INTERVISTA A MYRTA MERLINO: “LA POLITICA? ORMAI CONTA SOLO ONESTA’, MA MANCA LA COMPETENZA ED E’ STATA SDOGANATA L’IGNORANZA”
LA GIORNALISTA DE LA7 PARLA DI CARRIERA, DI POLITICA E DEL PAESE
Raggiungere Myrta Merlino è complesso e divertente. Per parlare con lei passi da una serie di collaboratori (molto gentili), che fanno intuire una cosa: è maniacale — per sua stessa definizione — nella preparazione delle puntate, ma con discreta probabilità anche nella gestione del tempo.
Ed è un tempo, quello di questa donna biondissima e napoletanissima, una laurea in scienze politiche e una notevole esperienza in giornalismo economico, scandito con estrema precisione.
La routine, naturalmente, sta tutta intorno a “L’aria che tira” il programma che conduce su La7 con cadenza quotidiana.
“La mattina — mi spiega — mi sveglio prestissimo, leggo i giornali, subito dopo facciamo la riunione di redazione, quindi trucco e parrucco, poi vado in onda. Segue un’altra riunione per cucinare quello che proporremo per il giorno dopo. Non spengo mai il telefono. Il tempo mi sfugge. Ho tre figli, c’è la vita privata, il lavoro…”.
Il passo successivo, insomma, è l’esaurimento.
Tenere ogni giorno una diretta di due ore e mezza è avere sempre i nervi tesi. Il mio schema di gioco, per cui gli autori mi odiano, è faticosissimo. L’ambizione è fare ogni mattina una prima serata. Abbiamo sempre ospiti molto importanti. Per dimostrare che al mattino non sono a casa solo persone simil-lobotomizzate. Ci sono persone che cercano un’offerta intelligente.
L’offerta crea la domanda. Almeno così direbbe Jean Baptiste Say.
Se prendi il tuo pubblico sul serio, lo vai a trovare. Riceviamo email e proposte da giovani pensionati, ragazzi, disoccupati, studenti. Una volta un ragazzo mi ha scritto: “sei come una droga, per colpa tua ho rischiato di non laurearmi”. Ma è anche un ciclo continuo. Finita la puntata, dobbiamo costruire il giorno dopo. Abbiamo sempre due forni: uno legato alla diretta, e uno invece su cui lavoriamo per avere dei temi strutturati. Il tutto con un elemento importante, che da un lato è interessante, ma anche molto vincolante.
Quale?
Il budget. Fisso e deciso in partenza. Se vogliamo fare di più dobbiamo avere più idee, non più soldi. E così aguzziamo l’ingegno, ci inventiamo nuovi modi di raccontare, lavoriamo con la realtà aumentata, mettiamo i personaggi in 3D.
Tutto però è iniziato con una finestra di 24 minuti.
Era un esperimento suicida che La7 considerava una follia. Invece si è rivelato una mossa giusta. Oggi provo a fare un grande romanzo del Paese: grandi interviste, storie che ci colpiscono, un po’ di tutto. Due ore al giorno, per tutti i giorni, per tutto l’anno è una grande sfida. Fare un racconto televisivamente ricco e avvincente è molto complesso.
Dunque il talk è vivissimo.
Se il talk fosse morto, io avrei già chiuso. Penso che il problema sia linguaggio. Noi lavoriamo con i social, cercando le reazioni. L’aria che tira è una porta aperta sul Paese. Ho provato a fare un programma empatico. Ho smollato molti freni inibitori.
Quali?
Ho buttato a mare quello che ero. Prima ero molto più inibita. Ho abbandonato la scuola di Gianni Minoli, e sono diventata più Myrta. Dico quello che provo, quello che sento. E lo faccio in diretta. Questo può essere criticato, ma mi rende vicino ai miei telespettatori. “Sei esattamente identica a come ti vedo in TV” mi ha detto una signora qualche giorno fa. Un inaspettato regalo.
Torniamo alla prima Myrta, quella che scriveva di economia su importanti quotidiani. Che ambizioni aveva?
Ero molto rigida. Molto economista. Avevo l’ambizione di intervistare i grandi dell’economia. Ho avuto rapporti con personaggi anche internazionali importanti. Ma poi è cambiato tutto.
In che modo?
