grilletto si allenta. Avevo di fronte un uomo, scrive. Un uomo che come lui alla mattina si fa la barba, beve il caffè e fuma una sigaretta. Lussu non spara, torna indietro. E un uomo che vive sottoterra, ha paura di ogni rumore e sogna il silenzio di una cantina o di un camposanto, è un uomo che spero possa tornare a casa.
(da La Stampa)
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