INTERVISTA A FISICHELLA, IL FONDATORE DI AN: “LA DESTRA NON INSEGUA LA DEMAGOGIA”
“UNA DESTRA IN ITALIA E’ NECESSARIA, MA OCCORRE UN PROGETTO, NON BASTA METTERSI INSIEME SOLO IN VISTA DELLE ELEZIONI EUROPEE”… “AN RIUSCI’ AD ATTRARRE FORZE ESTERNE, NON VEDO TENTATIVI IN TAL SENSO”
Il fondatore di An, Fisichella: «Non credo alla democrazia dei tweet Noi riuscimmo ad attrarre la società civile, ora tutto questo manca»
Premette subito: «La mia valutazione è che in Italia, anche in ragione della crisi economica che il Paese sta attraversando, una forza partitica di destra, capace di esprimere alcuni valori fondanti e di affrontare nuove sfide, è necessaria. C’è una esigenza di destra nel Paese».
E come è possibile recuperarla?
«Per ora vedo schegge che tentano di recuperare un’unità , qualche gruppo personale ancora in cerca di identità ».
Non sembra essere fiducioso…
«Getta un’ombra su questa operazione politica il fatto che avvenga alla vigilia delle elezioni europee. Si corre il rischio di dare la sensazione che sia un progetto solo per dare a qualcuno la possibilità di correre. Personalmente immagino un percorso più a medio termine per avere successo».
Senatore, veniamo ai contenuti. Che cosa ne pensa di quelli esposti domenica scorsa a Fiuggi?
«Mi sembra di aver ascoltato qualche appello un po’ demagogico. Capisco la protesta contro l’euro e anche la necessità di difendere il Paese. Ma non basta la protesta per avere una prospettiva seria. Quanto invece al tema del popolo sovrano, che ho sentito evocare, mi preme rilevare che se ci troviamo in un sistema rappresentativo, la sovranità della Nazione. Detto questo, credo anche poco alla democrazia dei cinguettii e all’inconsistenza che spesso esprimono».
Si riferisce a twitter?
«Lasciamo perdere, parliamo di cose serie. A suo tempo è stato scelto un sistema politico di tipo parlamentare-assembleare che aveva già fallito di fronte al fascismo. Questo è il sistema vigente e dentro questo dobbiamo muoverci. La destra ne deve tener conto, spiegando bene come vuole correggerlo. Per esempio, poichè è stato evocato il presidenzialismo si intende l’elezione popolare del Capo dello Stato, sono profondamente complesso».
Lei è il coniatore del nome “Alleanza nazionale”. Come vede la sua riedizione ad opera della Meloni?
«Mi permetta di fare un breve excursus storico. Il 19 settembre 1992, sul Tempo , esce un fondo a mia firma in cui si parla della necessità di formare un’alleanza nazionale. Il 1 ottobre un successivo articolo, sempre a mia firma, viene specificato meglio il progetto e il titolo era ‘Sulle macerie della partitocrazia’. Spesso ho letto ricostruzioni secondo cui il progetto di Alleanza nazionale rinvia a Pinuccio Tatarella. Questo non mi pare plausibile. Il 27 aprile del 1993 sull ‘Unità , a firma Letizia Paolozzi, viene pubblicata una mia intervista. Solo dopo questa intervista Tatarella mi telegrafò chiedendomi un appuntamento. Di là ci siamo visti e abbiamo cominciato a discutere di quella che sarebbe poi diventata Alleanza nazionale».
Perchè questa puntualizzazione storica?
«Semplicemente per amore della verità . E anche per sottolineare come i comunisti, o magari i loro eredi, furono tra i primi a comprendere l’importanza di quella novità politica».
Allora-oggi. Sono passati venti anni. Che analogie e quali differenze storiche trova tra quella An e Fratelli d’Italia?
«Torniamo alla storia. Dopo quell’incontro con Tatarella, il 22 gennaio 1994 si arrivò all’assemblea costituente di An. Il programma prevedeva alcune relazioni introduttive: nell’ordine, Fisichella per la politica interna, Armani per la politica economica, Rebecchini per la politica sociale, Ramponi per la politica tributaria, Selva per la politica estera. Voglio far notare che nessuno dei personaggi citati proveniva dall’esperienza del Movimento Sociale Italiano. L’atmosfera in cui nacque An era di apertura verso l’esterno, fu quella di mettere assieme esperienze diverse e che talvolta fino a quel momento non erano nemmeno impegnate in politica: provenivano dalla società civile».
Vuole sostenere che FdI non è riuscita ad attrarre forze esterne?
«Mi pare poco finora rispetto a quella che fu Fiuggi nel 1995, il congresso fondativo di An».
Come giudica invece le frasi di Gianfranco Fini?
«Non le giudico. Penso che un uomo politico abbia tutto il diritto di cambiare idea e di seguire anche nuovi percorsi. Naturalmente anche di pagarne le conseguenze. Le ricordo che io lasciai Alleanza nazionale non approvando la riforma della devoluzione. E lo feci dopo che mi era stato assicurato, da Fini in persona, che mai e poi mai An avrebbe votato quella riforma, che peraltro aveva un sottofondo di secessionismo, come era stata proposta dalla Lega. Così non avvenne e andai via».
Fabrizio dell’Orefice
(da “il Tempo”)
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