Ho messo da parte quel mondo per la vita reale. La mia formazione è rimasta nell’impostazione seria di come vengono trattate le informazioni, nell’andare a caccia di numeri, ma adesso guardo la gente.
Mi racconta come è iniziato questo cambiamento?
Arrivo a La7 chiamata da Barnabei e Stella per fare “Effetto domino”. Era un programma che andava in onda tardi, poi Giovanni Stella, che veniva chiamato er canaro, un tipo ruspante ma molto intelligente, mi disse: “abbiamo un problema la mattina, che deve essere accesa. E poi tu la mattina sei perfetta. Tira fuori la tua napoletanità . Facci divertire”. Così ho capito che dovevo smollare. Provare a fare da ponte fra il mondo dell’èlite, della politica e dell’economia, e quello delle persone reali.
A quale categoria si sente di appartenere di più?
Vede, io la sofferenza delle persone l’ho scoperta con il lavoro. Sono nata di buona famiglia, ho avuto una vita comoda e tranquilla. Ma oggi stando dentro il racconto del quotidiano, e prendendomi sulle spalle delle questioni, ho cercato di aiutare tanta gente per davvero. Il malessere di questo Paese lo avverto sulla mia pelle.
Qual è il malessere oggi?
Ce ne sono tanti. Se le elezioni sono andate così il 4 marzo è perchè ci sono sofferenze che sono state sottovalutate. Ci sono un sacco di persone, me compresa, che immaginavano il futuro come un posto che poteva essere solo migliore. All’improvviso abbiamo scoperto esattamente l’opposto. L’idea che hai lavorato tutta la vita e tuo figlio starà peggio di te non è semplice da comprendere. Un sacco di gente, oggi, si sente abbandonata.
C’è chi questa convinzione l’ha cavalcata.
Certo, Matteo Renzi. Ha fatto anche bene. In un paese depresso e raggomitolato su stesso ha sottolineato le grandi opportunità . Lui ci crede davvero, lo spiega con grande passione. Il problema sono quelli che le opportunità non le vedono. Gente che chiede comprensione.
C’è stata un’escalation?
C’è stato un rallentamento complessivo molto forte nel Paese. Questo ha tolto la spinta, non solo su quello che capita, ma anche su quello che potrebbe capitare. Tutte le certezze sono venute meno. E questa roba qui è stata vista poco e male dalla politica italiana.
Da chi nello specifico?
Da chi governava.
E chi invece l’ha notata?
I populisti, che hanno capito cosa accadeva. Negli ultimi anni ovunque andassi trovavo un Matteo Salvini in felpa. Adesso per averlo è diventato complicato. Molte sue idee non mi piacciono e non so se risolverà i problemi meglio degli altri, aspettiamo e vedremo, ma la presenza sul territorio ha pagato.
Non vede nessun rischio?
Quando prometti prometti prometti, poi arriva il momento in cui devi mantenere. Lo stesso per i Cinque Stelle. La realtà è cocciuta e ti presenta il conto. Adesso mi preoccupano le risposte.
Perchè?
C’è un problema di competenze. Emerge l’idea che l’unica cosa importante sia essere onesti. L’idea: io sono come te, io ti capisco. Ma per trovare soluzioni complesse a temi complessi ci vogliono delle competenze.
Ci vuole una classe dirigente.
Questo è un problema: al momento siamo in alto mare. La Lega ha fatto scouting fra amministratori locali, gente che ha governo. Per i Cinque Stelle è più complicato. Rispettare chi sa di più dovrebbe essere un valore condiviso. Questo sdoganamento/apologia dell’ignoranza non mi convince affatto. Una cosa è avere un approccio e una visione politica, un’altra è saper fare le cose.
Mi faccia un esempio concreto.
Il punto non è fare gli sgomberi. Il punto è: se non sei in grado di rimandarli nel loro Paese, cosa abbiamo risolto? Non voglio entrare nel tema umanitario, ma sessanta persone che non stanno più al BaoBab, ma stanno in giro per Roma, rendono più sicura la mia città ?
Me lo dica lei.
Non credo. Quando le cose non succederanno verrà presentato il conto a tutti i leader. Ho l’idea che il governo abbia un’opposizione più dura di quella che si trova in Parlamento.
Quale?
La realtà .
(da “Huffingtonpost“)
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