INTERVISTA A FLAVIA PERINA: “SALVINI E MELONI SENZA CORAGGIO, NE ESCONO RIDIMENSIONATI”
“SONO SEMPRE IN TV A DIRE COSA FARE, MA NEL MOMENTO DI METTERCI LA FACCIA SI SONO TIRATI INDIETRO, A MILANO COME A ROMA”… “POTRANNO DIRE CHE HA PERSO BERLUSCONI, NON NOI”
Perina, ex direttrice del Secolo e fine conoscitrice dell’universo destrorso, boccia il processo che ha portato il centrodestra alla candidatura di Guido Bertolaso a sindaco di Roma.
«Si è scelto – spiega – un profilo neutro, per niente diverso da Marchini o Giachetti». Così, sottolinea, che non c’è da stupirsi per l’endorsement di Gianfranco Fini a Storace: «Francesco è l’unico candidato realmente identitario per l’elettorato di destra».
Perina, come giudica la candidatura di Bertolaso?
«Nel momento in cui nè Salvini nè la Meloni, che si erano intestati la partita, sono riusciti a tirare fuori un nome condiviso, Berlusconi si è trovato di fronte a una scelta obbligata».
Delusa dai leader di Lega e FdI?
«Le loro ambizioni di leadership ne escono fortemente ridimensionate. Sono sempre in tv a proporre soluzioni nette per ogni tipo di problema. Ma nel momento in cui dovevano mostrare coraggio con una scelta concreta si sono tirati indietro».
Cosa avrebbero dovuto fare?
«Candidarsi, a Milano e Roma. E non regge l’alibi del “non posso, sono un leader nazionale”. Lo era anche Fini nel ’93».
I leader hanno rifiutato Marchini perchè temevano una sua scalata nazionale?
«Mi rifiuto di crederlo. Non siamo più a vent’anni fa, quando davvero c’erano solo macerie. Oggi in quell’area ci sono partiti strutturati, se non sono in grando di tenere testa a un costruttore romano col pallino della politica c’è da preoccuparsi».
Partiti strutturati, ma costretti a schierare «civici».
«È vero, hanno statuti e congressi ma non sono in grado di proporre alcuna linea che non sia la salvaguardia della propria classe dirigente. A Roma, come a Milano e Napoli, mirano a conquistare 3 o 4 consiglieri senza aspirare a rappresentare un’alternativa di governo nè una forte opposizione. Quel ruolo lo lasciano ai Cinquestelle».
Bertolaso non ha speranze?
«Lo dicono i fatti. A partire dalle ingenuità di questi giorni. Dichiararsi ex democristiano non è utile a conquistare i voti del bacino a cui dovrebbe guardare. Per fare valutazioni, però, bisogna aspettare il candidato del M5S. Se mettono in campo un Di Battista, è inutile sognare il ballottaggio, si prenderebbe i voti di destra già al primo turno».
A proposito di destra, l’ha sorpresa l’endorsement di Gianfranco Fini per Storace?
«No, perchè in un contesto così nebuloso quella di Storace è certamente la candidatura più identitaria. Una destra che non sa più dove sbattere la testa finirà per votare per Francesco».
Il 1993 è lontano?
«Oggi è l’esatto contrario, la nemesi. I leader sono scappati dalla prima linea. Ha prevalsto l'”istinto Titanic”. Così dopo le elezioni potranno dire: “Ha perso Berlusconi, non noi”».
Cosa farà l’elettorato moderato?
«A Roma l’elettorato di centrodestra non è propriamente moderato, ma è difficile capire cosa accadrà , perchè sono mancate le scelte dei leader, nessuno ha indicato un modello. Si sono preferiti candidati intercambiabili. Che differenza c’è tra Marchini e Bertolaso? O anche Giachetti? Tutti si autodefiniscono uomini del fare e scelgono le stesse priorità : strade pulite, traffico, cose che i romani sentono dire da trent’anni…».
Carlantonio Solimene
(da “il Tempo”)
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