INTERVISTA A MATTEO RICCI: “NON POSSO ESSERE RESPONSABILE PENALMENTE DI ERRORI COMMESSI DA ALTRI”
“NON MI SONO MAI OCCUPATO DI AFFIDAMENTI O DI APPALTI. IN DIECI ANNI DA SINDACO HO DECISO 500 MILIONI DI INVESTIMENTI PUBBLICI, MAI UNA VOLTA MI SONO INTERESSATO DI CHI AVREBBE REALIZZATO I LAVORII”… “FACCIAMO L’IPOTESI CHE IL MURALE DELLA SEGRE MI ABBIA PORTATO CONSENSO: A QUESTO FINE, COSA CAMBIAVA PER ME SE A FARLO ERA TIZIO O CAIO?”
L’appuntamento è in una gelateria al centro di Pesaro. Matteo Ricci si presenta in bermuda e infradito (siamo sempre a duecento metri dalla spiaggia), la gente che entra lo saluta con simpatia. Sembra ancora il sindaco in carica, invece è la preda più pesante nel carniere dell’inchiesta chiamata “affidopoli”, con un avviso di garanzia che rischia di deragliare la campagna elettorale.
Ricci, come si sente?
«Sono commosso del grande affetto che si è acceso nelle ultime 24 ore. Tantissimi mi chiedono di andare avanti, sapendo che sono sempre stato una persona corretta e rigorosa».
Lei sostiene che i magheggi di Massimiliano Santini avvenivano alle sue spalle. Come è possibile che non si sia accorto di niente visto che si trattava pur sempre di una persona di sua fiducia?
«Intanto precisiamo una cosa: io non mi sono mai occupato di affidamenti o di appalti, non è una cosa che per legge spetta al sindaco, ma alla struttura amministrativa e dirigenziale».
I pm però la descrivono come il capo del sistema. Non era così?
«In dieci anni da sindaco ho deciso 500 milioni di investimenti pubblici e organizzato tantissimi eventi, mai una volta mi sono interessato di chi avrebbe realizzato i lavori. Figuriamoci se mi occupavo di chi faceva il murale per la Segre o il maxicasco di Valentino Rossi».
Nelle carte c’è scritto che lei avrebbe chiesto soldi a delle imprese private da girare poi alle associazioni di Stefano Esposto. Vero?
«Assolutamente no. Ogni sindaco fa appello all’imprenditoria locale per sostenere le iniziative della città, che siano sociali, culturali, sportive. Ed è quello che ho sempre fatto, ma in maniera pubblica, ringraziando poi pubblicamente le aziende che decidevano di sponsorizzare un evento o un’opera».
E allora cosa è successo?
«Che nella mia vita politica e amministrativa io ho avuto forse centinaia di collaboratori, si tratta di capire se un collaboratore che avevo scelto ha fatto degli errori oppure no e se ha tradito la mia fiducia oppure no».
Se venisse fuori che sono stati commessi dei reati?
«Ne dovrebbe rispondere personalmente. Ma non posso essere io responsabile penalmente di eventuali errori commessi da altri in
un procedimento amministrativo».
Insisto: se venisse fuori che è tutto vero?
«In quel caso io sarei la parte lesa, come il Comune di Pesaro. Vuol dire che l’amministrazione ha dato fiducia a qualcuno che ha tradito la fiducia, ma ne voglio parlare sempre usando il condizionale, i principali accusati hanno diritto di spiegare le loro ragioni».
Lei era per l’abolizione dell’abuso d’ufficio e adesso, abolito quel reato, i pm le contestano quello ben più grave di corruzione. È la sua nemesi?
«No, non mi sono pentito se è questa la domanda. E comunque, se avessi fatto pressioni per degli affidamenti, quello sarebbe stato abuso d’ufficio. Ma io non ho mai fatto alcun tipo di pressione quindi, nel mio caso, non ci sarebbe stato nemmeno l’abuso di ufficio».
Quando uscirono i primi articoli su questa vicenda, lei ha affrontato Santini, gli ha chiesto conto?
«Sì, l’anno scorso. La prima reazione è stata di chiedergli cosa fosse successo. E lui ci rispose che era tutto a posto, che tutte le fatture erano regolari. In 15 anni di amministrazione mi sono sempre fidato, fino a prova contraria, dei miei collaboratori e dirigenti».
Le contestano di aver avuto come ritorno non una mazzetta ma un aumento di popolarità. Un’utilità difficile da contestare
«Ogni amministratore ha un rapporto quotidiano con i cittadini
che lo valutano concretamente per le cose fatte. Ed è ovvio che la ricerca del consenso dei cittadini sia un elemento fondamentale della democrazia. Facciamo l’ipotesi che il murale della Segre mi abbia portato consenso: a questo fine, cosa cambiava per me se a farlo era Tizio o Caio?».
Lei conosceva Stefano Esposto?
«Di vista lo conoscono tutti a Pesaro, ma non avevo nessun rapporto diretto con lui, né di amicizia né altro. Mai avuti».
Le cose uscite su Santini sono pesanti, persino vacanze e attrezzature sportive pagate stornando i fondi pubblici. La colpisce?
«Se ci dovesse essere una condanna, col senno di poi, significherebbe che ho sbagliato a scegliere un collaboratore. Ho grande fiducia nella magistratura che sta facendo il suo lavoro. Spero che il prima possibile venga appurata la verità».
Mentre il Pd l’ha sostenuta, i 5S hanno messo in pausa la loro campagna, Conte si è messo alla finestra. Cosa gli risponde?
«Io ho spiegato tutto, quel che sto dicendo a voi l’ho detto prima a Conte. Voglio però aggiungere una cosa. La mia passione politica è iniziata nel 1984, avevo 9 anni, come ogni estate andavo alla festa dell’Unità con mio nonno, ex minatore in Belgio. E quell’anno la festa era tappezzata dai manifesti di Enrico Berlinguer, che era morto da poco. Chiesi chi fosse e lui mi rispose: era una persona onesta e perbene, stava sempre dalla parte dei più deboli. Io sono figlio di quella storia, l’onestà e la
trasparenza sono i miei valori, esattamente come lo sono dei Cinque stelle».
Nel Pd fanno notare che Italo Bocchino, lo spin doctor di Acquaroli, aveva “pronosticato” l’avviso di garanzia.
«Inquietante. Del resto, è un mese e mezzo che Bocchino mi ha scatenato contro tutta la stampa di destra. Torna fuori il solito squadrismo».
(da agenzie)
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