INDAGATI NEL GOVERNO: DUE PESI E DUE MISURE, RENZI RINNEGA LE SUE PROMESSE DI TRASPARENZA
ALFANO HA FATTO DIMETTERE GENTILE, IL PD NON PUO’ FAR DIMETTERE I SUOI
Può giocare brutti scherzi lo spartiacque del governo. Il prima e il dopo.
Prima di approdare a Palazzo Chigi, la solenne promessa da parte di Renzi del nuovo a ogni costo.
Dopo, il gioco in difesa.
Prima, la perentoria richiesta di dimissioni a Cancellieri e De Girolamo e quell’inderogabile «se ne devono andare».
Dopo, i sofismi per tenere nell’esecutivo i sottosegretari inquisiti. Gentile, il più impresentabile, è stato dimissionato ed era un esponente dell’Ncd, il partito di Alfano. Quelli del Pd invece restano con il diktat affidato alla Boschi. Una sorta di improvviso “doppiopesismo”.
Sconcerta sentire il giovane ministro dire a Montecitorio che il governo non chiederà le dimissioni «sulla base di un avviso di garanzia». Suona strumentale, politicamente imbarazzante, e anche un po’ cinico, il richiamo alla «presunzione di innocenza». Disgraziata quella frase – «l’avviso di garanzia è un atto dovuto, non è un’anticipazione di condanna» – perchè evoca le argomentazioni cui la destra di Berlusconi è sistematicamente ricorsa in questi vent’anni per giustificare il connubio tra illegalità e politica. Manca solo l’attacco ai giudici.
Da chi, come Renzi, dialoga con Saviano e promette una lotta decisa alla corruzione e all’illegalità , c’era da aspettarsi tutt’altra coerenza nella selezione del personale politico.
Soprattutto se il capo del governo è al contempo il segretario del “nuovo” Pd.
Un partito che in questi anni ha sempre preso le distanze dai politici indagati. E non può scoprirsi improvvisamente garantista solo quando va al governo e quando si tratta di difendere alcuni dei suoi esponenti.
Poi bisognerebbe avere la forza e il coraggio di separare la posizione di chi è accusato di un semplice abuso d’ufficio rispetto a chi è indagato per avere usato fondi pubblici a scopo personale.
Ma qui il caso è ancora diverso. La «presunzione d’innocenza» non c’entra. Non si tratta di sottosegretari che hanno ricevuto un avviso di garanzia. Ma di membri dell’esecutivo che erano stati già toccati dalle indagini.
Era proprio necessario mettere al governo persone sotto accusa?
Non se ne potevano scegliere altre?
Se sono stati selezionati quelli, qual è stata la vera ragione?
Qui le colpe di Renzi diventano doppie. Non solo ha abiurato alle promesse che egli stesso ha fatto sulla pulizia e trasparenza di chi regge la cosa pubblica, non solo ha usato un criterio per criticare le debolezze di Letta e un altro, ben più corto e flessibile, per assolvere le sue scelte, ma soprattutto sta compromettendo il futuro.
Il rischio è di riconsegnare ancora una volta nelle mani dei magistrati il compito di dispensare lasciapassare per i buoni e i cattivi candidati.
O dire – con una condanna o una assoluzione – se i sottosegretari possano restare o debbano andarsene.
Liana Milella
(da “La Repubblica”)
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