INTERVISTA AL DIRETTORE DE “IL FATTO”:”I MIEI DUBBI TRAVOLTI DALL’ENTUSIASMO DELLA REDAZIONE”
PADELLARO SPIEGA LA SCELTA DI PUBBLICARE CHARLIE HEBDO, TRA UNA PORTA BLINDATA E UNA PATTUGLIA DAVANTI AL PORTONE
“Sa qual è la cosa più bella di questa storia? È che io, il direttore, avevo mille dubbi se pubblicare o meno il numero di Charlie Hebdo. Dubbi che però sono stati azzerati dall’entusiasmo e dal calore della mia redazione. Sono stati loro, i miei giornalisti, a voler dar voce anche in Italia a quel che resta dei disegnatori e redattori del giornale satirico”.
Sono le venti, poche ore prima della chiusura di una edizione che per il Fatto Quotidiano sarà storica.
Storica perchè avrà come inserto il nuovo numero di Charlie Hebdo: tre milioni di copie, stampate in cinque lingue, la risposta al massacro del 7 gennaio.
Il direttore Antonio Padellaro è indaffarato ma riesce molto gentilmente a trovare dieci minuti per parlare al telefono con l’HuffPost.
E a spiegare dubbi e timori che ancora lo accompagnano. “Non posso nasconderlo, tranquillo nei prossimi giorni non sarò. Però non ho paura. Il calore della mia redazione me l’ha fatta passare”.
Certo è che una prima conseguenza pratica nella vita di tutti i giorni dei colleghi del Fatto c’è già , anzi due: una porta blindata all’ingresso e una pattuglia di sorveglianza fissa davanti al portone.
Direttore, come è nata la decisione di pubblicare Charlie Hebdo?
È nata quasi naturalmente da una considerazione: è molto bello dire “Je suis Charlie” ma non basta, c’è bisogno di fare qualcosa di più concreto. E cosa c’è di più concreto per un giornale che farsi veicolo della libertà di espressione quando questa è in pericolo?
Ci dica la verità : sono tutti d’accordo? O c’è anche chi comprensibilmente ha dei dubbi?
L’unica persona che aveva dei dubbi ero io. Non nascondo che sono partito col freno a mano tirato. Prima di tutto ero perplesso su quello che stavamo per pubblicare. La decisione infatti doveva essere presa al buio, senza sapere il contenuto di articoli e vignette che la parte rimanente della redazione francese avrebbe fatto. Insomma, ci dovevamo fidare. E poi la sicurezza. Lascio l’ipocrisia ad altri: c’è sempre il rischio di emulatori, anche in Italia. E il direttore è sempre responsabile per le conseguenze delle scelte editoriali.
Quindi mi par di capire che lei non avrebbe pubblicato
Mi ha stupito la granitica compattezza della redazione: tutti mi hanno detto di andare avanti, un entusiasmo che mi ha travolto. A questo punto mi son detto: la decisione non può che essere giusta. I miei giornalisti sono stati più bravi del direttore.
E i dubbi sono caduti?
Quello sui contenuti è venuto meno oggi quando ho visto vignette ed editoriali e ho tirato un sospiro di sollievo. Si tratta di contenuti intelligenti, a partire dalla copertina. Perfida e ironica ma non greve o offensiva. Per quanto riguarda la sicurezza, è anche vero che un certo livello di rischio appartiene al mestiere. Non puoi fermarti. Ho vissuto gli anni di piombo al Corriere, è una lezione che mi porto dietro ancora oggi.
Lei parla di sicurezza. Da oggi però qualcosa è già cambiato al Fatto.
Sì, adesso abbiamo una porta blindata all’ingresso. In realtà è una cosa che dovevamo fare da un po’ di tempo, questa decisione ha accelerato i tempi. E poi una pattuglia di polizia in strada: il Viminale ci ha mandato degli agenti davanti al portone. Un deterrente che però ci fa piacere.
Tante altre testate, come Nyt, Bbc o Washington Post, hanno deciso invece di non pubblicare le vignette. Codardi?
Esistono sensibilità diverse, non ci sono eroi e vigliacchi. Quello che so è che noi alla fine noi pubblichiamo solamente per un motivo.
Quale?
Non si può zittire la libertà di espressione con i kalashnikov.
(da “Huffingtonpost“)
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