INTERVISTA A LUCA BARBAROSSA: “IL RISCATTO DI UN PAESE DEVE PASSARE ATTRAVERSO LA CULTURA, IN ITALIA INVECE SI CAVALCANO LE PAURE PER UNA MANCIATA DI VOTI”
“UN POLITICO CHE SI RISPETTI OGGI PRENDEREBBE IL 2% DI VOTI, REGNA L’IGNORANZA”
Luca Barbarossa è uno di quei cantanti che te lo ritrovi in metro, un pomeriggio di inizio estate, mentre improvvisa un concerto e non ti sorprende.
In fondo, lui ha iniziato da giovanissimo suonando proprio per strada, a Piazza Navona, prima di venire scoperto da Gianni Ravera e andare a Sanremo nel 1981 (si presentò con una canzone dalla straordinaria capacità anticipatoria: Roma spogliata). È uno di quelli diretti, Barbarossa, che non ama i giri di parole.
Fra poco partirà per una nuova tournèe con il suo ultimo disco, Roma è de tutti. Perchè la capitale è un baricentro della musica, della scrittura e della vita. Uno stato d’appartenenza da diffondere in tutto il Paese, da Napoli a Porto Sant’Elpidio.
Intanto, conduce Radio2 Social Club, nata da una sua intuizione, difesa negli anni con forza e perseveranza. “Volevo — mi spiega – fare una radio dal vivo, oltre che in diretta. Dove gli artisti si potessero incontrare, e avessero la possibilità di esprimersi. Artisti affermati, ma anche in divenire”.
Negli anni Radio2 Social Club ha contribuito a lanciare comici come Virginia Raffaele, Andrea Perroni, Paola Minaccioni e Lucia Ocone.
E a gennaio, come rivela Barbarossa, verrà organizzato un grande evento celebrativo. “La festa dei dieci anni sarà la festa di un ambiente musicale che ha sempre meno spazi per potersi esprimere, perchè la televisione è andata in una direzione, la radio in un’altra. Fare un programma di musica dal vivo, di comicità e di intrattenimento in radio è coltivare una sorta di riserva indiana. Siamo un’area protetta da Radio Rai e da Rai2. Ci sembra importante essere arrivati alla decima stagione”.
Il suo ultimo disco è tutto in dialetto. “Passame er sale” l’ha portata anche a Sanremo, la prima volta che una canzone in romanesco arrivava all’Ariston.
Il dialetto impone verità . Passa dalla pancia e arriva al cuore. Senza tanti fronzoli. Anche musicalmente, il dialetto esprime il segreto della sua cultura popolare: non si possono tradire le sonorità in una canzone dialettale.
Roma è de tutti è il titolo del suo ultimo album. Ma potrebbe essere anche uno slogan.
Roma è una città abituata all’accoglienza da sempre. È una capitale universale. È probabilmente la città meno provinciale del mondo. Roma è abituata a questo da millenni.
A cosa?
All’accoglienza. Che si arrivi a Roma da tutti le parti del mondo, per passarci o per rimanerci. Ha fatto diventare romano anche chi non lo è. Penso ai grandi registi, intellettuali, scrittori.
E come è diventata adesso Roma?
Lo vediamo tutti. Non sta passando uno dei suoi periodi migliori. Ma ne ha viste di peggio. La grandezza della sua storia e della sua cultura vanno oltre qualche decennio sfortunato. È una città eterna, che nella sua eternità ha la possibilità di rialzarsi in qualsiasi momento.
Però toccherà che qualcuno se ne occupi.
La bellezza è di tutti. Tutto è di tutto. E su Roma, capitale d’Italia e capitale universale, va fatto uno sforzo collettivo. Serve un atto d’amore. È necessaria una chiamata alle responsabilità .
Di che tipo?
Non la si può abbandonare a se stessa. Perdere la sfida di Roma è una sconfitta di tutto il Paese.
Lei ha frequentato anche gli istituti penitenziari di Roma, Rebibbia e Regina Coeli. Ne ha scritto anche in una canzone del suo ultimo album, Se penso a te.
La vita è dura in carcere, ma esistono ancora degli spiragli, che passano dalla cultura, dai corsi di teatro. L’ignoranza regna sovrana, ma non solo dentro il carcere.
Lo ha visto “Sulla mia pelle”, il film su Cucchi?
Sì.
E cosa ha pensato, guardandolo?
Niente che non sapessi già . È un film necessario, che fa molto riflettere sullo stato del nostro Paese e sul momento storico che viviamo, nel quale si pensa di poter fare male a un tossico, a uno spacciatore, a un rom e restare impuniti. È ormai passato il messaggio che esistano vite di serie A e di serie B. Ogni giorno si dice qualcosa che scredita la vita delle persone. È un lavoro lento, quotidiano, di sottocultura che viene fatto da chi in perfetta malafede ha un solo obiettivo.
Quale?
Quello di cavalcare le paure della gente per ottenere in cambio una manciata di voti, una manciata di soldi pubblici.
La musica in questo momento che ruolo può avere?
Il ruolo di tutti noi è fare bene e con onestà intellettuale. Se sono un autore e canto quello che scrivo ho il grande vantaggio di non essere di parte. Non sono un politico. E i miei comportamenti, tutto quello che dico, tutto quello che scrivo e quello che canto non deve portare nelle mie tasche dei voti. Ho la libertà di dire quello che penso.
I politici italiani questa libertà non ce l’hanno?
Un politico che si rispetti e che si possa ricordare fra vent’anni, trenta, quarant’anni probabilmente è un politico che prenderebbe il 2%. Un politico che fa il suo mestiere correttamente, in certi momenti deve fare scelte impopolari. Oggi è tutto basato sul feedback. Anche i politici, come i B&B, cercano la recensione positiva.
L’ultimo grande politico che si ricordi?
(sospirando) Vogliamo parlare di Gramsci? Un oppositore del regime fascista che venne mandato al confino e invece di abbattersi insegnò l’italiano agli italiani. Mise in atto quello che credeva: la chiave è quella di sconfiggere l’ignoranza. Trasmettere cultura, consapevolezza. Dare strumenti alle persone per poi scegliere.
E oggi?
Dove c’è ignoranza attecchisce il nuovo razzismo, la faciloneria con cui la politica risponde a problemi molto complessi, gli slogan che sostituiscono i problemi a lungo termine, come l’immigrazione o il futuro dei nostri giovani. Si procede con i 140 caratteri di un tweet. Purtroppo e per fortuna la vita è più complessa. È una continua propaganda elettorale, ma il riscatto di un Paese deve passare attraverso la cultura, e la conoscenza.
Esattamente quello che sta accadendo, non le pare?
(ridendo) Esattamente.
Mi scusi Barbarossa, ma non è che siamo tutti un po’ ignoranti e un po’ razzisti?
Il mio pensiero lo esprimo meglio nelle canzoni. Per rispondere a questo domanda ho scritto Madur. È la storia di un ragazzo di colore che viene pestato a morte a Roma da un gruppo di balordi. Alla fine, si scopre che l’unico nato a Roma era la vittima. La verità è che quando si dice “Prima gli italiani” non ha nessun senso.
(da “Huffingtonpost”)
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