INCONTRO RENZI-D’ALEMA: ROTTAMATORE E ROTTAMATO DIMENTICANO VELENI ED ACCUSE
LA FERREA LEGGE DELLE OLIGARCHIE: MAI FAR FUORI QUALCUNO DEFINITIVAMENTE, POTREBBE SEMPRE TORNARE UTILE
Dilemma per appassionati di storia dozzinale e di politica politicante: chi è andato a Canossa? Risposta problematica: tutti e due, D’Alema e Renzi. Quindi nessuno.
E non che sia una gran novità , ma davvero non ci si capisce più niente.
O meglio: l’unica cosa che si può forse immaginare è che sia l’uno che l’altro si considerano ormai sciolti dal loro passato, dal loro vissuto, dai cattivi pensieri e dagli improperi che si sono scambiati non cinque anni, ma cinque mesi orsono.
In politica accade, ma i protagonisti di norma non lo esplicitano, non se lo possono permettere. Anzi fingono meraviglia se qualcuno, in genere qualche improvvido giornalista, osa esprimere la propria sorpresa; e subito riescono a farlo sentire come un povero scemo: ma che vuoi capire? In questo sono bravissimi, anche nei modi, nell’alzare gli occhi al cielo, nel timbro lievemente annoiato della voce, nella placida postura.
E allora anche ieri, all’uscita di Palazzo Vecchio, D’Alema si è concesso una cospicua dose di tele- sopportazione, e stringendosi nelle spalle come chi non recede dalla propria incredulità ha spiegato che tutto — la sua visita, la sua funzione, la sua rassegnata condiscendenza — era perfettamente naturale.
Poi si è lasciato aprire dall’autista la portiera di dietro ed è risalito sull’automobile.
Renzi lo si è visto da Mentana, e invece ci teneva ad apparire molto intenso e disinvolto e affidabile e simpatico.
Il messaggio: lui non fa «giochini».
Sia pure sintomatico di una vita pubblica miniaturizzata e anche immiserita, l’uso dei diminutivi trova nel leader della rottamazione una frequenza e una costanza anch’esse significative. In altre occasioni aveva detto: «Non faccio inciucini».
Con D’Alema ha attenuato la formula.
Comunque si sono visti.
E comunque ai raccoglitori di ritagli, pur nel loro adattabile disincanto, spetta il compito di sottolineare che nell’ottobre scorso se n’erano dette di tutti i colori.
Ma a che vale la memoria in un circuito politico dove tutti sempre non solo cambiano idea, ma ogni volta s’impossessano di quelle degli avversari che hanno combattuto?
Nel centrosinistra vigono le leggi ferree delle oligarchie: mai far fuori qualcuno in via definitiva, perchè prima o poi — più prima che poi, come si vede — potrà tornare utile.
Ma intanto pare doveroso ricordare che nei suoi roadshow Renzi aveva costruito proprio su D’Alema, pure proiettato in effigie nel maxischermo, una delle più applaudite gag: «Se vince lui — e lo indicava — il centrosinistra è finito. Se vinco io — e il Rottamatore continuava a puntare il dito — al massimo è finita la sua carriera».
Venutolo a sapere, comprensibilmente il leader Maximo — del quale peraltro fra un mesetto uscirà una biografia intitolata «Il Peggiore» (Salvaggiulo-Sanza, per Chiarelettere) — si scocciò. Disse allora che già non «digeriva» Renzi, nè aveva tempo e voglia di polemizzare con lui, e che si sarebbe anche ritirato, ma ora davanti a quell’aggressione doveva e voleva restare nell’arena. Quindi lasciò partire una frasetta: «Si farà del male».
E sempre con quell’arietta che lo rende così simpatico a chi l’apprezza e odioso a chi no, fece osservare che il Rottamatore girava per l’Italia con aerei privati e Mercedes, ma poi arrivava in camper.
A quel punto Renzi la buttò sul fatto che D’Alema era il presidente del Copasir, cioè servizi segreti, e che quindi manneggiava contro di lui informazioni deviate; mentre a rendere la tenzone ancora più straniante la Velina Rossa e di osservanza maximiana segnalava un vecchio video in cui il sindaco copriva l’odierno suo nemico di lodi fuori misura.
Poi D’Alema si chiamò fuori dalle liste, Renzi se lo intitolò come una medaglia, poi forse fecero pace, anche se nel mondo del potere non suona la parola più adatta.
E insomma tutto cambia e insieme rimane uguale, ma al giorno d’oggi con l’aggravante caotica delle immagini.
Per cui si chiude con la foto, invero un po’ truce, scattata a Empoli il 17 ottobre scorso ai margini di uno spettacolo itinerante.
Si vede il muso del camper di Renzi con la scritta «Adesso» e sotto le ruote un uomo con la maschera di D’Alema.
A desolante riprova che il potere non conosce Canossa — e se mai ce n’è stata una, la si rievoca a distanza di secoli.
Filippo Ceccarelli
(da “La Repubblica“)
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